A seguito della pubblicazione del Decreto Legge del Governo sulle vaccinazioni obbligatorie, Il Consiglio provinciale di Bolzano ha recentemente approvato all’unanimità un documento nel quale si chiede “lo stralcio delle misure coercitive ed una campagna di sensibilizzazione ampia ed equilibrata”.
Nel frattempo Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha annunciato un possibile ricorso alla Corte Costituzionale contro il Decreto del Governo. Il ricorso – stando alle anticipazioni – verterà su tre punti: l’assenza di un’emergenza sanitaria che giustifichi il decreto d’urgenza, il consenso informato che esime il sistema pubblico dal risarcimento per eventuali danni causati dal vaccino e la mancanza di copertura finanziaria del provvedimento.
A questo punto è utile conoscere quali siano stati finora i pronunciamenti della Consulta in riferimento alle vaccinazioni obbligatorie e agli argomenti analoghi o connessi.

Anzitutto con la sentenza n. 307 del 1990, riguardante la “obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica”, la Consulta ha stabilito che “un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”. Ciò significa che dovrebbe essere dimostrato che le conseguenze di un trattamento sanitario obbligatorio non possano essere gravi e permanenti, perché altrimenti sarebbero intollerabili. Inoltre, la Corte afferma un principio di fondamentale importanza: “il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”. La solidarietà verso gli altri può portare ad un obbligo per il singolo, anche in presenza di un certo rischio (che però deve essere indicato in modo preciso e non generico), ma tale costrizione trova un limite insuperabile nel diritto alla salute di ogni persona, che non può essere sacrificata per la tutela della salute altrui.

Anche la sentenza n. 132 del 1992 è relativa alla “obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica”. In questo caso la Corte ritiene “non fondata” la richiesta di annullare la legge sull’obbligo della vaccinazione poiché, oltre ad una sanzione, non prevede “un adeguato strumento di coercizione nel caso in cui il minore non venga sottoposto al trattamento dall’esercente la potestà genitoriale”. La Consulta, pur riconoscendo la legittimità delle vaccinazioni obbligatorie e di una sanzione per chi non rispetta l’obbligo di legge, afferma che ciò non implica necessariamente una coercizione. Secondo la Corte l’eventuale “rimedio va peraltro considerato nel quadro delle altre misure previste dall’ordinamento per la tutela del diritto alla salute della collettività rispetto ai rischi connessi al mancato adempimento dell’obbligo alla vaccinazione, nonché delle misure che l’ordinamento prevede per la tutela degli interessi del bambino, anche nei confronti dei genitori che non adempiano i compiti inerenti alla cura del minore”. In ultima analisi la Consulta afferma che “spetta al giudice rimuovere o superare decisioni dell’esercente la potestà che, in violazione di precisi doveri siano pregiudizievoli al minore stesso, adottando i provvedimenti che egli ritiene convenienti nell’interesse del minore”. Insomma, non è possibile stabile un automatismo, ma occorre valutare caso per caso.

La sentenza n. 258 del 1994 fa riferimento alle quattro “vaccinazioni obbligatorie” prescritte dalle leggi vigenti: antipolio, antidifterica, antitetanica e contro l’epatite virale B”. La Corte, sottolineando la “necessità di realizzare un corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite”, rinvia la tematica ad un ambito tecnico-scientifico. Infatti, secondo la Consulta, “si renderebbe necessario porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico che, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, individuasse con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, e determinasse se e quali strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità fossero praticabili su un piano di effettiva fattibilità”. La Corte, pur ritenendo inammissibile un ricorso contro l’obbligo delle vaccinazioni, richiama “l’attenzione del legislatore stesso sul problema affinché, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, siano individuati e siano prescritti in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze”. Si potrebbe concludere che le vaccinazioni obbligatorie generalizzate implicano necessariamente accertamenti preventivi approfonditi.

Questa impostazione, che pone in primo piano l’aspetto scientifico del problema, è confermata dalla sentenza n. 282 del 2002, relativa alla decisione della Regione Marche di sospendere alcune terapie e interventi di psicochirurgia. La Corte anzitutto spiega che “la pratica terapeutica si pone all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto questo che l’art. 32, comma 2, secondo periodo, Costituzione pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica. Questi diritti, e il confine fra i medesimi, devono sempre essere rispettati”. La Consulta indica anche qual è la via maestra da seguire in campo sanitario: “salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali, non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione”. Interpretando questa sentenza,  ci si potrebbe chiedere se anche la prevenzione vaccinale possa essere inserita a pieno titolo nell’ambito della deontologia professionale del medico in relazione al paziente, che deve essere informato sullo stato delle conoscenze scientifiche e dal quale eventualmente ricevere il consenso per una determinata pratica sanitaria. In questa prospettiva non sarebbe compito del legislatore entrare nel merito di quali vaccinazioni sia opportuno proporre ai singoli cittadini (che sono diversi tra loro e la cui salute soltanto il medico conosce in modo specifico) o addirittura stabilire se (e quali) debbano essere obbligatorie. Le scelte terapeutiche sono affidate alla responsabilità del medico e al consenso informato del paziente: non dovrebbero fondarsi su valutazioni discrezionali del legislatore stabilite come obbligo indiscriminato.

Una sentenza analoga è la n. 338 del 2003, relativa alla regolamentazione introdotta anche dalle Regioni Piemonte e Toscana, anche in questo caso per terapie e interventi di psicochirurgia, che specifica: “la valutazione di illegittimità di norme regionali tendenti a vincolare le scelte terapeutiche non equivale in alcun modo al riconoscimento della liceità di pratiche (quali, in ipotesi, gli interventi di c.d. psicochirurgia di cui è parola nelle leggi impugnate) delle quali possa essere messa in discussione la natura stessa di terapie piuttosto che di interventi soltanto lesivi dell’integrità dei pazienti, e che, in questa seconda ipotesi, rientrerebbero nell’ambito di previsione di generali divieti”. La Corte ha confermato l’illegittimità costituzionale di interventi legislativi (in questo caso di livello regionale) che pretendano di incidere direttamente sul merito delle scelte terapeutiche, poiché tocca agli organismi competenti “stabilire il confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali”.

Nella sentenza n. 438 del 2008 relativa a “norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti” viene precisato: “la circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione”. Ovviamente la sentenza non riguarda le vaccinazioni obbligatorie, ma anche in questo caso si sottolinea il diritto ad una adeguata informazione su tutti i percorsi terapeutici possibili.

Alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale fin qui richiamate è arduo derivare un preciso giudizio sul contenuto del Decreto Legge 7 giugno 2017 n. 73 “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale”, che attualmente è all’attenzione del Parlamento per l’eventuale conversione in Legge (entro 60 giorni dall’emanazione).
Si può però ragionevolmente affermare che il consistente aumento del numero delle vaccinazioni obbligatorie (da quattro a dodici) dovrebbe essere scientificamente motivato, a maggior ragione che la scelta legislativa dell’Italia non trova riscontri in tutti gli altri Paesi europei.
Inoltre, l’ampliamento dello spettro delle vaccinazioni considerate obbligatorie dovrebbe implicare un adeguato livello di accertamenti preventivi “idonei quanto meno a ridurre il rischio, pur percentualmente modesto, di lesioni della integrità psico-fisica per complicanze da vaccino”, relativamente alle dodici malattie che si vorrebbero prevenire. In altre parole, se da un lato si aumenta lo spettro della coercizione, dall’altro dovrebbe essere obbligatorio restringere il più possibile il campo dell’indeterminatezza e del rischio. L’accertamento preventivo è un principio fondamentale di precauzione, rilevante in un settore così sensibile come la salute delle persone, in particolare trattandosi di minori.
A tutto ciò occorre aggiungere che – a maggior ragione in presenza di una coercizione – andrebbe ampliata l’informazione documentata: se di norma si ritiene fondamentale il consenso informato del paziente, a maggior ragione dovrebbe essere ancor più informato chi dissente, le cui ragioni andrebbero attentamente considerate sia dalle strutture sanitarie sia dalle istituzioni politiche.
Infine, la questione delle vaccinazioni obbligatorie non può certo essere risolta (o sanata) con una sanzione pecuniaria elevata, poiché ciò è palesemente discriminatorio tra cittadini ricchi e poveri, non potendo questi ultimi risolvere il problema con un’ammenda che può arrivare fino a 7.500 euro per ogni minore non vaccinato.

In conclusione, è il caso qui di ricordare che l’architettura della Costituzione repubblicana è stata costruita partendo da un ordine del giorno, presentato in Assemblea Costituente il 9 settembre 1946 da Giuseppe Dossetti, nel  quale si affermava anzitutto la necessità che il nuovo Statuto dell’Italia “riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella pienezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella”. Gli attuali legislatori ne sono consapevoli?