Alfonso Di Stefano è membro del comitato di base di No Muos – No Sigonella e fa parte del più ampio movimento No M.U.O.S. in Sicilia. Nel quadro della settimana d’azione “Stop Air Base Ramstein” ha partecipato come uno dei ospiti provenienti da 12 paesi all’incontro internazionale contro le basi militari straniere nella Chiesa della Riconciliazione di Kaiserslautern.

In questa intervista Di Stefano parla della protesta contro le basi militari americane in Italia, della crescente xenofobia e del perché i movimenti contro la guerra e contro il razzismo sono complementari.

Perché sei venuto dalla Sicilia qui a Ramstein?

È stata una grande opportunità quella che ci è stata data dagli organizzatori di questa assemblea e soprattutto della manifestazione di domani contro la base di Ramstein, perché appunto noi in Sicilia resistiamo da anni.

Personalmente seguo la base di Sigonella dai tempi della lotta contro gli Euromissili a Comiso dagli anni 82 / 83 fino a oggi, che poi ha dato luogo alla Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella, che fu lanciata nel marzo 2003 quando iniziò il secondo intervento di guerra in Iraq. Riuscimmo a battezzare diciamo questa campagna con una manifestazione di ben 15 mila persone attorno alla base più grande del Mediterraneo.

Purtroppo appunto da allora fino a ora la base si è espansa sempre più, sta diventando o è diventata la capitale mondiale dei droni. È da pochi giorni di dominio pubblico, dopo che il governo italiano ha riconosciuto che operano nella base di Sigonella i droni armati Reaper e Predator, però l’ha saputo nel gennaio 2016. È notizia di pochi giorni che invece è stato riconosciuto dagli Stati Uniti che degli attacchi che hanno devastato la Libia dal marzo 2011, la stragrande maggioranza è partita proprio dalla base di Sigonella, 550 attacchi.

Quindi tenendo conto che gli effetti collaterali di questi interventi chirurgici sono la morte di centinaia o migliaia di civili, conosciamo le responsabilità che l’Italia ha avuto in questi anni, però all’oscuro del Parlamento, che neanche sa appunto gli interventi che sono partiti da lì. Noi ci tenevamo molto a una relazione con la resistenza che si sta esprimendo da anni anche qui a Ramstein proprio per costruire delle relazioni internazionali con tutti i movimenti NoWar e NoBasi.

Quali sono le tue speranze? Cosa ti aspetti come risultato da questa conferenza? Come proseguire?

Ho appreso con molto piacere che ci si dà appuntamento a Dublino a novembre proprio per costruire delle relazioni europee. Noi vogliamo dare il nostro contributo anche portando l’esperienza che si è costruita in dieci anni di lotte e di manifestazioni che abbiamo fatto a Niscemi, però poi ci serve soprattutto lo stimolo di confrontarci con altre esperienze di resistenza.

Io ho avuto modo appunto di accennare al ruolo diciamo di guerra e di morte quotidiana che c’è sia a Sigonella, sia con la messa in funzione del M.U.O.S. e sia anche con l’attività del porto nucleare di Augusta, sono tutte diramazioni del cancro originario della militarizzazione della Sicilia che è l’esistenza della base di Sigonella, operativa dal ’59.

Alfonso Di Stefano del Comitato No Muos

Quindi stiamo celebrando 70 anni di micidiale presenza di questa base. In più in questi giorni si vede sempre più come la base di Sigonella dia un supporto non solo logistico, ma anche militare, con il volo degli Hyper (velivoli con o senza pilota) per contribuire alle operazioni EunavForMed. E ora temiamo con Themis la seconda parte di questo intervento, che fa parte della presenza dell’agenzia Frontex, che dal giugno 2016 ha trasferita la sua sede operativa proprio a Catania. Temiamo che Sigonella contribuisca anche alle nuove politiche di guerra contro i migranti della fortezza Europa.

Nell’opinione pubblica in Italia, ti augureresti che la protesta fosse un tema? Com’è l’opinione pubblica in generale?

L’opinione pubblica purtroppo oscilla, si fa manipolare dagli effetti devastanti che i media hanno avuto nell’amplificare la propaganda xenofoba del neo-ministro Salvini.

Per cui se si parla purtroppo anche in Sicilia con le persone si pensa che c’è in corso un’invasione dei migranti, un’emergenza che non si può sostenere. Ora diciamo che già dall’operazione Mare Nostrum, lanciata subito dopo la tragedia del 3 ottobre e del 11 ottobre 2013, è iniziato il processo di militarizzazione dei nostri mari. Solo che l’operazione Mare Nostrum nei fatti favorì un po’ l’ingresso di migranti. Non era necessario ancora il ricorso all’uso della forza per prendere le impronte digitali. E da allora c’è stata un’escalation razzista che ha accecato l’opinione pubblica e che però crea consensi elettorali alle forze che oggi ci governano.

Per cui ora il nemico principale non è la guardia costiera libica, i lager libici finanziati con i soldi dei cittadini italiani per evitare di costruire gli hotspot in Italia. Quindi ora la diatriba fra governi europei è dove costruiamo i carceri etnici, nel sud dell’Europa o nel nord dell’Africa, esternalizzando così le frontiere europee nel Nordafrica.

Il problema è che non ci devono essere carceri per chi non commette un reato; bisogna garantire la libera circolazione. Non riusciamo a capire perché chi è nato nella parte giusta del pianeta si può costruire un progetto di vita per migliorare il proprio futuro girando il mondo, mentre chi è nato dalla parte sbagliata deve essere criminalizzato.

La cosa più vergognosa è che proprio da Catania parte l’offensiva iniziata già un anno e mezzo fa da parte del procuratore per criminalizzare le preziose attività di salvataggio di donne, uomini e bambini da parte delle ONG delle navi umanitarie.

Ora assistiamo in tutti i telegiornali a un tiro al piccione concentrato contro le ONG delle navi umanitarie definite dalla ministro Salvini “voraci”. Voraci di che? Di umanità? Ed infatti stanno regalando altre dieci motovedette alla guardia costiera libica per impedire le partenze. Così si stanno calpestando tutti i trattati internazionali e quindi assistiamo al naufragio dei diritti da parte della fortezza Europa.

Pensi che il governo tedesco abbia un ruolo, una responsabilità particolare?

Tutti i governi sono responsabili, chi più e chi meno. Siamo appunto per i diritti umani, il diritto d’asilo in tutto il pianeta, per cui il problema non è se uno è un po’ meno razzista, il problema è che dobbiamo cacciare via il razzismo. È quello che abbiamo anche accennato nell’intervento e si sta discutendo proprio oggi. I movimenti contro la guerra e contro il razzismo sono complementari, cioè non capiamo la differenziazione.

Un movimento NoWar antimilitarista deve riuscire a coniugarsi con chi si batte per i diritti alla libera circolazione dei migranti e viceversa. Perché per poter giustificare le politiche di guerra i governi europei hanno bisogno di attizzare la guerra fra poveri per costruire il consenso sociale.

Però nella guerra fra poveri chi vince sono sempre gli sfruttatori e quindi o si costruisce la solidarietà fra tutti i popoli oppressi e sfruttati oppure nei fatti prevale la xenofobia e il razzismo dei penultimi contro gli ultimi arrivati.

Cosa succederà nel prossimo futuro?

Faremo un campeggio No M.U.O.S. a Caltagirone, in Sicilia, dal 2 al 5 agosto, con una manifestazione nazionale il 4 agosto. Volevo anche ricordare che avremo come ospiti dal 16 al 20 luglio 250 – 300 attivisti di movimenti antirazzisti e antimilitaristi spagnoli della Caravana  abriendo fronteras. Sono intervenuti in Spagna, a Calais, nell’isola di Lesbo e ci tenevano a venire in Sicilia proprio perché la Sicilia è un avamposto delle guerre delle basi Usa-Nato e frontiera sud della fortezza Europa. Quindi prima della manifestazione nazionale del 4 agosto, abbiamo questo importante appuntamento per ospitare in Sicilia nei vari luoghi delle frontiere interne e della militarizzazione anche questa delegazione di spagnoli, che ci danno certamente forza e incoraggiamento a proseguire la nostra lotta. No M.U.O.S. fino alla vittoria!

Intervista da Reto Thumiger e Gaëlle Smedts