Diritto-dovere dei cittadini di ribellarsi davanti alla crisi ecologica provocata dall’inazione dei governi e alle prospettive catastrofiche che ci attendono se non si interviene subito, azioni di disubbidienza civile, nonviolenza come metodologia d’azione e comunicazione, necessità di un cambiamento profondo e radicale: ne parliamo con Marco Bertaglia, ricercatore specializzato in  sostenibilità e coordinatore italiano di Extinction Rebellion e Massimo Leoncini, esperto di comunicazione nonviolenta e attivista di Alessandria.

Extinction Rebellion si è fatto conoscere con un’ondata di spettacolari azioni di disubbidienza civile soprattutto a Londra e sta dilagando in tutto il mondo. Che cosa vi ha spinto ad aderire a questo movimento?

Marco Bertaglia: Ero consapevole da tempo che ci stavamo avvicinando a un baratro irreversibile e che per evitare la catastrofe era necessaria un’azione radicale. Molti non si rendono conto della velocità con cui le specie scompaiono e di come la perdita di biodiversità stia rompendo un equilibrio che può crollare rapidamente. Quando, all’inizio del novembre scorso, ho letto la “Dichiarazione di ribellione”  proclamata davanti al Parlamento inglese e un articolo del Guardian al riguardo ho capito di aver trovato quello che cercavo: un approccio scientifico, ma anche un appello alla disubbidienza civile nonviolenta, alla “ribellione contro l’estinzione”.

Massimo Leoncini: Io ho conosciuto il movimento attraverso un collega nel campo della comunicazione nonviolenta e ho apprezzato soprattutto la ricerca di nuove strade per uscire dalla crisi attuale.

Dove è presente attualmente Extinction Rebellion?

Nelle ultime settimane e addirittura negli ultimi giorni la crescita è stata velocissima e continua ad aumentare in tutto il mondo, anche se ovviamente in misura diversa a seconda dei paesi. Al momento siamo presenti in tutta Europa e poi in Canada, negli Stati Uniti, in Australia e Nuova Zelanda, in Messico, Cile e Brasile, in India, Corea del Sud e Pakistan, in Ghana, Burkina Faso, Benin, Nigeria, Sudafrica, Costa d’Avorio e Togo. E questo è solo un elenco molto parziale: gli ultimi dati parlano di 340 gruppi in 49 paesi, di azioni realizzate in 80 città di 33 paesi, di migliaia di sostenitori e nuovi iscritti di tutte le età e di donazioni in aumento. In Italia eravamo 600 fino a pochi giorni fa, ora ci sono oltre 1.000 aderenti e alle città iniziali (Milano, Torino, Roma e Bologna) se ne aggiungono di continuo altre.

Come vi tenete in contatto?

Gli scambi avvengono attraverso piattaforme Internet su server sicuri e protetti, gestiti con energie rinnovabili. Ci sono gruppi di lavoro semi-autonomi e decentralizzati, ognuno con due coordinatori, che si occupano di diversi temi (per esempio i media, o l’aspetto legale) e hanno mandati concordati tra tutti. Questo schema viene ripetuto a vari livelli.

Quali sono i vostri punti fondamentali?

Chiediamo essenzialmente tre cose: dire la verità, dichiarando subito l’emergenza climatica ed ecologica, agire subito, fermando la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità e portando le emissioni allo zero netto entro il 2025 e costituire assemblee di cittadini con membri sorteggiati e rappresentativi di tutti gli strati sociali, che ispirandosi alle soluzioni già da tempo indicate dalla scienza decidano misure da attuare per fermare il cataclisma in corso. E’ una forma nuova di democrazia diretta, che supera l’attuale forma di democrazia rappresentativa, ma in realtà esistono già molti modelli in questo senso e addirittura una banca dati che li raccoglie. Non vogliamo una “verniciata di verde” che attui piccoli cambiamenti senza mettere in discussione tutto il sistema, ma una trasformazione profonda e radicale e siamo pronti a continuare con le azioni di disubbidienza civile per far sì che i governi ci ascoltino.

Che rapporti avete con i giovani di Fridays for Future?

C’è una voglia crescente di collaborare e fare cose insieme. Noi parteciperemo allo sciopero globale del 24 maggio e notiamo da parte loro un interesse sempre più manifesto per le azioni di disubbidienza civile.

Come considerate le imminenti elezioni europee? Che progetti avete per l’immediato futuro?

Non siamo convinti che le elezioni europee siano una grande occasione di cambiamento e non appoggiamo nessuno in particolare. Vedremo cosa faranno i politici una volta eletti, ma preferiamo concentrarci sul far crescere la ribellione dovunque, attraverso azioni sempre più frequenti e ambiziose, alzando il tiro, insomma. Stiamo anche organizzando presentazioni in diverse città italiane per farci conoscere e per creare gruppi locali, laboratori di comunicazione nonviolenta e momenti di formazione all’azione diretta.

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