L’Egitto non è affatto un paese stabile, né dal punto di vista socio-economico né delle libertà fondamentali. La gente non trova lavoro, il costo della vita continua ad aumentare e il governo fa di tutto per limitare gli spazi del dissenso”. A parlare con l’agenzia ‘Dire’ è Patrick Zaki, attivista per i diritti umani e ricercatore presso l’Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr), una ong che si occupa di diritti della donna e di genere.

Ogni giorno la popolazione subisce violazioni di ogni tipo” denuncia l’esperto. “Solo nell’ultima settimana c’è stata un’ondata di arresti di oppositori politici molto noti”.

Secondo il quotidiano indipendente ‘Mada Masr’, si tratta di sette persone, poi convocate dalla Procura generale per “interrogatori preliminari” con l’accusa di legami con gruppi terroristi. Si tratta di un ex ambasciatore, Masoum Marzouk, di due docenti universitari, Yehia al-Qazzaz e Abdel Fattah Saeed, dell’economista Raed Salama,  dell’avvocato Ahmed Abdel Latif e degli attivisti Nermeen Hussein e Amr Mohamed.

Secondo il quotidiano indipendente, ai sette – che sono ancoran in carcere – sono state fatte domande sulle opinioni politiche, i rapporti coi gruppi di opposizione e la loro partecipazioni a manifestazioni di piazza, tra cui anche quelle del febbraio 2011 che hanno condotto al rovesciamento del regime di Hosni Mubarak.

Oggi, in occasione della Giornata internazionale delle persone scomparse, vari movimenti della società civile hanno denunciato il pugno duro del governo del presidente Abdel Fattah Al-Sisi contro il dissenso e fatto appello alla liberazione di questi sette oppositori, oltre agli altri attualmente in carcere: 60mila, secondo un’inchiesta del 2017 del ‘New York Times’ intitolata ‘Generation Jail’ – la generazione in carcere.

Il pensiero di Zaki però va anche alle vittime di tortura, o ai desaparecidos. “Ci battiamo per i nostri attivisti, ma anche per Giulio Regeni” sottolinea l’attivista. “Le istituzioni cercano di impedire che se ne parli. Voci contrarie non sono ammesse. Noi ong subiamo minacce e il dissenso sulla stampa e i social media viene impedito. Ci restano solo gli organi di informazione internazionali”.

Ieri Al-Sisi ha sostenuto che dal 2016 non si registrano immigrati egiziani in Europa. “Mi baso su ciò che vedo intorno a me” dice Zaki. “Tutti cercano di lasciare il paese. Raggiungere l’Europa è quasi impossibile, quindi la gente guarda all’Asia, dove in molti paesi non è richiesto il visto”.

Stando a statistiche ufficiali, nel primo quadrimestre del 2018 la disoccupazione in Egitto si è attestata al 10,6 per cento. I giovani sono i più colpiti, con il 75,2 per cento tra i 15 e i 29 anni che risultano senza impiego.