Che l’educazione sia al centro di ogni progetto politico che vuole perennizzarsi e radicare la sua ideologia, è cosa conosciuta da tempi immemori. Nei caratteri del sistema educativo si esprimono le ambizioni di una società. Nella civiltà greco-romana i giovani erano cresciuti con l’obiettivo di farne dei soldati e abitanti della polis o della civitas, in quella medievale soltanto gli uomini “liberi” dalle fatiche del lavoro agricolo potevano ricevere l’educazione alle arti per questo dette “liberali” del trivio e quadrivio, che formeranno la base di quella piccola borghesia urbana che doveva leggere e far di conto per arricchirsi con il commercio. Ogni società impone degli obiettivi educativi necessari al raggiungimento di quelle che sono le sue priorità.

Trascurando le questioni prettamente tecniche circa i metodi di apprendimento, il paradigma educativo dai tempi della costruzione degli stati moderni dai tempi della Rivoluzione francese è stato quella di creare dei cittadini coscienziosi attraverso l’acquisizione di princìpi, valori e conoscenze che permettessero il vivere insieme e l’impegno come forma di partecipazione alla politica. Sapere era sintomo di potere.

Negli ultimi decenni la società capitalistica ha imposto altri obiettivi educativi e i caratteri capitalista hanno il volto del mercato, con le sue regole e le sue logiche. Obiettivo educativo di questa società non è solo quello di far incontrare domanda (datori di lavoro) e offerta (lavoratore) ma che questo incontro avvenga nella maniera più vantaggiosa possibile per il datore di lavoro. Il lavoratore tipo è colui che sia specializzato, competente e competitivo, politicamente mansueto e buon consumatore della merce che egli stesso o altri lavoratori producono.

Sfruttando le ambizioni di migliorare la nostra condizione sociale ed economica il mercato vuole la nostra più completa specializzazione e questo si accompagna ad una continua scelta del percorso formativo. Per essere produttivi bisogna essere specializzati in un segmento preciso ed essere migliori degli altri. I sistemi educativi richiedono uno sforzo enorme in termini di investimento ma anche di anticipazione delle scelte.

Sin dall’inizio del ciclo di studi secondario (scuola media) ad esempio in Francia si propongono già scelte tra sezioni, specializzazioni, opzioni, che verranno ulteriormente affinate nel corso degli istituti superiori in cui si delinea già quale profilo lavorativo si intende offrire. La selezione spietatissima garantisce la cosiddetta riproduzione sociale (1), ovvero l’immobilismo sociale tra una generazione e l’altra (il figlio di operaio ha infime possibilità di diventare quadro).

Sforzi considerevoli sono fatti così nell’ambito dell’orientamento di queste scelte, poco importa che i giovani studenti abbiano maturato quella scelta in un periodo, quello dell’adolescenza, già abbastanza complicato. La realizzazione dell’essere umano passerebbe attraverso la fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande”, lasciando ad ognuno poco tempo per riflettere a tante altre domande che fanno parte della ricerca della propria identità e della propria ricerca interiore o personale. Anzi questa intima ricerca è assoggettata alla domanda di lavoro e alle sue esigenze: il mercato impone il suo dik-tat e l’adolescente può facilmente scambiare l’esigenza del mercato e opportunità lavorativa con l’ambizione personale, generando adulti infelici.

Che questa specializzazione poi permetta il progresso collettivo o il profitto dell’azienda non è una domanda che riguarda il lavoratore, il suo interesse è produrre rispondendo agli imput del datore di lavoro, senza dover formularne di nuovi. Da qui il successo e l’attrattività di tutte le materie e percorsi scientifici che corrispondono maggiormente alla domanda di progresso della società, spesso scambiato con maggior produttivismo. Le materie letterarie vengono relegate ad un secondo piano, l’humanitas classica, e quindi l’umanità, le questioni filosofiche sono soppiantate da formule matematiche, meccanismi, avvicinando lo studente ad un calcolatore, ad un esecutore. Come dice il professor Keating nell’Attimo fuggente: “Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.”

Questa specializzazione si accompagna inevitabilmente ad una competizione sfrenata, che incita all’arrivismo e non alla collaborazione, all’individualismo imposto dalla selezione, non alla solidarietà. Legame sociale e umano messi vengono messi in secondo piano, facendo azzardare taluni a prefigurare dei percorsi completamente à la carte sin da tenera età, scuola senza classi, come si trattasse di università, distruggendo persino l’idea di avere un “compagno di banco”. Il raggiungimento del risultato come obiettivo permanente rende l’apprendimento una prestazione ansiogena in cui l’errore difficilmente fa parte della formazione. L’istruzione sarebbe un’esperienza commerciale, istantanea, fast-food, turistica, di cui gli scarti sono il nostro mondo interiore, le nostre emozioni, i nostri desideri e le nostre passioni, e non un processo non lineare e che mobilita tutti i meccanismi della crescita dell’essere umano.

L’orizzonte della realizzazione e della soddisfazione individuale allontanano lo studente da qualsiasi tentativo di ricerca e di indagine politica. Anzi, la politica è stata completamente bandita dalla scuola. Come per la religione, questo spazio pubblico è stato reso asettico per timore che un’ideologia potesse scalzare quella fintamente neutrale del libero mercato. Timorosi di fare politica a scuola, molti insegnanti hanno completamente rinunciato, anche sotto minaccia della forza pubblica, di creare qualsiasi benefico dibattito su idee, attualità, dibattiti fondamentali nella società presente e passata.

Un parallelismo sul risultato di questo eccesso di neutralità, in questo caso religiosa, è rintracciabile in quell’ignoranza, in quel vuoto che in taluni paesi come la Francia, a seguito dei casi di radicalizzazione e fondamentalismo, hanno fatto avvertire l’esigenza di insegnare il “fatto religioso” da un punto di vista storico per insegnare e contestualizzare le proprie credenze.

In ambito politico ci sarebbe bisogno di dedicare delle ore di lezione a dei laboratori che permettano, non di fare proselitismo, ma di far comprendere le grandi ideologie e la storia politica. Le grandi ideologie degli ultimi due secoli, colpevoli di aver portato ai totalitarismi e di aver proiettato delle ambizioni che dovessero coinvolgere tutta la società, proiettandone un modello collettivo, vengono studiate per dissuaderne il ritorno, per difendere il mercato dalla sua ideologia del consumatore solitario. Se l’umanità vuole risolvere i suoi problemi deve ragionare collettivamente, non solo come individuo. Simbolo emblematico di questo atteggiamento è la scomparsa della traccia storica dall’esame di maturità in Italia, confermando la volontà di educazione al presente immediato e non al passato, né al futuro.

La realizzazione personale passa attraverso il proprio lavoro, e l’appropriazione di queste esperienza viene sempre più anticipata. Col pretesto di far acquisire competenze pratiche e di prepararli al mondo del lavoro, i nostri figli vengono abituati attraverso l’alternanza scuola lavoro alle logiche del mercato e al datore di lavoro. Non solo questa prima prestazione lavorativa è gratuita, così da ricordargli che niente è dovuto in cambio del proprio tempo e delle proprie energie, ma la si sottopone anche alla ricattatrice ricompensa della valutazione del datore di lavoro. Anticipando le logiche degli stage gratuiti col pretesto di fare esperienza, il messaggio e il valore al quale si educa è chiaro: prima il mercato, poi l’essere umano.

Ed il mercato desidera consumatori a-critici che scambino la libertà con la scelta tra marche diverse, che abbiano un rapporto con l’informazione emotivo, immediato non riflessivo e ponderato. La società dell’informazione è cambiata e sarebbe tempo che i sistemi educativi capiscano che, al centro della costruzione dell’individuo, vi sia oggi più che mai la necessità di fornirgli uno spirito critico che gli permetta di riconoscere una fake news, un punto di vista da un dato oggettivo, l’obiettivo dell’autore, il contesto e tanti altri aspetti fondamentali per potere compiere una reale scelta.

Intrappolati da una schizofrenica scelta di percorso formativo, di lavoro, di futuro possibile, e allontanati dalla connessione alla società tramite il mondo interattivo dei social, gli studenti vengono allontanati dall’universo che si nasconde al proprio interno e che permette la realizzazione della propria persona. L’educazione deve tornare ad essere finalizzata alla costruzione umana tutta, non solo al mondo del lavoro.

(1) Per Bourdieu il successo scolastico richiede una lunga serie di comportamenti “acculturati”, che consentono di accedere all’istruzione superiore e di affrontare le prove di selezione. I figli delle classi superiori possiedono questo insieme di comportamenti, non così i figli della classe operaia. I primi, dunque, sono favoriti dal sistema educativo e le loro famiglie possono riprodurre la loro posizione di classe in maniera legittima e apparentemente “equa”