Di Christian Dalenz per Il Manifesto

Tomàs Hirsch è tra i fondatori del Partito Umanista, storica formazione politica che partecipò a quella Concertación de Partidos por la Democracia che riuscì a cacciare il generale Augusto Pinochet dal potere con il referendum del 1988. Dopo che il suo partito uscì dalla Concertación, è stato per due volte candidato presidente (nel 1999 con il Partito Umanista e nel 2005 con la coalizione di sinistra radicale Juntos Podemos Más).

Oggi è parlamentare del Frente Amplio, coalizione di centrosinistra alternativa a quella da cui proviene l’ex presidente Michelle Bachelet. E ha partecipato attivamente alle proteste degli ultimi giorni nel suo Paese. Riesco a raggiungere Tomás appena tornato a casa dopo una dura sessione parlamentare a Valparaíso, città costiera a 140 km da Santíago e sede del Congresso («Pinochet lo mise lì perché non lo voleva di torno a Santíago. Se lo avessero lasciato fare, lo avrebbe persino confinato nell’Isola di Pasqua»).
Le proteste sono cominciate a partire da un aumento del biglietto dei trasporti pubblici. Ma non era in fondo un aumento molto piccolo?
In Cile c’è un sistema iniquo e abusivo che affligge le persone da molti anni. I dati macroeconomici sono buoni, ma la distribuzione del reddito è tra le peggiori al mondo. Noi del Partito Umanista denunciamo dal 1993 che il mito del Cile come successo del neoliberismo è una farsa, una bugia, ma ci hanno sempre denigrato e classificato come gente negativa. Si protesta contro questo soprattutto, non tanto per l’esiguo aumento dei biglietti della metro nella sola Santíago. Quella è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso! Il sommovimento continua a crescere perché il governo non capisce le domande sociali, oppure le capisce ma non vuole cambiare nulla del modello cileno per davvero. La teoria del logoramento delle proteste propugnata dal governo non ha funzionato. Le ridicoli misure annunciate finora e le sostituzioni dei ministri non rappresentano in alcun modo un segnale di cambiamento strutturale, e la gente se ne rende conto.

Piñera può rimanere al governo o dovrebbe andarsene?
Noi crediamo che le sue dimissioni aiuterebbero a far calmare il clima. Ma oltre a questo stiamo preparando un’accusa nei suoi confronti per violazione della Costituzione, causata dalle irregolarità commesse durante l’applicazione dello stato di emergenza. Piñera ha enormi responsabilità politiche per la grande quantità di gente che è stata uccisa, torturata, ferita o persino violentata sessualmente. Il governo nega queste violazioni dei diritti umani, ma ci sono i testimoni che le confermano. Stanno arrivando in Cile due missioni internazionali a fare indagini, una inviata dall’Onu e un’altra da Amnesty International: questo fa capire la gravità della situazione, che arriva a ricordare i tempi della dittatura di Pinochet.

Che differenza c’è tra la repressione odierna e quella di Pinochet?
Ho vissuto pienamente il periodo della dittatura, sono passato più volte per situazioni di questo genere e sono stato più volte in carcere. Rispetto alle repressioni odierne, allora potevamo contare su organizzazioni di solidarietà che aiutavano i manifestanti. Ma esistevano perché c’era la dittatura; tutti eravamo pienamente coscienti dei rischi che correvamo e pronti ad affrontarli. Oggi invece c’è la democrazia, e queste repressioni sono arrivate di sorpresa. Siamo più indifesi: pensi di poter dialogare con i militari e con i carabinieri, ma la risposta è uno sparo. È scioccante che ci si trovi di fronte a risposte da dittatura in tempi di democrazia.

Che cosa credi che sia necessario fare adesso?
Arrivati a questo punto le soluzioni devono essere profonde e andare oltre le richieste fatte finora dalla popolazione. Sul piano istituzionale è necessario che il governo convochi un’assemblea costituente. Questo potrebbe diminuire l’intensità dei moti popolari qualora i cittadini avvertano di poter avere un ruolo in questo processo. Per quanto riguarda l’economia, uno dei temi più caldi è quello del sistema previdenziale privato, che ha portato a pensioni misere. Noi vorremmo al suo posto un sistema pubblico di ripartizione solidale che garantisca agli anziani di vivere degnamente. In secondo luogo occorre un consistente aumento dei salari, molto bassi rispetto al costo della vita. Al momento il salario minimo è insufficiente. È poi necessario rendere l’acqua un bene pubblico; cancellare l’odiata legge sulla pesca, che consegna a sette famiglie i diritti effettivi nel settore; mettere una tassa dell’1% sul patrimonio dei più ricchi. Tutte misure che vanno verso quel cambio di modello che il governo non vuole affrontare.

Credi che si potrebbero applicare anche nazionalizzazioni di importanti settori del Paese, come quello del rame, come già fece Allende nei primi anni ’70?
Le statalizzazioni sarebbero una grande soluzione per avere le risorse necessarie a rispondere alle domande sociali e per recuperare la dignità nazionale. Ma visto che fare investimenti pubblici nelle miniere di rame sarebbe una questione molto complessa, proponiamo l’aumento delle royalties ai privati, che in Cile sono le tra più basse al mondo.

Perché l’attuale costituzione non va bene? E come dovrebbe essere la nuova?
La costituzione vigente è un cordone ombelicale che ci tiene ancora legati all’epoca di Pinochet, visto che la volle lui. È una costituzione che toglie allo Stato il compito di rispondere alle necessità sociali e le consegna al settore privato, che a sua volta se ne fa carico solo se possono garantire un lucro. Questo si traduce in una mancanza di garanzia di buona educazione, buona sanità, buone pensioni e protezione dell’ambiente. Noi vogliamo tutto questo nella nuova costituzione, che deve essere scritta con la partecipazione popolare.

Le proteste in Cile e le altre a cui stiamo assistendo in America Latina sono simili?
Credo che siano molto collegate, e a loro volta le proteste latinoamericane sono connesse con ciò che sta accadendo nel resto del mondo. La gente al mondo è disperata per il livello di violenza che subisce. Attenzione, non è principalmente violenza fisica, ma è soprattutto violenza economica e psicosociale. Questa società individualista, che si è ampliata ovunque, va contro il concetto di comunità, contro il «noi», e non è più sopportata dalla maggior parte della popolazione sul pianeta. La situazione è complessa, abbiamo grandi sfide davanti e sono preoccupato. Ma quando vedo le nuove generazioni mobilitarsi e per la maggior parte in maniera non violenta, nonostante i mezzi di comunicazione mostrino soprattutto i disordini, mi riempio di speranza rispetto alla possibilità di soluzioni positive.

Di Christian Dalenz