Parigi, 2 dicembre 2015 – Da ieri si è entrati nel vivo, nel tecnico, ossia nelle parti sostanziali, concrete, reali dell’accordo di COP21. Si passa a discutere i nodi, non solo procedurali, sui quali le quasi 200 nazioni del mondo presenti a Parigi dovranno attenersi per mantenere gli impegni. Si discute anche degli impegni stessi. Ad esempio uno Stato particolarmente colpito dai cambiamenti climatici, Tuvalu, ha chiesto se da questo momento si discute solo su come attuare gli impegni che sono già sul piatto o se c’è margine per ampliare quegli impegni. Da una parte, sarebbe auspicabile che si ampliassero, visto che non sono sufficienti per restare sotto i 2 gradi di surriscaldamento globale. Dall’altra però si spinge affinché a Parigi un accordo comunque sia preso, anche con appuntamenti periodici che possano rimodulare ed ampliare gli impegni e verifiche periodiche del rispetto degli stessi. E, se in questi 8 giorni rimasti si dovesse ricominciare da capo, all’accordo non si arriverebbe.

Altro nodo da analizzare è quello sulle verifiche del rispetto degli impegni da parte degli Stati. Quali? In che modo e quali verifiche si faranno, ogni quanto tempo, chi le coordinerà? Un nuovo organo creato appositamente o organi già esistenti all’interno del’UNFCCC? Ma soprattutto, cosa accade a chi non li rispetta?

Obama stesso, prima di ripartire e lasciare i suoi tecnici al lavoro, ha toccato in una sola frase i due punti fondamentali di COP21: “L’accordo deve essere vincolante – ha detto – , almeno per quanto riguarda la trasparenza e le revisioni periodiche degli obiettivi di diminuzione delle emissioni di gas serra”.  Nodo uno: come esser certi che gli impegni presi vengano rispettati. Nodo due: predisporre un meccanismo già sicuro di revisione degli obiettivi ogni cinque anni al massimo, perché già sappiamo che gli impegni allo stato attuale non sono sufficienti per restare sotto i 2° di surriscaldamento globale.

Poche ore dopo il discorso di Obama sull’urgenza di azioni concrete per il climate change a Parigi, il Washington Post titolava: “I voti del Congresso minano gli impegni sul clima”. Si tratta di due provvedimenti, già approvati al Senato e deliberati il 1 dicembre alla Camera, in cui di fatto, secondo il giudizio del quotidiano americano, si affossano le regole dell’EPA (Environmental Protection Agency) sulla riduzione significativa delle emissioni di carbonio delle centrali elettriche esistenti e di quelle future a carbone. Un altro canyon separa il presidente dal Congresso nel suo percorso green.

Altro segnale che quel che si dice a Parigi non viene recepito in patria arriva anche da Bruxelles, dove la “patria” è l’Europa, la stessa che a COP21 si racconta come tra le più virtuose del mondo e che però presenta una direttiva sull’economica circolare depotenziata rispetto alla bozza iniziale. “Un pessimo segnale rispetto a ciò che si sta svolgendo a Parigi”, commenta Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente. Mentre il nostro ministro dell’Ambiente dice: “il pacchetto europeo sull’economia circolare presentato oggi è una base strategica per il futuro, ambiziosa e pienamente coerente con gli elevati target fissati dall’Ue per la Cop21”. Punti di vista.

 

Paola Bolaffio

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