Un’intervista con Fabio Testini, poeta e insegnante di teatro a Istanbul, in passato anche giornalista. Gli ho posto delle domande sulla poesia, sull’importanza della poesia come forza per cambiare la vita sociale. La poesia ha anche una forza particolare per sconvolgere il mondo verso il meglio in quanto tocca gli animi delle persone. Promuove la giustizia, la pace e il dialogo interculturale tra persone diversissimi.

Che cosa significa per te la poesia nella tua vita personale e sociale? Quali sono le tematiche principali delle tue poesie?
Ho cominciato molto presto a descrivere le mie emozioni attraverso le parole scritte, perchè è sempre stato il modo per me più comodo per parlarmi, in una sorta di linguaggio in codice che soltanto io avrei potuto decifrare (n.d.r. aspetto che rende le mie poesie giovanili abbastanza criptiche). Mi piace definirmi una sorta di fotografo che ricorda con la penna le sue esperienze.
Lineari o complesse, così come delle foto, grazie alla poesia rimangono nella mia mente immagini indelebili di una persona, un’emozione, un paesaggio, un orizzonte.
Di conseguenza, facile dire che le tematiche presenti nelle mie poesie sono sempre state intimiste, esistenziali, crepuscolari… si possono definire così?
(Cito quest’ultima corrente, anche perchè, come per i crepuscolari, per me la poesia non è mai stata solo la rima banale tra amore, cuore, dolore… ma può essere anche prosa.
Una successione di emozioni, descrizioni, che pur mantenendo il ritmo poetico, possono rompere con la metrica tradizionale, conducendole alla piena affermazione anche nel verso libero).

Mi è sempre piaciuto sperimentare, cercare nuove forme di espressione e la svolta, in un certo senso la mia crescita artistico letteraria, credo sia avvenuta nel momento in cui ho cominciato a scrivere anche racconti e romanzi, perchè è stato il momento in cui mi sono sentito davvero pronto ad aprirmi agli altri. A guardare oltre lo steccato. A condividere il mio album fotografico in altro modo, con uno stile e un linguaggio diretto, con la volontà precisa di raccontare, oltre me, anche tutto il resto…

Come può la poesia sostenere il dialogo interculturale? Che possibilità vedi di sostenere l’azione socio-politica per la pace e la giustizia attraverso la poesia?
Rispondo spendendo una metafora forse estrema, ma secondo me l’arte in generale e di conseguenza anche la lettura e la comprensione della poesia, sono un po’ come l’alcool o una droga, capaci di suscitare effetti diversi: non vi è consapevolezza né certezza di emozioni precise; per uno che parla a raffica e forse non sa neanche cosa dice, un altro sembra in trance, un altro ancora ridacchia o si commuove, e un altro ancora magari è in paranoia esistenziale.
Riferendosi all’approccio verso la poesia in generale, sono tutte reazioni legittime con variabili libere, diverse e disparate, incontrollabili, non facilmente gestibili.
E proprio per questa sua naturale indeterminazione – dove per determinante intendo anche diretto, concreto, efficace – seppur detto a malincuore, non penso che la poesia possa avere un ruolo risolutivo o fondamentale. O meglio, non credo che la poesia classica, nella sua espressione più “tradizionale”, possa oggi essere il mezzo migliore per una crescita in questo senso, nè da un punto di vista socio-politico nè tantomeno per uno scambio interculturale.
E mi spiace molto perchè (senza citare necessariamente i grandi poeti del passato, alcuni martiri e eroi, che facevano della poesia un mezzo per supportare convinzioni, convenzioni e atteggiamenti sociali) ritenevo che la poesia dovesse innanzi tutto provocare emozioni, reazioni certo… ma anche azioni. Prese di coscienza e di posizione.
Lo credevo ma non ci credo più, perchè viviamo questi tempi, tempi diversi in cui sono possibili infinite nuove forme di espressione che si evolvono e sperimentano strade creative alternative.
Del resto, sinceramente, quanti oggi sono davvero interessati alla poesia nel senso più classico del termine? Quanti rispetto al passato credono che possa avere un’azione salvifica, rigenerante?
Ci si aspetta ancora, come in passato, che le poesia possa suggerire, influire, colpire, scalfire, indirizzare? E nel caso, come si fa a definire quale sia il modo, lo stile, il mezzo migliore per raggiungere il risultato?
Ad alcune di queste domande io saprei già dare una mia risposta.
Cercando di non sembrare troppo cinico o pessimista ma solo provando ad essere più realista del re, mi viene naturale pensare che al giorno d’oggi la poesia come è stata sempre intesa non ha più un potere reale, non può creare legami di cooperazione o dialoghi di collaborazione, non può influenzare processi di pace o dominare le ingiustizie.
In sintesi, e chiedo scusa per essermi dilungato, credo che oggi (purtroppo?) la poesia abbia meno influenza rispetto al passato, ci sono mezzi certamente più efficaci per il raggiungimento di uno scambio interculturale proficuo, o della giustizia e la pace.
Che rapporto vedi tra teatro e agire politico per cambiare la società?
Viviamo in un momento storico tristemente drammatico. Disinteresse e indifferenza, il qualunquismo, stanno ridisegnando l’agire politico e la vita sociale di ognuno di noi.
Io sono fermamente convinto che le cose peggiorano e non cambiano solo per colpa nostra, che ce ne freghiamo. Siamo tutti in mano ad un ceto politico molto spesso inadeguato e corrotto, influenzati indirettamente dalle scelte delle lobbies e le decisioni di pochi.
E noi tutti, gli altri, chi più chi meno, siamo indifferenti alla gravità della situazione: non ne siamo affatto sorpresi e, cosa molto grave, impassibili lasciamo che il naufragio ci porti non si sa dove.
Ecco, ciò che trovo davvero deprimente è questo smarrimento che serpeggia nella nostra società.
Io credo che il teatro può e deve fornire spunti esperienziali, dare risposte, alimentare dubbi, e che proprio il teatro “politico”, come mezzo, abbia un’importanza rilevante.
La sua funzione primaria è quella di indirizzarsi ad una critica del presente al passato, e ad una critica del passato al presente. Agire politico attraverso il teatro, è quindi farsi portatore di istanze, essere testimone degli eventi più rilevanti di una comunità nel proprio tempo.
Periodo in cui in una società si mette in circuito la memoria e il presente, l’attuale e l’inattuale, i nuovi bisogni culturali e sociali.
Ho avuto esperienze di attore e ho scritto testi teatrali e con il passare del tempo mi sono convinto che ancora oggi, teatro e agire politico siano strettamente collegati e necessari l’uno all’altro per ridefinire i tempi in cui viviamo e cambiare il modo in cui vediamo il mondo.
Ma come già detto anche per la poesia, per avere speranza penso sia fondamentale cercare sempre nuove idee, indicazione alternative, perchè il teatro ha bisogno di essere costantemente e fortemente sostenuto, soprattutto per la memoria e le generazioni future.
Nel mio piccolo cerco di perseguire questi obiettivi, provando a stimolare e trasmettere queste indicazioni ai bambini ai quali insegno teatro di base. proponendogli storie “impegnate” attraverso temi “giocosi” e favole rielaborate.
Che cosa significa per te giornalismo impegnato?
Il giornalismo impegnato dovrebbe rappresentare uno degli aspetti fondamentali di ogni società civile che voglia esser considerata tale. Una società che considera la giustizia come valore assoluto, dove il giornalismo impegnato persegua la giustizia attraverso l’informazione.
Una società libera e giusta, non può non investire risorse morali, etiche, sociali, nella costante ricerca della verità, nell’affermazione e legimitizzazione di pluralità di voci e posizioni, nella denuncia costruttiva e nella diffusione di notizie rilevanti per il bene comune.
Perchè anche la conoscenza, nell’accezione più ampia del termine, deve essere uno dei principi fondamentali al progresso umano, al tendersi al suo compimento materiale ed immateriale.
Purtroppo è altrettanto facile sottolineare che l’ignoranza diffusa, la mancanza di coscienza collettiva, quella che prima chiamavo conoscenza, in questo caso la sua mancanza, è sempre stato storicamente il mezzo più potente in mano a chi governa.
E naturalmente, ça va sans dire, chi governa gestisce, manipola, ha tutto l’interesse a contrastare, minimizzare, ostracizzare e addirittura occultare tutte le informazioni che potrebbero minare le posizioni acquisite, lo status quo molto spesso raggiunto grazie a compromessi, irregolarità o crimini di ogni sorta.
Assange, Alpi, Politkovskaja, per citare solo i casi più noti che mi vengono in mente, giornalisti vittime del proprio lavoro e di chi non ha avuto indecisione di sorta o rimorso alcuno, ad eliminare fisicamente o quasi chi avrebbe potuto destabilizzare…
Inoltre a mio parere purtroppo, credo che oltre questo principale ostacolo, la funzione fondamentale del giornalismo cosidetto impegnato si deleggittima anche “grazie” all’ignoranza a cui accennavo in precedenza, alla miopia generale, o forse soltanto ad un disinteresse abbastanza radicato.
Cosa che mi sembra un paradosso, considerando la fortuna che abbiamo di vivere in un tempo in cui grazie soprattutto alle nuove tecnologie, nonostante le possibili censure o limitazioni, vi sono infinite possibilità di capire, di sapere, di formarsi opinioni concrete.
E così si ritorna al punto di partenza, informazione, controinformazione e conoscenza sono il vero progresso per una società libera e giusta. Cui prodest? La risposta è semplice.