In Kenya le ricerche della cooperante italiana proseguono sotto traccia, tra speranze e passi indietro.

Quattro mesi, centoventi giorni interminabili, in cui si sono alternate speranze, delusioni, silenzi e proclami che celavano una qualche certezza. Di Silvia Romano, rapita il 20 novembre 2018 a Chakama a 80 chilometri da Malindi, in Kenya, però, non si sa più nulla. E ciò che sconcerta e che nessuno dice più nulla. Le autorità del Kenya tacciono. Il 15 marzo il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha assicurato che “l’attenzione, l’ansia e l’impegno sono inalterati, altissimi e al massimo livello per poterla presto rivedere in patria”. Una rassicurazione doverosa e che fa ben sperare.

Il 18 marzo il Ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, da Bruxelles ha detto che “continua la nostra attenzione alle indagini che si stanno svolgendo in Kenya e continuiamo ad assicurare che si arrivi a un risultato. L’obiettivo resta quello di avere Silvia salva, di ritorno fra noi”. Anche queste parole fanno ben sperare, ma nulla su quello che sta accadendo, davvero, in Kenya.  La Polizia del Kenya ha parlato l’ultima volta il 21 gennaio, spiegando di essere certa che Silvia è viva e che è ancora nascosta nella boscaglia del Tana River.

Sempre in gennaio il procuratore di Nairobi, Noordin Haji, aveva manifestato a una delegazione italiana l’intenzione di “procedere in maniera più decisa” nelle indagini e nelle ricerche. Non è dato sapere se ciò sia accaduto. Da allora solo silenzio. E in Italia? Il movimento politico di Pippo Civati, Possibile, ha chiesto ai Comuni italiani di approvare una mozione che faccia pressione sulle autorità politiche italiane affinché “il governo riferisca quanto prima circa la situazione di Silvia Romano”.

Ci sono poi i cittadini semplici che lo chiedono, le organizzazioni non governative, la società civile che chiede a gran voce #SilviaLibera. Iniziative che si dovrebbero moltiplicare, pur nel rispetto della famiglia della giovane cooperante che chiede riserbo.

Dopo quattro lunghi mesi, tuttavia, occorre che qualcuno dica come stanno davvero le cose. Soprattutto perché in Kenya, sulla stampa di Nairobi, si sono diffuse notizie che, per essere gentili, sono fantasiose, ma leggendole viene da pensare che si sia messa in moto una macchina del fango per delegittimare la cooperante italiana, instillando dubbi sul lavoro che stava facendo in Kenya prima che venisse interrotto da tre criminali.

Di certo c’è che gli abitanti dell’area, il Tana River, dove si ritiene si trovi Silvia non stanno collaborando con la polizia keniana; per lo meno le informazioni che forniscono non sono né attendibili né utili. La stampa, invece, sembra dare credito a chiunque abbia qualcosa da dire, verificabile o meno che sia.

I media di Nairobi, da quelli scandalistici, ma anche quelli più autorevoli, hanno diffuso notizie inquietanti. La prima: hanno stabilito un collegamento tra la cooperante italiana e i terroristi somali autori dell’ultimo attentato a Nairobi. Notizia senza alcun fondamento, ma intanto si è diffusa. Poi c’è chi ha fatto una ricostruzione cinematografica della vicenda e cioè che Silvia Romano sarebbe rimasta uccisa in uno scontro a fuoco tra i suoi rapitori e un gruppo di islamisti somali di Al Shabaab a cui i sequestratori avrebbero voluto vendere la giovane italiana. Una trattativa finita male con un macabro epilogo degno di una fiction. Nulla di tutto ciò è stato verificato. E quindi rimane pura fantasia.

Poi ancora. C’è chi ha accostato la figura di Silvia a un non meglio precisato traffico illegale di avorio, spiegando che la Romano sarebbe stata in contatto con uno dei suoi rapitori che gli avrebbe inviato dei messaggi, chiedendo di essere pagato per una consegna di avorio. Nulla di più lontano dal profilo della nostra cooperante.

Viene il sospetto che queste fantasiose ricostruzioni siano fatte ad arte per nascondere l’incapacità degli inquirenti keniani. I rumors di Nairobi, sempre più chiassosi, raccontano di inquirenti che non sanno bene cosa fare e dove cercare. I rumors quando diventano insistenti e ripetuti spesso si avvicinano alla realtà. E le notizie “fantasiose” diffuse ad arte non fanno altro che avvalorare i rumors.

Le autorità italiane, inoltre, hanno chiesto ai connazionali presenti in Kenya di “tenere un profilo molto basso – come scrive Bruna Sironi su Nigrizia.it – nel chiedere informazioni e nel rilasciare eventuali dichiarazioni, per non intralciare le indagini. E noi, che volevamo vedere Silvia libera, ci siamo attenuti scrupolosamente al consiglio. Ma ora le domande non possono più essere rimandate e qualcosa di ufficiale deve essere detto, se non altro per sottrarre Silvia alle voci incontrollate che da qualche tempo girano sui mezzi di informazione locali e hanno ormai raggiunto anche il nostro paese.

A questo punto le autorità italiane dovrebbero dirci cosa sta succedendo in Kenya, cosa stanno facendo di concreto per riportare a casa Silvia Romano. Se è in corso una trattativa. Con chi stanno trattando. Domande che abbiamo fatto più volte, ma sono sempre rimaste senza risposta. Visto ciò che scrivono i giornali keniani di Silvia, forse, qualche risposta è bene che arrivi; lo devono alla cooperante italiana che non merita di essere infangata, alla sua famiglia e a tutti coloro che la vogliono rivedere a casa.

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