L’8 settembre un tribunale del Cairo ha emesso il verdetto nei confronti di 739 imputati accusati di vari reati in relazione al violentissimo sgombero dei sit-in di piazza al-Rabaa al-Adawiya e piazza al-Nahda il 14 agosto 2013.

Sono state emesse 75 condanne a morte47 condanne all’ergastolo e altre 612 condanne a pene varianti da cinque a 15 anni.

I 739 imputati sono stati processati collettivamente per 17 omicidi (tra cui quelli di sette agenti di polizia) e altri reati tra cui “raduno illegale“, “istigazione a violare la legge” e “partecipazione ad atti di violenza“.  Secondo dati ufficiali, nei due violentissimi sgomberi persero la vita sei agenti di polizia.

Tra gli imputati giudicati colpevoli c’è anche il foto-giornalista Mahmoud Abu Zeid, detto Shawkancondannato a cinque anni. Avendo già trascorso in carcere un periodo di tempo superiore alla condanna, cinque anni e 25 giorni, dovrebbe essere presto rilasciato. Lo attendono comunque altri cinque anni di libertà condizionata.

Questo il commento di Najia Bounaim, direttrice delle campagne di Amnesty International sull’Africa del Nord: “Le sentenze sono state emesse al termine di un vergognoso processo di massa riguardante oltre 700 persone. Le deploriamo nel modo più assoluto. La pena di morte non dovrebbe mai essere presa in considerazione, in qualunque circostanza.

Il fatto che non un singolo agente di polizia sia stato chiamato a rispondere in tribunale dell’uccisione di almeno 900 manifestanti nelle proteste di Rabaa e Nahda mostra di fronte a quanta parodia della giustizia ci troviamo. Le autorità egiziane dovrebbero vergognarsi. Chiediamo un nuovo processo di fronte a un tribunale imparziale che rispetti in pieno il diritto a un giudizio equo e non ricorra alla pena di morte.

Shawkan è stato condannato a cinque anni per il mero fatto di svolgere il lavoro di fotogiornalista e aver documentato le brutali azioni della polizia il 14 agosto 2013. Ha già trascorso oltre cinque anni in carcere. Il vergognoso attacco delle autorità egiziane alla libertà di stampa e di espressione deve cessare. Shawkan deve tornare in libertà subito e senza alcuna condizione. Per noi è un prigioniero di coscienza, detenuto solo per aver esercitato la sua professione di giornalista.