Una comunità indigena oppressa da decenni, costretta oggi a difendersi dai cambiamenti climatici, dall’infinita moltiplicazione di pale eoliche e dall’estrazione di ferro. Siete certi che parliamo del sud del mondo?

Finalmente dopo anni e anni il popolo Sami ottiene giustizia: una sentenza di un tribunale riconosce loro il diritto ad usare le loro terre ancestrali. Già perché per chi non lo sapesse i popoli indigeni li ha anche l’Europa, l’Unione Europea (per inciso anche amazzonici se consideriamo la Guyana Francese, retaggio coloniale di territorio d’oltremare).

Questa sentenza è destinata a fare storia. Come l’altra che dopo decenni di dispute legali riconobbe che i Sami esistono, mentre prima venivano semplicemente assimilati agli svedesi. Ed ora dopo la vittoria, arrivano le minacce e gli attacchi, incluse minacce di morte. La situazione dei Sami venne descritta in un film Sami Blood ed è una storia di oppressione, di sottrazione di figli e figlie per educarli alla cultura svedese, di una sorta di eugenetica etnico-culturale.

Foto di Flickr, Schnoogg

I Sami vivono di caccia e di allevamenti delle renne, e sono impattati oltre che da quella che è a tutti gli effetti “colonialità del potere”, dal circolo infernale dell’ingiustizia climatica. Il permafrost che accudisce i licheni, cibo per le renne, si scioglie a causa del climate change, mentre le soluzioni tecnologiche, come i megaprogetti eolici, sia in Svezia che Norvegia, avranno un impatto pesantissimo sulle renne, fonte principale di sussistenza per quel popolo. Oltre che elemento centrale della loro cultura ancestrale.

A questo si aggiunge l’impatto devastante dell’estrazione di ferro, attività in rapidissima espansione accanto alla costruzione di pale eoliche. Sembra una storia di quello che semplicemente chiamiamo “Sud del mondo” eh?

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