In Sicilia l’estate arriva presto e fin dal mese di Maggio le spiagge iniziano ad essere frequentate da chi cerca sollievo dalla prima afa. Il 23 Maggio 1992 era un sabato caldo e umido di quelli che ti soffocano, ma la vera sensazione di asfissia l’abbiamo provata con il sole già avviato al tramonto e niente aveva a che vedere con la meteorologia. Pochi minuti prima delle 18.00, a Capaci, mezza tonnellata di tritolo aveva fatto saltare in aria il giudice Giovanni Falcone con la sua scorta. La notizia si propagava rapida contagiando la tranquillità del week-end con occhi vuoti, sorrisi isterici, fronti sulle ginocchia e pianti soffocati tra le braccia. Tutti abbiamo sentito l’urgenza di prendere una posizione netta contro la mafia. É bello e giusto trovare la propria ubicazione nel mondo quando hai nel cuore la leggerezza del tuo respiro calmo, ma quel giorno i nostri cuori agitati erano otri gonfi di rabbia, ognuno giurava a se stesso che avrebbe fatto di tutto per non darla vinta ai mafiosi e tutta questa energia si manifestava, nel vecchio dualismo stato-mafia, nella pretesa di legalità. Con me o contro di me! O sei per la legalità o sei per i boss! Tertium non datur.

Da li ad un paio di mesi sarebbe stato ucciso anche Paolo Borsellino, collega e amico di una vita, che con Falcone aveva condiviso il campo di battaglia.

Sono passati parecchi anni e penso che valga la pena fare delle riflessioni sul senso di fare “antimafia”. La mafia viene spesso descritta come un cancro della società facendo cosi intendere che essa sia un corpo estraneo che “debilita” un sistema sociale sano, ma siamo cosi sicuri che le cellule malate siano cosi diverse da quelle che consideriamo sane?

Viviamo un sistema sociale in cui il potere e il denaro costituiscono l’inscindibile binomio inseguito da grandi moltitudini umane che non hanno scrupoli nel prevaricare gli altri, negando loro possibilità e diritti, con ogni sorta di violenza psicologica ed economica. In questo contesto il fenomeno mafioso altro non è che un estremizzazione della violenza che da subdola diventa palese, da psicologica ed economica diventa spaventosamente fisica; ma facendo lo sforzo di andare oltre forma con la quale la violenza si manifesta possiamo rintracciare nella prevaricazione la stessa struttura della violenza del sistema e nell’assenza di riconoscimento dell’umanità dell’altro la sua stessa radice. A questo punto è evidente che il solo far rispettare la legge, nata in seno ad un sistema violento, non è una condizione sufficiente per superare la situazione attuale. Essere contro la mafia è un buon inizio che viene però vanificato se l’alternativa è la l’adesione acritica alla legalità e ai valori del sistema. La mafia è l’esasperazione del sistema è si può superare solo superando il sistema stesso. La vera sfida è costruire insieme un alternativa e per farlo è necessario mettere in discussione i valori generalmente riconosciuti come assoluti per creare un nuovo paradigma che veda tra i suoi cardini il rifiuto di ogni forma di discriminazione e violenza, il bene comune anteposto all’accumulazione, il riconoscimento delle diversità e quindi, sinteticamente, il riconoscimento della libertà umana come massimo valore morale. Lo so, può sembrare un compito troppo grande e troppo distante dalle nostre possibilità ma è un compito che nessun altro può svolgere al posto nostro, è un compito che svolgeremo nel nostro quotidiano ed ogni atto che indirizzeremo verso la libertà sarà solo un piccolo granello di sabbia nell’ingranaggio ben oliato del sistema. Tranquilli! E solo questione di tempo e di costanza, il meccanismo si incepperà! Lo diceva anche Falcone: “La mafia non è affatto invincibile: è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.

Marco Serraino