“Vogliamo rafforzare la fiducia nella nostra democrazia e nelle istituzioni dello Stato. Intendiamo incrementare il processo decisionale in Parlamento e la sua cooperazione con il Governo.” Inizia con queste parole il “contratto per il governo del cambiamento” stipulato tra Lega e Movimento 5 Stelle. La Fondazione Openpolis ha recentemente presentato un report sul rapporto tra Governo e Parlamento nel primo semestre di attività (da metà giugno a metà dicembre 2018). “Se nelle intenzioni della maggioranza c’era quella di rimettere il Parlamento al centro delle dinamiche legislative, certamente quello che è avvenuto in questi sei mesi va nella direzione opposta”: questa è la valutazione di Openpolis, numeri alla mano.
Infatti, da inizio legislatura sono state approvate 19 leggi, di cui il 79% sono di iniziativa governativa. Il 63% delle leggi approvate dall’attuale Parlamento sono conversioni di decreti legge varati dal Governo. Dal 2013 ad oggi si tratta della percentuale più alta: con il Governo Letta erano il 50%, con Renzi il 30% e con Gentiloni il 16%.
La Costituzione prevede che lo strumento del decreto legge governativo sia adottato esclusivamente “in casi straordinari di necessità e d’urgenza” (art. 77). I precedenti governi spesso ne hanno abusato. L’attuale Governo non ha fatto eccezione, anzi, si è ulteriormente arrogato il ruolo di legislatore nonostante spetti di norma al Parlamento.
C’è un altro indicatore che esprime il peso specifico del Parlamento nell’iter legislativo: gli emendamenti approvati rispetto ai testi dei decreti legge del Governo. Il paragone con il primo semestre della passata legislatura è impietoso: mentre con il Governo Letta il parlamento ha approvato 128 emendamenti, con il governo Conte sono stati soltanto 44. Sono numeri che mostrano quanto il peso della discussione in Parlamento sia stato diverso nei due periodi presi in considerazione.
Dopo i primi sei mesi del Governo Letta soltanto il 6% delle proposte di iniziativa parlamentare erano ancora da assegnare ad una commissione, mentre attualmente la percentuale è del 36%. Non solo: nel primo semestre della scorsa legislatura il 15% delle proposte legislative dei parlamentari erano già in corso di esame in commissione. Durante i primi 6 mesi del governo Conte la percentuale di disegni di legge di iniziativa parlamentare che hanno avviato il proprio iter in commissione è ferma al 5%. Pertanto, appare evidente che attualmente sia la produzione legislativa sia l’attività quotidiana in Parlamento siano quasi completamente in mano al Governo, con poco spazio per deputati e senatori, nonostante la Costituzione stabilisca che “ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione” (art. 67).
Se il Parlamento risulta ingolfato dalle iniziative legislative governative, al contrario gli esponenti dell’esecutivo che ricoprono anche il ruolo di parlamentari (il 75% dei ministri) sono spesso assenti alle votazioni in aula. In Francia esiste l’incompatibilità tra i due ruoli, mentre in Italia si può far parte contemporaneamente di entrambe le istituzioni. I ministri più assenteisti nel primo semestre sono stati alla Camera Giulia Grillo, ministro alla salute del Movimento 5 stelle, con lo 0,27% di presenze, e al Senato Matteo Salvini, vice primo ministro e ministro degli interni, con il 2,52%. Il dato è sensibilmente basso, considerando che la percentuale media di presenze in aula è rispettivamente del 77,94% a Montecitorio e dell’86,63% a Palazzo Madama.
Un altro elemento significativo per valutare la relazione tra il Governo e i membri del Parlamento, sono le interrogazioni presentate da deputati e senatori che chiedono al ministro competente una risposta scritta. Da inizio legislatura ne sono state depositate circa 2.800, di cui solamente il 6% ha ottenuto una risposta. Il dato è simile a quello del Governo Letta e inferiore ai governi guidati da Renzi (7%) e Gentiloni (11%). Tra i più negligenti troviamo i ministri: Grillo – salute (1 risposta su 251 interrogazioni), Bussetti – istruzione (1 su 214), Centinaio – agricoltura (1 su 88) ed anche il presidente del consiglio Conte (1 su 175). Peggio di loro ci sono i ministri che non hanno fornito risposte in assoluto: Tria – economia e finanze (0 su 163), Bonisoli – beni culturali (0 su 106), Bonfrisco – pubblica amministrazione (0 su 34), Stefani – affari regionali (0 su 10) e Savona – affari europei (0 su 2). Indubbiamente i parlamentari, legittimi rappresentanti eletti dal popolo, non hanno trovato molta considerazione nel Governo in carica.
L’ultimo indicatore importante per valutare il rapporto tra potere esecutivo e legislativo è il ricorso al voto di fiducia da parte del Governo per ottenere dal Parlamento l’approvazione dei testi di legge. Nel primo semestre il Governo Conte ha posto la fiducia per il 32% delle leggi (6 su 19). Nella precedente legislatura soltanto il Governo Renzi ha raggiunto una percentuale più alta (34%). Il Governo Gentiloni si era limitato al 24%, mentre il Governo Letta aveva posto la questione di fiducia per l’8% delle leggi in discussione.
La conclusione del report della Fondazione Openpolis non lascia spazio a molti dubbi: “Alcuni dei problemi emersi non sono nuovi: da un Governo che monopolizza la produzione legislativa all’abusato ricorso alla fiducia, ma certamente il cambiamento tanto rivendicato dall’attuale Governo è stato disatteso”.