Se si osserva la politica da un punto di vista economico, possiamo quindi collocare al centrodestra e al centrosinistra degli ultimi anni il paradigma dell’economia del libero mercato, della globalizzazione e dello svilimento del ruolo dello stato nella gestione politica ed economica dei paesi. Entrambe le posizioni politiche hanno infatti favorito la nascita dell’Unione Europea. Agli estremi si sono collocate invece quelle istanze che volevano rivedere questo paradigma, che criticano l’infallibilità della mano invisibile, teoria economica della classe borghese. Facendo perno sui sentimenti popolari, nel corso della storia, estreme sinistra e destra, tornano ciclicamente nei periodi di crisi a ricordarci che esistono delle alternative, salvo poi essere integrate nella gestione della cosa pubblica dal potere del capitale.

Nell’ambito del grande mercato mondiale in cui si tendono a trascurare elementi identitari e patriottici, le recenti elezioni hanno dimostrato che su alcuni temi vi è un rigurgito comunitarista e identitario che anima gli sconfitti della mondializzazione. La patria e l’identità tornano così a scuotere anche un dibattito che a sinistra viene da molto lontano.

L’opposizione trova radici antiche. Da un lato l’internazionalismo, l’idea che la lotta di classe debba essere combattuta su scala internazionale, ha subito delle fortissime battute d’arresto. Per citarne soltanto alcune, la prima durante il primo conflitto mondiale, poiché la lotta orizzontale tra paesi obbligava l’operaio italiano a combattere contro l’operaio tedesco e non verticalmente contro la classe borghese. In secondo luogo l’internazionalismo di Trozky fu fatto fuori dallo stalinismo e dalla sua teoria del “socialismo in un solo paese”, che tanto riecheggia la nomenclatura “nazional-socialismo” se vogliamo decontestualizzare i fenomeni e giocare pericolosamente con le parole.
Dall’altro lato il socialismo patriota, che ha visto concretizzarsi le esperienze del socialismo reale di Cuba e dell’Unione Sovietica in lotta contro l’imperialismo americano, non appaiono certo come un modello di riferimento di libertà politica e civile.

Oggi alla luce delle vittorie delle destre, la questione migratoria e delle identità, assumono un ruolo centrale nell’agenda politica di ogni partito, e la questione nazionale insidia l’unita delle sinistre.

Una parte di esse vorrebbe acquisire il consenso del popolo, assecondandone i più regressivi istinti, per rubarlo alla destra. Si tratta di utilizzare alcune delle categorie che recentemente fanno presa sull’elettorato, una su tutte la questione dell’identità, secondo quel meccanismo difensivo, per il quale siamo “fisiologicamente programmati”, al regresso comunitario come ho già spiegato in questo articolo. Questa naturale meccanismo di difesa, non deve certo precludere allo sviluppo razionale ed empatico delle dinamiche identitarie, ma fatto sta che questa corrente della sinistra nazionalista mira ad attaccare questo campo semantico.

Secondo Davide Sivero, parte della sinistra avrebbe abbracciato rossobruni e xenofobi (1).
Indicando con i primi quella categoria di persone di estrema sinistra che aggiungerebbero ai principi marxisti (rosso) degli elementi identitari che sono quasi esclusivamente utilizzati storicamente dai movimenti di destra (comunità, identità, patria).

Ora, nella immensa galassia delle posizioni politiche di sinistra, accompagnate da dibattiti teorici e filosofici che potrebbero anche annoiare, si realizza quella famosa e tragicomica scissione continua che Guzzanti, imitando Bertinotti, propone ai partiti comunisti che cambiano nome e forma per meglio sopravvivere e attaccare il nemico.

Da neofita del dibattito non appare chiaro se esso sia frutto delle varie interpretazioni dei “testi sacri” del comunismo, come il Capitale, al Discorso sul Libero scambio, o ad altri scritti di Lenin, oppure frutto della pretesa irrealizzabilità, secondo i “rossobruni”, su scala internazionale di certe battaglie, oppure ancora il sintomo di una certa irritabilità e chiusura di certa sinistra alle riflessioni eterodosse.

In sintesi, esiste davvero il “rossobrunismo” quale confusione di certa sinistra che scimmiotta elementi destrorsi o, secondo il loro punto di vista, vuole strappare alla destra il monopolio della sicurezza e dell’immigrazione, oppure è solo un marchio ostracizzante che viene effettuato all’interno della sinistra che si definisce “giusta”?

Per capirci qualcosa occorre fare dei distinguo e delle semplificazioni utili alla comprensione.
Da un lato abbiamo quindi una estrema sinistra internazionalista e una estrema sinistra nazionalista con tendenza a ricongiungersi all’estrema destra.

Per capire quali siano i punti di attrito, occorre separare la questione della sovranità dalla questione dell’immigrazione, che spesso appaiono volutamente confuse.

In primo luogo entrambe queste sinistre estreme discutono sul recupero delle prerogative nazionali da un punto di vista politico-economico sopratutto nei confronti dell’Unione Europea. Una “sinistra sovranista” si sta muovendo attraverso piccoli gruppi “Risorgimento Socialista” e “Patria e Costituzione”. Questa sinistra persegue come obiettivo quello di rompere con quella sinistra che ha affidato ai meccanismi europei i più efficaci strumenti di politica economica e che impone l’austerità, nell’eventualità di un fallimento dell’ipotesi di democratizzazione dell’Europa lanciata da movimento DiEM25, che invece vorrebbe cambiare l’Europa dall’interno. La sinistra sovranista italiana sostiene che questo tentativo di democratizzazione è già fallito o è irrealizzabile e bisogna passare ad un piano forzato di riacquisizione delle prerogative nazionali. Mélenchon in Francia ha sintetizzato queste due posizioni nel cosiddetto “Piano A e Piano B”.

Quindi da un punto di vista politico-economico sembra esserci una forte critica condivisa sul funzionamento dell’attuale Unione Europea dei mercati, ma quello che pone maggiore motivo di disputa è la questione della patria, dell’identità, e delle migrazioni. Essa è latente e viene spesso messa in secondo piano dalla questione dei rapporti con l’Unione Europea.
Una volta riprese le prerogative nazionali, queste sinistre “sovraniste” come vogliono affrontare la questione migratoria?

Vogliono ripetere gli argomenti delle destre o vogliono potenziare gli apparati statali per nazionalizzare l’accoglienza senza cadere nel tam-tam mediatico securitario? Vogliono mettere al primo posto le esigenze della propria nazione ai bisogni umani delle popolazioni che si spostano o vogliono anteporre l’umanità a qualsiasi logica egoistica? Vogliono continuare a definire un umano come illegale pensando di poterlo così combattere o controllare oppure vogliono “legalizzare” comportamenti umani fisiologici, investendo energie e risorse nella loro integrazione?

E’ quindi possibile una sinistra internazionalista che reclami comunque le sue prerogative statali senza per questo riattivare il mito della nazione e lasciarsi andare alla xenofobia o al razzismo? Una sinistra che riconosca nel migrante un compagno di lotta e non uno strumento del padrone per far concorrenza ai lavoratori nazionali?

(1)http://frontierenews.it/2017/01/di-come-la-sinistra-italiana-ha-abbracciato-rossobruni-e-xenofobi

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-cos_per_noi_la_sovranit/22157_24551