«Chiudiamo i porti alla guerra!» recita il volantino del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova che ha convocato per domani, sabato 21 dicembre, un presidio davanti alla Prefettura di Genova per esigere l’interdizione del commercio bellico dal porto della città.
Hanno aderito al presidio Emergency, Amnesty International, Assemblea contro la guerra, Genova antifascista, Rifondazione comunista ed altre associazioni pacifiste cittadine.
I portuali possono fare la voce grossa nell’ambito della logistica di Genova perché già lo scorso giugno, col sostegno della Cgil, hanno impedito ad una nave della linea marittima saudita Bahri di caricare materiale destinato ad alimentare la guerra in Yemen, «la più sporca e criminale di quelle in corso», si legge sul volantino.
Le petromonarchie del Golfo sono infatti tra i principali ed efferati consumatori di tecnologia militare occidentale sia di marca statunitense che europea ed italiana.
Dopo il blocco di giugno il presidente della regione Toti è sceso in campo dicendo che «è assurdo volere che non si imbarchino questi prodotti, mentre in Liguria molte migliaia di persone lavorano per Fincantieri che fa navi militari e sommergibili, Leonardo che fa radar e missili, per Oto Melara che fa cannoni navali e mezzi blindati…».
Lo scorso novembre il papa in persona ha in qualche modo risposto (indirettamente?) a Toti dicendo a chiare lettere che quando le autorità parlano di pace e trafficano in armi, si tratta di «ipocrisia armamentista», ribadendo appunto che «i Paesi europei parlano di pace» ma «vivono di armi», ma soprattutto ha detto che «i lavoratori del porto sono stati bravi».
E del resto stanno rispondendo anche gli stessi portuali del Collettivo Autonomo con il presidio ed il volantino di oggi: «Noi non ci stiamo ad essere complici di questi sporchi affari.
Nemmeno se appartengono alla nostra industria di Stato come Leonardo, che ha scelto di anteporre le produzioni militari a quelle civili».
Ma è chiaro che dopo giugno qualcosa è cambiato se all’ultimo attracco dell’Abha Bahri lo scorso 12 dicembre erano presenti Carabinieri e Digos sia al varco che dentro il terminal per garantire le operazioni di carico. Già in quell’occasione i lavoratori portuali hanno fatto sapere in un comunicato che «o la guerra esce dal nostro porto o le conseguenze – innanzi tutto economiche – saranno di tutti. Non siamo disposti a tollerare che un rifornimento continuo ed essenziale alla guerra, quindi alla morte e miseria per milioni di persone, abbia a Genova una sua tappa».
Rosario Carvelli, membro del Collettivo ma anche delegato Filt-Cgil, alla domanda su come intendano imporre la loro linea a governo e istituzioni portuali risponde: «Monitoriamo ogni passaggio della nave saudita e a gennaio pare abbia cancellato il passaggio a Genova. Ma a febbraio saremo nuovamente pronti a bloccare i varchi con l’aiuto della città e chiederemo alla Cgil un nuovo sciopero per fermare queste navi della morte. Il nostro motto è non un passo indietro».
Questa lotta si sta guadagnando visibilità e sostegno perché al momento è l’unica che sta dimostrando concretamente come i lavoratori organizzati e determinati possano imporre un cambio di rotta alle navi saudite e anche alla traiettoria bellicista del nostro Paese che con Leonardo è nella top ten globale dei venditori di armi.
Certo non mancano le contraddizioni: su Leonardo la Fiom continua ad avere una posizione contraddittoria, ma è pur vero che “grazie” alla Abha Bahri i portuali del Collettivo Autonomo stanno costruendo reti con gli omologhi di Livorno e Napoli e con altri dockers in Europa suggerendo e applicando una linea di azione che supera il confine della sola lotta sindacale.