L’allarme dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) è arrivato pochi giorni prima dell’apertura della COP22 a Marrakech, a fine ottobre: il pianeta ha definitivamente superato le 400 parti per milione (ppm) di CO2 in atmosfera. E’ il segnale che la nuova era climatica non è domani, ma oggi.

Il mondo, riunito a Parigi per COP21 nel dicembre 2015, ha firmato un Accordo globale per affrontare i cambiamenti climatici che è entrato in vigore in tempo record, il 4 novembre 2016, prima dell’inizio della Conferenza di Marrakech, grazie alle ratifiche di più di 55 paesi rappresentanti più del 55% delle emissioni globali. L’Italia, però, non è tra queste, mentre, ad esempio, l’India sì. E anche l’Europa, che nel frattempo, incoerentemente, sta però lavorando ad una direttiva anti rinnovabili.

Mentre l’economista Nicholas Stern avverte: “E’ peggio di quanto pensassi”, il presidente di COP22 Salaheddine Mezouar, ministro degli Esteri marocchino, dà il via ai lavori in terra d’Africa con l’orgoglio di un paese è tra i più virtuosi al mondo in politiche climatiche. Arrivano le delegazioni, arrivano i giornalisti di tutti i paesi del mondo (pochissimi dall’Italia), le ONG, la società civile, i giovani, gli esperti. In questa COP che si definiva “dell’azione” ci si è ritrovati, con l’Accordo di Parigi inaspettatamente già in vigore, a dover affrontare innanzitutto, e tutti d’accordo, le questioni procedurali, l’agenda, i prossimi step, i calendari di quell’accordo storico, e ad affrontare nodi difficili come quelli dei finanziamenti per il clima. I lavori procedono con un occhio allo spoglio delle schede elettorali americane. E, a soli due giorni dal via, arriva uno scossone.

Negli Usa vince il candidato presidente negazionista del climate change Donald Trump. Una doccia fredda, per tutti coloro che confidavano nella continuità con l’azione di Barak Obama sul clima.

Il team di negoziatori USA a Marrakech va avanti con il lavoro secondo l’indirizzo del presidente uscente, lo stesso che ha dato una grande spinta all’Accordo di Parigi. Lo dice Catherine Novelli, lo ripete Ernest Moniz, lo ribadisce Jonathan Pershing. Gli USA, anzi, il giorno stesso in cui John Kerry arriva a Marrakech, annunciano nuove risorse per le rinnovabili, segno che Obama ha voluto raschiare il fondo del barile per inserirlo in politiche sostenibili, e depositano a COP22 un piano di decarbonizzazione forte al 2050, uno doppio sgambetto a Trump, insomma, prima di lasciare la Casa Bianca.

Ancor prima dell’arrivo di Kerry, braccio armato di Obama sul clima, si comincia a delineare uno scenario mondiale “tutti contro Trump”. Ban Ki-moon avverte chiaramente che non c’è un piano B: il nuovo presidente dovrà fare i conti non solo con i cambiamenti climatici in casa (gli effetti già sono evidenti in molti stati), ma anche con il mondo del business e della finanza, che ha capito prima e meglio che la terza rivoluzione industriale e tecnologica è già in atto. Lo spiega bene lo stesso Nicholas Stern, lo dicono le rilevazioni di Germanwatch. Lo ripete a voce alta John Kerry, in un gran discorso alla stampa del mondo, un discorso che certamente vuol arrivare fin negli states, che chiama in causa le 360 grande imprese alleate, le banche, gli stati, e che porta nuova linfa, slancio, coesione, in un mondo che cerca i nuovi leader.

Man mano che passano i giorni, a Marrakech si tesse una tela che intrappolerà Trump alle sue responsabilità. Anche la Marrakech Action Proclamation sembra avere lo stesso scopo. Il documento firmato da tutti gli attori di COP22 e letto alle sette di sera della vigilia della conclusione, è una dichiarazione di unità, un rinnovamento dell’impegno globale preso a Parigi, un rilancio delle ambizioni, e un grido d’allarme: i cambiamenti climatici sono un’urgenza sempre più pressante. Tant’è che l’IPCC sa già di dover lavorare ad un report extra, il 5° bis, nel 2017, oltre al sesto previsto per il 2018 dall’Accordo di Parigi. Un’accelerazione necessaria per cercare di stare dentro l’1,5° C di surriscaldamento globale.

Nelle due settimane di COP22, nascono piattaforme, alleanze, globali e trasversali, prima tra tutte, la 2050 pathways platform, rete tenuta a battesimo dalle campionesse del clima Laurence Tubiana (Francia) e Hakima El Haite (Marocco) che vede USA tra i promotori insieme a Germania, Canada e Messico, ossia quei paesi che hanno presentato il loro piano di decarbonizzazione. Ha come obiettivo quello di aiutare i paesi a sviluppare strategie di lungo termine per la decarbonizzazione, cosa non facile con governi che per ragioni elettorali fisiologiche agiscono generalmente solo sul breve termine. E ancora, la partnership per aiutare i paesi in via di sviluppo a raggiungere gli obiettivi, la dichiarazione dei paesi più vulnerabili che vogliono decarbonizzarsi subito e chiedono ai grandi di aiutarli e di fare altrettanto, la partnership aperta anche al settore privato, la piattaforma globale per condividere le migliori tecnologie anti climate change, la prima alleanza mondiale che lega il clima alla salute e all’ambiente, lo studio di UNESCO e UNFCCC che detta le linee guida per accelerare le azioni educative sul clima, necessarie l’applicazione dell’Accordo di Parigi, la discussione delle donne sul clima.

Anche l’Italia fa la sua parte. E’ diversa l’Italia vista da una COP. Non è l’Italia che ascoltiamo al bar e leggiamo sui social network, sui giornali, nei commenti. Non è l’Italia che va a caccia di visibilità (il ministro, tanto per dire, si è visto poco, è stato praticamente sempre segregato insieme ai suoi migliori tecnici a lavorare, e l’unica conferenza stampa è stata sollecitata dai pochi giornalisti italiani a Marrakech). E’ un’Italia apprezzata anche nei report internazionali, cercata dalle delegazioni africane e delle piccole isole, ascoltata nei negoziati. E’ un’Italia che può insegnare, può esportare il suo sapere sostenibile, e non è solo l’Italia del governo a farlo. E’ un’Italia che viene ringraziata.

Sulle proprie politiche climatiche, deve ripartire con nuovo slancio e coerenza verso la decarbonizzazione, come chiede la Coalizione Clima al ministro Gian Luca Galletti, il quale si impegna ad opporsi alla paventata direttiva europea che danneggia le rinnovabili.

A COP si parla ovviamente anche di equità intergenerazionale, così da lasciare alle prossime generazioni un pianeta non peggiore di quello che abbiamo avuto noi, che va di pari passo con l’educazione, necessaria per preparare ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici e per trovare le soluzioni. Il ministro dell’Ambiente, che riceve a COP22 da Giornalisti Nell’Erba una bozza dell’E-book in corso d’opera con le esperienze dei docenti italiani che fanno cultura ambientale nelle scuole con il metodo gNe, insieme al ministro dell’Istruzione organizza, subito dopo Marrakech, gli Stati Generali dell’educazione ambientale, che cade non a caso nella settimana Unesco Dess.

COP22 si chiude alle due di notte del 19 novembre con un’agenda che segna i primi step concordati, e con la dichiarazione di unità, urgenza, irreversibilità dell’Accordo di Parigi e anche altri risultati, piccoli e grandi. Bolaffio e Burzachechi di gNe con Albrizio di Legambiente in attesa del documento finale

Il mondo va avanti, con Trump o senza di lui.

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