Le elezioni legislative francesi seguono a ruota le elezioni presidenziali. Lo slancio assicura virtualmente una maggioranza presidenziale. Dunque è stato dato per scontato che gli elettori avrebbero consegnato al presidente Emmanuel Macron un parlamento docile per il suo mandato quinquennale.

Ma queste elezioni sono state eccezionali. La vittoria del partito personale di Macron, la République En Marche (REM), è una novità per molti aspetti. Non solo il REM ha conquistato una maggioranza assoluta di 350 seggi su 577 all’Assemblea Nazionale. La vittoria del REM ha anche dissanguato i due tradizionali partiti di governo, i Repubblicani e i Socialisti, forse fatalmente.

Con oltre 130 seggi il Partito Repubblicano dell’ex presidente Nicolas Sarkozy e dei suoi alleati è arrivato secondo e così si classifica come principale partito d’opposizione. Ma poiché Macron è riuscito ad attirare in importanti posizioni nel suo governo due politici Repubblicani – Edouard Philippe come primo ministro e Bruno LeMaire come ministro dell’economia – è difficile persino per l’attuale leader dei Repubblicani, François Baroin, spiegare semplicemente come si opporranno. Come possono essere un’”opposizione di destra” a un governo che intende fare a pezzi il Codice del Lavoro, lasciando i lavoratori alla mercé degli imprenditori, liberalizzare l’economia, privatizzare e promuovere la militarizzazione europea?

Il problema dei socialisti è ancora più sinistro. Nonostante il loro forte radicamento storico in tutto il paese, hanno conquistato solo 29 seggi (che con piccoli partiti alleati dà loro un gruppo di 45 deputati). La maggior parte dei membri di spicco del governo Hollande che hanno osato candidarsi è stata sconfitta. La risicata vittoria dell’ex primo ministro Manuel Valls nella cittadina di cui era sindaco è vivacemente contestata, da folle inferocite, con accuse di brogli.

Da partito d’opposizione l’imbarazzo dei socialisti è persino peggiore di quello dei Repubblicani. Macron è stato è consigliere beniamino del presidente socialista François Hollande, ministro dell’economia nel suo governo ed è stato sponsorizzato da importanti socialisti come modo per perpetuare la loro resa all’alta finanza. Poiché molte delle personalità di spicco del Partito Socialista si sono unite a Macron, o l’hanno appoggiato, i sopravvissuti non sanno se appoggiarlo o come non farlo. La confusione è totale.

Il risultato è che cannibalizzando i due screditati partiti di governo e aggiungendo un vasto contingente di dilettanti della politica (descritti come rappresentanti della “società civile”) Macron e la sua squadra sono riusciti a creare una nuova forma di stato a partito unico. La nuova maggioranza dei deputati all’Assemblea Nazionale non è lì per rappresentare idee, o un programma, ma semplicemente per rappresentare … Emmanuel Macron. Per quanto ne vediamo, egli può fare quello che vuole e il parlamento approverà.

La vittoria di Macron è stata sia schiacciante, sia deludente. Sono stati superati tutti i record di astensione; per la prima volta in un secolo la maggioranza degli aventi diritto al voto ha evitato le urne al primo turno delle elezioni parlamentari e l’astensione è salita al 57 per cento nel secondo turno. Egli deve la sua vittoria a valanga a meno del 20 per cento degli elettori registrati.

Non c’è alcun dubbio che i risultati elettorali rivelano un rifiuto dei partiti e dei politici tradizionali e, in una certa misura, un rifiuto della politica elettorale. Questo è un risultato prevedibile del cosiddetto “potere dei mercati” che toglie potere agli elettori. Le élite politiche si sono arrese ai dettati del capitale finanziario, principalmente attraverso l’intermediazione dell’Unione Europea, dove la politica economica è disegnata e imposta agli Stati Membri. Presentato come “nuovo”, Macron è semplicemente più determinato dei suoi predecessori a far passare politiche economiche della UE, nell’interesse delle grandi banche e a spese di tutti gli altri. Ma molti di quelli che hanno votato per lui lo ha fatto fatalisticamente: “diamogli una possibilità”, un po’ come giocare al lotto.

In effetti Macron si è candidato come persona, “giovane, vigorosa, ottimista” in un tempo di pessimismo, e non come programma. E la stagione elettorale ha mostrato che le personalità contavano più dei partiti e dei programmi. Le due personalità più carismatiche nella politica francese, Marine Le Pen e Jean-Luc Melenchon, dopo i loro forti punteggi alle elezioni presidenziali, sono state comodamente elette all’Assemblea Nazionale da distretti amici (lui a Marsiglia e lei nel nord industriale depresso), ma i loro seguaci non sono corsi alle urne a sostenere i loro rispettivi partiti. Il partito di Melenchon, La France Insoumise, ha conquistato solo 17 seggi, che assieme ai dieci comunisti potrebbero fare un gruppo di 27 deputati.

Quanto a Marine Le Pen, il suo Fronte Nazionale ha conquistato solo otto seggi, quattro dal nord tradizionalmente socialista (compresa Marine) e quattro dal sud tendente a destra (compreso il compagno di Marine, Louis Aliot). Ciò riflette la divisione ideologica nel partito. Nella regione di Calais il leader vincente del Fronte Nazionale è stato un ex leader regionale del Partito Comunista, José Evrard, che proviene da una famiglia di minatori di carbone e di resistenti antinazisti. Il leader intellettuale della tendenza di sinistra, Floria Philippot, non è stato eletto ma programma di lavorare per creare un movimento “sovranista” più vasto che si opponga alla spinta di Macron a integrare irreparabilmente la Francia nelle strutture occidentali economiche e militari globalizzanti.

In breve, il presidente Emmanuel Macron è determinato a usare i suoi poteri senza precedenti di partito unico per ridurre il potere della Francia intensificando il suo impegno alla globalizzazione. Ma quanto potere ha realmente lui, o è uno strumento di altri poteri?

Il guru principale del potere, Jacques Attali, tende a glorificarsi senza vergogna, ma quando afferma di essere “molto orgoglioso” di aver lanciato la brillante carriera di Macron sta dicendo l’incontestata verità. Quando al presidente successivo a Macron, Attali afferma anche di sapere “chi lei è”.

Ma chiunque lui o lei sia, il punto di Attali è che il vero potere non è esercitato più dai politici, ma dalle istituzioni finanziarie. Il presidente della repubblica ha molto meno potere di quanto si pensi, ha detto in un recente dibattito televisivo. Un motivo è l’euro, ha detto, che “significa che larga parte della politica economica è fortunatamente diventata europea. Decentramento, grandi investimenti e grandi infrastrutture non dipendono più dallo stato. La globalizzazione e il mercato hanno vinto a mani basse. C’è un mucchio di cose che si  pensava dipendessero dal governo e che non ne dipendono più”.

I presidenti “non hanno più un potere reale sulla società”.

Quanto all’uscire dalle grinfie dei dettati europei, Attali vanta che quelli che, come lui, hanno preso parte alla stesura delle prime versioni dei trattati UE “hanno assicurato che uscire non sia più possibile”.

“Il mercato si diffonderà in settori ai quali non ha avuto sinora accesso, come la sanità, l’istruzione, i tribunali, la polizia, gli affari esteri …” Il risultato sarà un mercato dominante che causa una sempre maggiore concentrazione di ricchezza, una crescente disuguaglianza, un’assoluta priorità al breve termine e la tirannia del momento presente e del denaro, ammette cinicamente Attali.

Un senso di impotenza piuttosto realistico è alla base dell’elevato tasso di astensione e della ricerca di un leader provvidenziale.  Visto che Socialisti e Repubblicani sono stati contaminati dal Macronismo l’opposizione parlamentare seria è ridotta al piccolo partito di Mélenchon e all’ancor più piccolo partito di Marine Le Pen. Mèlenchon ha l’abilità retorica di essere la principale voce dell’opposizione all’interno del nuovo parlamento e anche fuori. Marine suscita tuttora una forte lealtà personale. Ma fintanto che non troveranno un terreno comune, la macchina di Macron giocherà sulle loro differenze per emarginarli come “destra estrema” e “sinistra estrema”. E la democrazia francese continuerà a essere depotenziata dal governo globale. Lo stato a partito unico è almeno un’espressione accurata di tale realtà.

Diana Johnstone è autrice di ‘Queen of Chaos: the Misadventures of Hillary Clinton’. Può essere contattata all’indirizzo diana.johnstone@wanadoo.fr.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-single-party-french-state/

Originale: Counterpunch

traduzione di Giuseppe Volpe

L’articolo originale può essere letto qui