E’ una esplosione di umanità, affetto, rabbia, tristezza, vicinanza, determinazione, condivisione e tanta energia per una lotta che “vive” con la presenza tangibile di una leader incarcerata, l’atto pubblico a cui abbiamo partecipato ieri pomeriggio, io e la mini equipe che sta per realizzare un secondo docu-film sulla Tupac, dal titolo Welcome to the Cantri (da country, cosi chiamano i mini quartieri che l’organizzazione ha tirato su negli anni).

La manifestazione della Tupac Amaru, appoggiata da tanti gruppi ed organizzazioni, si è tenuta davanti al centro di detenzione nel quartiere periferico dell’Alto Comedero, lo stesso quartiere in cui è nato questo straordinario esperimento sociale che sa tanto di futuro desiderabile, messo in moto da Milagro Sala, la leader del movimento del popolo originario che qui a Jujuy costituisce la maggioranza della popolazione.

Milagro Sala è a tutti gli effetti (e una risoluzione ONU lo conferma), insieme ad altre 5 attiviste dell’organizzazione, una prigioniera politica, che con accuse risibili e non provate sconta in realtà il colpo di coda del liberismo arrogante e distruttivo ritornato in auge in Argentina col nuovo presidente e col governatore della Regione, Morales, che essendo anche un potente oligarca con grandi interessi economici personali vuole distruggere l’esperimento sociale della Tupac Amaru, che della costruzione cooperativistica di “viviendas” per la popolazione povera indigena, insieme a centri di salute, di educazione, di sport, biblioteche ecc. ha fatto il suo segno tangibile di trasformazione sociale.

Non è facile spiegare perché è tanto importante questa leader e questo movimento per tanta gente, perché non solo indigeni di Jujuy ma attivisti di vari comitati di appoggio di altre città, moltissimi giovani, siano venuti fin qua, abbiano testimoniato il loro affetto e grande riconoscimento per Milagro, si siano riempiti gli occhi di lacrime di tristezza e di compartecipazione, abbiano cantato e ballato gioiosamente per far arrivare la loro voce alle detenute che, cento metri più in là, oltre la statale e oltre la recinzione e alcuni pochi poliziotti in tenuta antisommossa fortunatamente rimasti inoperosi, applaudivano, salutavano, cantavano e ballavano insieme a loro.

Anche per me, formatomi al suono di lotte sociali che si limitavano a ripetere slogan richiamanti realtà ormai lontane, che avevano perso la loro realtà “viva” all’interno dei cuori delle persone, è difficile spiegare come il grande cuore dell’America Latina batta forte e risuoni così tanto per la lotta di un movimento indigeno, apparentemente “marginale” nella mappa geo-politica del continente.

Mentre centinaia di persone si erano accampate davanti al carcere, una moltitudine di gente sfilava lungo Puente Pueyrredon in Capital Federal, con la partecipazione di molte figure di spicco del mondo politico, della cultura e dell’attivismo sociale (es. le madri di Plaza de Mayo). Stando lì per ore, tra canzoni, saluti, lettura di messaggi arrivati da tantissime località, tra lacrime, abbracci “virtuali” con le detenute e abbracci veri dei partecipanti, ho potuto percepire e comprendere il perché e il come sogno sia talmente “vivo” da acquisire realtà, quella realtà che si costruisce attraverso l’affetto e il vissuto comune, la solidarietà, la reciprocità, non attraverso ideologie di un “mondo perfetto” sulla carta, ma fatto di relazioni, di compromesso uno con l’altro, di quel sentimento reale in cui è palese che la felicità del singolo non si realizza se non attraverso la felicità dell’altro, che “io esisto” perché “tu esisti”… tutto questo, che trasuda una nuova spiritualità che si insinua tra la gente, è nato dalla pura necessità di dare da mangiare ai bambini, di dare educazione che dà dignità a un popolo finora sottomesso, del costruire da soli case, scuole, ospedali, ma anche piscine e centri sportivi: cosa è tutto questo se non lo puoi condividere e far vivere con e per tutti?

Questa è l’intenzione che ho percepito, e che nonostante le difficoltà e forse proprio grazie ai disgraziati avvenimenti di questi mesi, potrà travalicare i limiti regionali e nazionali ed essere un esempio dimostrativo per tutti noi.

San Salvador de Jujuy, 17/01/2017

Fulvio Faro, di Roma, Umanista e Messaggero di Silo.