Lo scorso 12 dicembre è stata approvata una legge di riforma delle condizioni di lavoro in Ungheria, fortemente voluta dal premier Viktor Orbán che detiene la maggioranza in parlamento. In seguito all’approvazione, alcune centinaia di manifestanti si sono riversate in strada per protestare contro la legge, scontrandosi con le forze di polizia della capitale.

La “legge schiavitù”

La nuova legge prevede un aumento del limite massimo degli straordinari da 250 a 400 ore all’anno, che per alcuni lavoratori potrebbe significare fino a otto ore aggiuntive di straordinari a settimana, equivalenti a un’intera giornata in più di lavoro. Inoltre il pagamento degli straordinari potrà essere ritardato fino a tre anni, mentre in precedenza la scadenza era fissata a un anno.

Con 130 voti in favore e 52 contro, la riforma è stata approvata con largo margine di maggioranza in Parlamento. Alcuni parlamentari, tuttavia, hanno contestato il leader di Fidesz armandosi di fischietti e hanno ritardato il voto brandendo striscioni che recavano la scritta “anno della schiavitù”. Lo slogan è apparso come un chiaro, tagliente riferimento al 2018 – che Orbán aveva nominato “anno della famiglia”.

Il premier ha difeso il decreto dichiarando in un intervento che bisogna “rimuovere la burocrazia in modo che chi vuole lavorare e guadagnare di più lo possa fare” e sostenendo che la riforma sia orientata proprio in favore delle famiglie.

La sua posizione non ha però convinto le circa duemila persone che hanno marciato nelle strade di Budapest poco dopo la conclusione del voto e si sono poi radunate davanti al parlamento, protetto da poliziotti in tenuta antisommossa. Alcuni manifestanti hanno lanciato oggetti contro le forze di polizia, che a loro volta hanno usato lo spray al peperoncino per respingere i contestatori.

Il progetto di riforma di Orbán non si ferma al lavoro

Oggetto di contestazione è diventata anche una seconda legge approvata lo stesso giorno in parlamento. Questa prevede l’istituzione di “Corti Amministrative”, i cui giudici saranno nominati direttamente dal ministro della giustizia. Le nuove corti si sovrapporranno al sistema giudiziario già vigente e decideranno su materie altamente politiche – tra cui le elezioni, la corruzione e il diritto di manifestare.

L’opposizione parlamentare e un gran numero di eurodeputati, tra cui Guy Verhofstadt, criticano la riforma della giustizia e vedono in essa l’ennesima mossa di Orbán per rafforzare il proprio potere in Ungheria. Il Comitato Helsinki per i diritti umani ha inoltre dichiarato che “l’indipendenza giudiziaria in Ungheria è in pericolo”, aggiungendo che “le importanti modifiche all’organizzazione giurisdizionale si stanno trasformando in una reale e grave minaccia allo stato di diritto in un paese membro dell’Unione Europea”.

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