Due eventi ugualmente tragici il mondo occidentale associa, quasi automaticamente, alla data dell’11 settembre: il golpe militare contro il Governo di Unidad Popular di Salvador Allende del 1973 e l’attacco alle Torri Gemelle del 2001.
Le conseguenze, in termini di vite umane perdute, sono incerte in ambedue i casi. Sono meno certe ma sicuramente più discusse le cause politiche dell’uno e dell’altro evento. Una frase scontata e ormai retorica è “dopo l’unidici settembre non siamo più gli stessi”. In realtà ogni giorno che passa non siamo più gli stessi ed è bene così, perché il cambiamento è l’unica dimensione della coscienza di cui possiamo essere certi, fino al cambiamento finale, verso uno stato di cui non abbiamo notizie.
Ma se oggi voglio scrivere qualcosa su questi due eventi è perché sento un’esigenza speciale: quella di ribadire che, al di là di ogni elucubrazione, dobbiamo ritrovare la sacralità e la dignità di ogni vita umana; e ribadire che non ci sono morti di serie A e morti di serie B. “Ogni morte di un uomo mi diminuisce perché sono parte dell’Umanità. Perciò non chiedere per chi suona la campana, essa suona sempre per te”. John Donne.
Quando si uccide qualcuno, con qualunque motivazione, si spegne quell’intenzione umana presente in questo pianeta, in questo tempo e spazio. Ogni interpretazione, ogni cui prodest vengono molto dopo quel fatto violento e ingiustificabile, vengono molto dopo di quella catena di dolore e sofferenza che quell’atto ha scatenato: figli senza madri, fratelli senza sorelle, alunni senza insegnante, tram senza conducente, stato senza Presidente legittimamente eletto…
Quelle catene di avvenimenti che la violenza mette in moto, così come quelle della nonviolenza, sono inarrestabili; i nodi di sofferenza sono difficili da sciogliere, creare costa più che distruggere.
La Giustizia reclama che si trovino i responsabili: sappiamo quanto sia difficile riparare i torti, ripristinare democrazie, smascherare gli inganni; sappiamo anche che spesso ci viene da dire “ma tanto la verità non verrà mai fuori”.
A volte sembra che la violenza risolva il problema: ma se cominciamo a vedere i sottili fili della concatenazione delle azioni, non possiamo fare a meno di comprendere che solo il retto pensiero, la retta azione, la retta parola (per dirla con le parole del Buddha) possono portare il mondo nella giusta direzione. Che solo l’agire con coerenza, personale e sociale, potrà portare l’Umanità fuori da questa catena di violenza apparentemente senza fine.
Per cui la celebrazione di questo giorno triste è quella di ricordare la gioia della costruzione, dell’azione nonviolenta, riconciliatoria, capace di riconoscere nella diversità dell’altro il volto del futuro, di un futuro senza violenza, sopraffazione, sfruttamento, attentati e colpi di stato.