– Hai visto, Madina? Volevi un cane; eccolo! Bello, vero?

– Ora però non scassare ancora, non ci sei solo tu.

– No un altro palloncino no Madina.

– Please, Daniel!

– No, te l’ho detto, non ci sei solo tu.

Domani, magari.

Madina era una ragazzina di sei anni. Occhi grandi. Afghana di origine. Si trovava in Serbia, sino a poco tempo fa. Seguì la sua famiglia in fuga dalla guerra. L’ennesima “guerra lampo” che iniziò il 7 ottobre del 2001, sedici anni fa, con un bombardamento aereo anglo americano sui campi di addestramento terroristico talebano. Da allora il caos. Madina nacque, dieci anni dopo, in un campo sfollati, dentro l’Afghanistan e poi iniziò ad oltrepassare il confine come rifugiata. A sei anni raggiunse il campo di Bogovadja in Serbia, ove Ipsia lavora con Caritas, nella rotta migranti. Frequentò il “social cafè” uno spazio di socialità e educazione non formale per i profughi. Lì imparò un po’ di geografia giocando con i volontari. In primis il suo nome che richiama la città santa: Medina – la città radiante (come lei del resto); poi il nome del suo paese (Afghanistan), poi del paese che la stava ospitando (Serbia) e il paese tanto desiderato dai suoi genitori (Croazia). Imparò cosa fosse l’Europa e cosa l’India o il Pakistan ove si rifugiò quel cattivone (Bin Laden) contro il quale si scatenò molti anni prima della sua nascita la guerra che la portò in quel social caffè.

In quello spazio di aggregazione e di informalità, di rottura dalla routine quotidiana, dal trascorrere del tempo sempre uguale a se stesso sorto grazie alla solidarietà di molti. In attesa di… Di cosa? Del momento giusto, dell’occasione… per attraversare il confine con la Croazia, per l’Europa.

Ci racconta Daniele (un volontario Ipsia) dal suo blog: “Chiamala speranza, chiamalo desiderio, chiamalo sogno, è il faro nella notte, è l’idea che domani sarà sempre meglio, saremo al di là di questo filo spinato che ora ci sbarra il passo, faremo ciao con la mano ai poliziotti di confine, faremo ciao dando loro le spalle. A volte capita però che sono loro a far ciao a noi. E che sì, le spalle gliele diamo, ma per tornare indietro. Il più delle volte, a dir la verità. Game over, scommessa persa. Niente di nuovo, ci saranno altre occasioni.

E anche oggi Welcome Europe domani. Madina tornava indietro assieme a mamma e fratelli, di notte, rimbalzata da polizia e filo spinato. Erano lungo la ferrovia – Tornate indietro da lì – gli han detto. Solo che ferrovia non è solo binari, a volte è anche locomotiva e vagoni. E’ Treno. Treno? Cazzo, un treno! Nel buio, tutti si sono scansati per evitare l’espresso in arrivo. Tutti? Tutti. Tutti tutti? Ma sì certo, ti ho detto tutti! Ed invece non andò proprio così. Non tutti. Madina, sveglia e furba, a questo giro non è stata abbastanza “rapida”.

Il presidente di Ipsia nazionale Mauro Montalbetti commentò la scomparsa di Madina che conobbe e coccolò nei suoi viaggi di valutazione a ritroso della rotta balcanica con le parole di Montale: “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe… codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”! Ma, in cooperazione, spesso non si ha nemmeno il tempo di piangere. Ci sono campi di volontariato da organizzare; giovani da far partire dall’Italia verso la Bosnia, la Serbia, il Kossovo! Dal 12 al 23 dicembre c’è stato il primo campo. Dal 26 dicembre al 7 gennaio il secondo campo winter di Terre e Libertà.  

Sono centinaia i giovani italiani che da 20 anni si muovono ogni anno oltre mare; oltre quel pensiero chiuso, protettivo, autarchico e razzista. Centinaia di giovani e “diversamente giovani” che vanno nella direzione opposta per incontrare nuove Madina. Per narrare che l’Europa non è solo filo spinato, manganelli e raduni di teste rasate.

 

Fabio Pipinato