Eleonora De Pascalis ha incontrato Malalai Joya durante una sua visita in Italia in occasione di un tour di conferenze sull’Afghanistan organizzato dal CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) nell’aprile 2017. L’intervista è divenuta parte della ricerca per la sua tesi triennale su “Come ginestre nel deserto. La speranza augurale delle donne afghane nel Landay”. Questo è un estratto dei passi più significativi.

Ancora oggi, dopo gli innumerevoli interventi internazionali e i fondi umanitari mai arrivati, o distribuiti tra i Signori della Guerra, “[…] la qualità della vita delle donne afghane […] è un inferno.”

Ad affermarlo con tenacia è Malalai Joya, attivista umanitaria, ex parlamentare della Farah, personalità carismatica e una delle donne più coraggiose dell’Afghanistan. A soli 25 anni ha denunciato pubblicamente nella Loya Jirga del 2005, la più grande e importante assemblea del suo paese, la presenza intollerabile in Parlamento dei Signori della Guerra.

Noncurante delle minacce e degli attentati alla sua vita subiti dal 2005 ad oggi, risponde con il vigore di una vita spesa per la sua terra e costruita sull’esempio di donne coraggiose, “[…] come Meena Keshwar Kamal, fondatrice di RAWA e Malalai di Maiwand, che hanno determinato la storia del nostro paese.”, contro autorità misogine che da sempre hanno paura “[…] che le donne assumano potere attraverso la cultura, la musica, le canzoni, l’espressione poetica e sensibile della loro femminilità e che attraverso queste assumano un potere anche politico. […] Queste donne sono diventate eroine attraverso la resistenza che hanno messo in atto.”

Sono un esempio culturale costruttivo per tutte le donne, per le quali, come Malalai stessa ha vissuto nella sua infanzia e nel suo percorso scolastico, l’istruzione è un miraggio, un sacrificio che, a causa dei talebani e delle guerre, muore nelle violenze e negli attentati organizzati contro le scuole. Il diritto all’istruzione per uomini e donne è l’anima del messaggio di Malalai, è il motore che permette loro di “[…] combattere una mentalità dannosa per entrambi. Lo scopo finale, però, è che siano le donne ad autodeterminarsi, a prendere le migliori decisioni per sé stesse. La soluzione, anche contro la violenza sulle donne, è l’educazione. Il problema non riguarda solamente il fondamentalismo perché la mancanza di educazione porta spesso questi uomini a essere violenti verso le donne, ad esercitare violenza domestica, a ucciderle, a negare loro ogni diritto. Per cui, ancora una volta, il problema fondamentale è che questi maschi sono completamente ignoranti.”

Il coraggio delle donne, delle madri e dei bambini che ogni giorno sfidano la minaccia talebana per perseguire il desiderio di studiare, “[…] è significativo di come la società sarebbe pronta, ma non ci sono chance, non ci sono strumenti. Se per mandare a scuola i tuoi figli hai paura che possano essere rapiti o le bambine stuprate, allora impedisci loro di andarci perché gli vuoi bene e non perché sei ignorante. Il fondamentalismo blocca l’accesso alla cultura per maschi e femmine perché la considera un pericolo. La società, anche quella dominata dalla forza maschile, sarebbe pronta a ricevere un messaggio di laicità. Ma purtroppo non le si dà alcuna chance.”.

È la testimonianza di un Afghanistan che continua a bruciare di vita sotto le ceneri della guerra, una speranza concreta che Malalai tiene a diffondere: “[…] sono le povere bambine stuprate e picchiate che incontri negli ospedali. Quando domandi loro “vuoi tornare a scuola, nonostante tutto?” ti rispondono piene di speranza “si, voglio tornare a scuola”, nonostante non abbiano alcuna possibilità di appellarsi a un tribunale per ottenere giustizia. […] Vuol dire che la gente ha fame di cultura e questo è il primo segno di resistenza. Nonostante queste ragazze, queste donne, vengano fermate in tutti i modi, la loro grande speranza è di poter continuare a studiare. Questo ci dà coraggio.”

Un coraggio, però, ostacolato dall’intervento americano e della NATO, esclusivamente interessati a sostenere il fondamentalismo, ad ignorare le istanze di giustizia rivendicate dal popolo, ad accettare nel nuovo governo afghano la presenza di assassini, macellai, misogini come Gulbuddin Hekmatyar, che “[…] ha ucciso, torturato, stuprato donne, ha gettato vetriolo sulle ragazze che andavano all’università […] perché non indossavano il velo” e Ahmad Shah Massoud, eletto eroe nazionale per mano della Francia.

In particolar modo il ritorno di Gulbuddin Hekmatyar “[…] non ha gettato il terrore soltanto sulle forze progressiste e su coloro che lavorano per il progresso della società afghana, ma anche sulla gente comune. […] È in tutti i report di Amnesty International, di Human Rights Watch, su qualunque articolo che si interessi di diritti umani violati, di crimini. È stato chiamato il macellaio di Afshar perchè ha ucciso centinaia di persone […] Lui è stato uno di quelli che ha distrutto la città di Kabul con i razzi. Questa è la persona che le Nazioni Unite hanno cancellato dalla lista dei terroristi e hanno rimandato in Afghanistan […] in nome del processo di pace e di riconciliazione […]. Questo processo di pace e di riconciliazione è peggio della guerra. È una caricatura di pace.”

Un intervento straniero votato alla Democrazia di cui Malalai, considerati gli effetti sul paese, ha un’idea ben precisa: “Della vostra democrazia non abbiamo conosciuto altro che bombe, per noi è la madre della madre di tutte le bombe, è il fosforo bianco e tutte quelle sostanze che ci hanno lanciato addosso in questi anni e stanno distruggendo le donne incinta che partoriscono bambini malformati, ampie zone di terreni non più coltivabili. Questo è quello che conosciamo della vostra democrazia.”.

Sono gli esempi di uomini straordinari, come Re Amānullāh Khān, fautore dell’indipendenza afghana dall’Inghilterra e forte sostenitore dell’emancipazione delle donne, le sue guardie del corpo, che rischiano ogni giorno la vita, e la figura in particolare del padre grazie al quale Malalai ricorda “[…] Quella che sono lo devo a lui. Tutti questi grandi uomini, in qualche modo dimenticati, per me sono eroi viventi”, a essere testimonianza di un movimento che liberi le donne, ma anche gli uomini da una cultura misogina e religiosa strumentalizzata affinché sia mezzo di controllo e di repressione.

Malalai cita le donne protagoniste di movimenti di resistenza come quello del Rojava, a Kobane, rappresentative di una “[…] lezione straordinaria, davanti a tutto il mondo, di quello che le grandi potenze non sono riuscite a fare: difendere Kobane dai fondamentalisti. È un esempio di forza straordinaria.”. Al contrario del territorio afghano, dove ancora “Il movimento delle donne in Afghanistan è residuale, piccolo, non è molto forte in questo momento.”, ma vanta la presenza di donne come “[…] Selay Ghaffar, ex direttrice di HAWCA e portavoce del Partito della Solidarietà Afghana, uno dei pochi, se non l’unico partito progressista in grado di mobilitare, negli ultimi quindici anni, centinaia di migliaia di persone in manifestazioni per tutto il paese.”.

La libertà, un territorio del quale le potenze internazionali si sono appropriate attraverso promesse, interventi economici in favore delle donne, contro il potere fondamentalista e l’avanzata di una popolazione verso il baratro della dipendenza dall’oppio americano e talebano, è un sogno al quale Malalai, giovani donne e uomini, dedicano la propria vita, affinché significhi “[…] che le donne si divertano durante la loro vita, che amino la vita, che siano libere dalla droga. […] Libertà vuol dire poter cercare un lavoro, avere sicurezza. Libertà è poter respirare in pace.”.

Malalai Joya è la portavoce più carismatica e appassionata del desiderio di un popolo di emergere nella giustizia, nella legalità, nella trasparenza di una convivenza con il mondo alla quale l’orecchio occidentale, colpevole da decenni di una totale sordità all’umano, deve porgere la sua totale attenzione.

L’appello alle popolazioni europee spinge contro un silenzio-assenso alle politiche militari dei governi. Come lei stessa mi ha voluto sottolineare con forza: “Il silenzio della tua gente è peggio della complicità.”.

Eleonora De Pascalis
Intervista a Malalai Joya del 19 aprile 2017 svolta via Skype grazie al sostegno del CISDA per la tesi triennale “Come ginestre nel deserto. La speranza augurale delle donne afghane nella tradizione poetica del Landay.”.

Per leggere l’intervista completa  clicca qui

http://www.osservatorioafghanistan.org/2017/12/quando-la-resistenza-diventa-un-fatto-di-donne-intervista-a-malalai-joya/