Amnesty International ha diffuso nuove prove sul recente uso di bombe a grappolo di produzione brasiliana da parte della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita impegnata nel conflitto in Yemen.

L’attacco della sera del 15 febbraio contro la città di Sa’da ha provocato due feriti e ampi danni materiali. È il terzo in cui sono state usate bombe a grappolo brasiliane che Amnesty International è riuscita a documentare negli ultimi 16 mesi.

“La coalizione a guida saudita sostiene di usare le bombe a grappolo nel rispetto del diritto internazionale, ma è un’assurdità. A parte il costo in termini di vite umane, si tratta di armi inerentemente indiscriminate, che infliggono danni inimmaginabili ai civili e pertanto sono vietate dalle norme consuetudinarie del diritto internazionale umanitario in ogni circostanza”, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche presso l’ufficio regionale di Beirut di Amnesty International.

“Alla luce delle nuove prove, è urgente più che mai che il Brasile aderisca alla Convenzione sulle bombe a grappolo e che l’Arabia Saudita e gli altri stati membri della coalizione cessino di usarle”, ha aggiunto Maalouf.

Dopo gli attacchi del 15 febbraio, Amnesty International ha intervistato otto persone tra cui due testimoni oculari, uno dei quali rimasto ferito. L’organizzazione per i diritti umani ha poi parlato con un attivista locale e ha esaminato immagini fotografiche e riprese video fornite dal Centro d’azione sulle mine (Yemac), l’organismo nazionale di controllo sugli armamenti, che era giunto sul posto 30 minuti dopo l’attacco.

Lo staff dello Yemac ha anche confermato l’uso dello stesso tipo di bombe a grappolo in un attacco portato a termine a gennaio cinque chilometri a sud di Sa’da.

L’attacco contro Sa’da del 15 febbraio

Secondo i testimoni e gli abitanti, la sera del 15 febbraio sono stati lanciati razzi contenenti bombe a grappolo in direzione del centro di Sa’da. Sono stati colpiti soprattutto i quartieri di Ghoza, al-Dhubat e al-Rawdha ma anche alcune case di al-Ma’allah e Ahfdad Bilal nonché il vecchio cimitero e quello nuovo e, infine, i campi nei dintorni.

Latifa Ahmed Mu’eed, 22 anni, stava dormendo nella sua abitazione di Ahfad Bilal insieme al marito Talal al-Shihri e ai figli Hussain e Hasan, rispettivamente di tre anni e tre mesi:

“La bomba ha sfondato il soffitto ed è esplosa in camera da letto. Per fortuna i bambini non si sono fatti nulla ma erano sotto shock. Altre tre sono esplose fuori. Io e mio marito siamo stati portati all’ospedale al-Salam con schegge e ferite ai piedi”.

Questa famiglia era arrivata a Sa’da quattro mesi prima, in fuga dai combattimenti in corso a Baqim, una città a 78 chilometri da Sa’da e a 12 dal confine con l’Arabia Saudita.

Questa è la testimonianza di un abitante del quartiere di al-Ma’allah:

“Si è sentito un rumore molto forte, poi altri suoni come se si stesse diffondendo qualche oggetto. Il tutto è durato 20-30 secondi”.

Yahya Rizd dirige la 12ma squadra dello Yemac, che ha visitato i quartieri di al-Rawdha e Ahfad Bilal.

“Abbiamo rinvenuto un contenitore e una sub-munizione inesplosa. Ad al-Rawdha, una zona fittamente popolata, le sub-munizioni sono penetrate dal tetto di due abitazioni. Ad Ahfad Bilal un’altra sub-munizione ha spaccato il tetto ed è entrata in una camera da letto ferendo un uomo e sua moglie. La maggior parte dei danni ha riguardato case, automobili e altre proprietà: ad Abbiamo visto 12-13 punti d’impatto ad Ahfad Bilal e 12 ad al-Rawdha, nel frutteto. Qui abbiamo visto una sub-munizione inesplosa cadere da un albero e l’abbiamo fotografata”.

Lo Yemac ha poi visitato il quartiere di Ghoza, notando danni alle case:

“Le sub-munizioni sono cadute nei cortili di casa e tra una casa e l’altra. Sono tutte esplose senza fare feriti, ma tutto intorno le finestre erano distrutte e almeno 30 automobili danneggiate”.

Sulla base delle descrizioni fatte dal responsabile dello Yemac e dall’analisi delle fotografie e dei video, Amnesty International è stata in grado di determinare che il razzo era stato lanciato da un Astros II.

L’Astros II è un lanciarazzi terra-terra multiplo, installato su un veicolo e prodotto dalla compagnia brasiliana Avibrás. Può rilasciare in rapida successione una serie di razzi con gittata fino a 80 chilometri, ognuno dei quali contiene fino a 65 sub-munizioni. In una presentazione, l’azienda lo definisce “un importante sistema di difesa con un grande potere deterrente”.

Aumentano le prove

Il primo uso di bombe a grappolo documentato da Amnesty International in Yemen risale al 27 ottobre 2015, contro il villaggio di Ahma a nord di Sa’da. Sono rimaste ferite almeno quattro persone, tra cui una bambina di quattro anni.

Un secondo attacco è avvenuto nel maggio 2016, contro una serie di villaggi della provincia di Hajjah, 30 chilometri a sud del confine con l’Arabia Saudita.

Nel dicembre 2016 Human Rights Watch aveva già documentato l’uso di bombe a grappolo brasiliane negli attacchi contro Sa’da.

Ad oggi, Amnesty International e Human Rights Watch hanno rilevato l’uso di sette tipi di bombe a grappolo prodotte nel Regno Unito e negli Stati Uniti oltre che in Brasile. La coalizione a guida saudita ha ammesso di aver usato bombe a grappolo britanniche e statunitensi.

Ulteriori informazioni

Le bombe a grappolo contengono decine, se non centinaia, di sub-munizioni che vengono rilasciate in aria e si spargono su territori estesi centinaia di metri quadrati. Possono essere sganciate o lanciate da un aereo o, come nell’ultimo caso, esplose da razzi terra-terra.

Le sub-munizioni hanno un elevato tasso di malfunzionamento: molte di esse non esplodono all’impatto trasformandosi di fatto in mine anti-persona che mettono in pericolo la vita dei civili negli anni a venire.

L’uso, la produzione, la vendita e il trasferimento di bombe a grappolo sono proibiti dalla Convenzione sulle bombe a grappolo del 2008, che conta 100 stati parte.

Il 19 dicembre 2016 l’agenzia di stampa saudita Saudi Press Agency ha reso noto che il governo avrebbe sospeso l’uso delle bombe a grappolo BL-755 di produzione britannica; la nota proseguiva affermando che “il diritto internazionale non vieta l’uso delle bombe a grappolo” e che “né il Regno dell’Arabia Saudita né gli stati membri della coalizione sono parte” della Convenzione del 2008. Le bombe a grappolo in questione erano state usate contro “obiettivi militari legittimi” e non “in zone popolate dai civili”. Infine, la coalizione aveva “rispettato in pieno i principi di distinzione e proporzionalità del diritto internazionale umanitario”.

Sebbene a tre chilometri a nord-est di Sa’da vi sia la base di Kahlan, di per sé la presenza di un obiettivo militare non rende giustificabile l’uso di armi proibite dal diritto internazionale, specialmente se vengono impiegate contro i centri abitati.

Inoltre, anche se Brasile, Arabia Saudita, Yemen e gli altri stati membri della coalizione a guida saudita non sono parte della Convenzione, in base alle norme consuetudinarie del diritto internazionale umanitario è fatto loro divieto di usare armi inerentemente indiscriminate in ogni circostanza, anche quando s’intende colpire un obiettivo militare.

Secondo l’Osservatorio sulle mine terrestri e sulle bombe a grappolo, Avibrás ha venduto bombe a grappolo all’Arabia Saudita già in passato. Human Rights Watch ne denunciò l’uso a Khafji nel 1991, al confine col Kuwait.

 

Roma, 9 marzo 2017

 

Per maggiori informazioni:

Capitolo sullo Yemen tratto dal Rapporto 2016-2017 di Amnesty International: https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017/medio-oriente-africa-del-nord/yemen/