Durante le celebrazioni dei sessant’anni dal Trattato di Roma, i capi di Stato dei 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno firmato un nuovo Trattato, che si configura come l’ennesima burla in risposta alle sofferenze dei popoli che dovrebbero rappresentare.

Oggi tutti parlano della necessità di riformare la UE e se questo tema è entrato di prepotenza nell’agenda politica europea è perché la Brexit e l’avanzata delle destre nazionaliste lo hanno imposto. Per timore che crolli tutto, i governi dei paesi europei hanno siglato un nuovo Trattato che appare senza dubbio come un intervento di cosmesi, teso a placare l’ondata di malcontento popolare che sta montando in tutta l’Unione, ma del tutto inefficace per risolvere i problemi strutturali che fanno della UE, alla radice, una costruzione al servizio del potere finanziario.

Tutti d’accordo nel proclamare che ci sarà una svolta: basta con l’austerità, da oggi si implementeranno politiche economiche espansive a sostegno dell’occupazione, ecc. ecc.

Queste misure, quand’anche venissero effettivamente realizzate (cosa di cui dubitiamo, viste le posizioni sostenute finora dalla Germania) non andrebbero a scalfire minimamente l’impianto ultra-liberista su cui è incentrata la UE e, pertanto, non porterebbero significativi giovamenti alla situazione disperata in cui versa tanta parte della popolazione.

La parodia di Trattato firmata a Roma non mette in discussione gli aspetti critici, costitutivi della UE: la mancanza di democrazia nelle sue istituzioni; meccanismi di controllo economico sovranazionale fondati su parametri decisi a tavolino in base a criteri ultra-liberisti; una moneta comune sulla quale i singoli paesi non hanno alcun controllo e che li consegna nelle mani della finanza speculativa; la pretesa del pareggio di bilancio, che limita la spesa dello Stato e, quindi, la sua possibilità di intervenire per sostenere l’economia reale e garantire le tutele sociali ai cittadini, mentre induce e giustifica la vendita delle proprietà pubbliche e la privatizzazione dei servizi.

Per questo non possiamo accontentarci della retorica che abbiamo ascoltato in questi giorni, di questa operazione di maquillage che non cambierà nulla di sostanziale.

La UE rimane una costruzione sbagliata, il tradimento del sogno di tutti gli europei che hanno sperato in un’unione di popoli, in un passo avanti della Storia verso la comprensione reciproca, la solidarietà e il progresso. Non ha neppure assicurato la pace perché, al contrario, ha fomentato la rivalità tra i paesi membri e li ha messi gli uni contro gli altri in una nuova guerra, questa volta non armata ma economica.

L’Unione Europea non è riformabile; come tutte le costruzioni sbagliate fin dalle fondamenta deve crollare. Perché questo accada è sufficiente che qualche altro paese, dopo la Gran Bretagna, decida di lasciarla, decida che il suo popolo non è più sacrificabile agli interessi del grande capitale finanziario. E questo potrebbe accadere presto.

Ma sotto quale spinta avverrà l’uscita dei prossimi paesi e con quali prospettive per il futuro di tutti noi? Avverrà per mano di forze irrazionali, xenofobe e nazionaliste? Condurrà al ritorno di regimi autoritari? O metterà in discussione la tirannia delle banche e del capitale finanziario, andando verso una reale democrazia e il progresso di tutti e per tutti?

Questo è il punto. In che modo cadrà la UE e quale direzione prenderà il processo successivo dipenderà in gran parte da cosa faranno nei prossimi mesi i progressisti europei. Se insisteranno nella difesa della UE, evitando di riconoscerne le falle strutturali in nome di un malinteso internazionalismo, allora lasceranno che il processo di disgregazione resti nelle mani delle destre che già lo stanno gestendo.

Se, invece, avranno il coraggio di ammettere che è stato fatto un grande errore e che occorre porvi rimedio in modo deciso, può darsi che ce la si faccia a vedere nascere finalmente un’autentica Europa dei popoli.