Scadrà tra pochi giorni l’interdizione dai pubblici uffici scattata con le pene inflitte solo cinque anni fa, a dieci anni da fatti, ad alcuni poliziotti condannati dopo i fatti della scuola Diaz di Genova e l’introduzione nell’edificio delle false molotov durante il G8 del 2001. La notizia è stata anticipata da Secolo XIX e Repubblica. Alcuni di quei poliziotti sono già in età pensionabile, mentre altri potranno essere reintegrati in servizio. Tra questi l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, l’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola e il funzionario di polizia Pietro Troiani, mentre Massimo Nucera, il poliziotto che raccontò mentendo di aver ricevuto una coltellata, è già stato reintegrato.

L’impossibilità per i magistrati di accertare le responsabilità personali in molti singoli episodi, vergogna di omertà nella vergogna, ridusse le condanne possibili al solo reato di falso, cioè la firma sotto al verbale in cui si dichiarava che all’interno della scuola erano presenti alcune molotov, in realtà introdotte da alcuni agenti di polizia. A sedici imputati furono inflitte pene tra i 2 e i 14 anni, ma la gran parte sono state da 3 anni e 8 mesi. Nessuno dei colpevoli andò mai in carcere. Vennero colpiti anche alcuni tra i massimi dirigenti di allora, finiti per un certo tempo ai domiciliari, come Francesco Gratteri e Giovanni Luperi. Dei 16 condannati la metà ha potuto andare in pensione, mentre per gli altri è concreta la possibilità di rientrare in servizio.

Altri dettagli forniti da Marco Preve sollevano ulteriore indignazione. La scadenza si intreccia con un passaggio molto duro dell’ultima sentenza sui fatti della Diaz, con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha nuovamente condannato l’Italia per l’assenza del reato di tortura. La legge, tra mille contestazioni, è stata approvata pochi giorni fa. Partiamo da alcuni rientri improbabili che aiutano però a capire le rete di ‘aiuti’ e di solidarietà omertosa attorno ai colpevoli di maggior richiamo. Gilberto Caldarozzi, un passato da cacciatore di mafiosi e capo del Servizio centrale operativo, sospeso dalla Polizia, ha lavorato per le banche ed è poi stato chiamato come consulente della sicurezza a Finmeccanica dal suo vecchio capo, il presidente del colosso di stato, Gianni De Gennaro. Difficilmente lo vedremo nuovamente in Polizia

Rientro improbabile anche quello di Filippo Ferri, il più giovane dei dirigenti condannati, figlio dell’ex ministro e fratello dell’attuale sottosegretario alla giustizia Cosimo, magistrato. Ferri è attualmente responsabile della sicurezza del Milan. Tra gli altri possibili rientri anche quelli di altri condannati per i falsi verbali, Salvatore Gava, ex dirigente di squadra mobile che oggi lavora per Unicredit, attività manageriale che starebbe svolgendo anche un altro condannato per la Diaz, quel Fabio Ciccimarra che è stato condannato in appello (prescritto in Cassazione) per sequestro di persona per i fatti del G7 di Napoli alla Caserma Raniero, sempre nel 2001.

Va anche detto che i responsabili della “macelleria messicana”, come la definì il vicequestore Massimiliano Fournier, che dovevano rispondere di lesioni gravi, dalla polizia non se ne sono mai andati. Come tutti gli agenti picchiatori che, nonostante la presenza dei migliori investigatori quella notte alla Diaz, non vennero mai identificati. Strano, vero? Pensare che gli stessi giudici della Corte di Strasburgo che hanno condannato l’Italia per l’assenza del reato di tortura, citano come attenuante per il paese le sanzioni che avrebbero comunque punito i colpevoli, tortura o meno, come appunto, «sanzioni pecuniarie proporzionate al salario individuale […] Alcuni sono stati sanzionati con l’interruzione del servizio o con il blocco delle carriere».

Tradotto, signori giudici del tribunale internazionale, i 47 euro con cui si punì un poliziotto che finse di aver ricevuto una coltellata. Quanto al blocco delle carriere -segnala sempre Marco Preve- i principali condannati come Franco Gratteri e Giovanni Luperi raggiunsero le posizioni apicali della polizia mentre il processo nei loro confronti era ancora in corso.

Il capo della polizia oggi: “Il G8 di Genova fu una catastrofe”: Gabrielli e le responsabilità di quei giorni. “Al posto di De Gennaro mi sarei dimesso”. Un’intervista di Carlo Bonini su Repubblica. «Non dobbiamo più continuare a camminare in avanti con lo sguardo rivolto all’indietro», dice il capo della Polizia Franco Gabrielli a 16 anni dal drammatico G8 di Genova. «Perché se Genova, ancora oggi, è motivo di dolore e diffidenza, allora vuol dire che in questi 16 anni la riflessione non è stata sufficiente. Né è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori».

 

Ennio Remondino da Remocontro.it