L’inquietudine che scuote il nostro paese a causa dei problemi economici e delle distanze culturali porta spesso alla luce a causa forse di discorsi razzisti di esponenti politici il discusso Pocket Money, erogato agli immigrati ospiti dei centri. Sui social network si divulgano fotografie che rappresentano gli immigrati immediatamente dopo uno sbarco con tanto di cellulare in mano, oppure cestini pieni di pasti gettati perché non graditi. Importante è invece comprendere le fasi oggettive, ponendoci le domande se l’immigrato abbia o meno il diritto di possedere un cellulare o permettersi di sdegnare un pasto a lui non gradito.

Chi lavora sui moli e nei centri di accoglienza sia per minori che per adulti ha pronosticato il termine degli sbarchi intorno all’anno 2025, i bambini imbarcati sono spesso orfani di un solo genitore quindi si ritrovano a viaggiare da soli per mesi in mezzo ad estranei adulti, badando a se stessi in tutto e per tutto. I viaggi che portano queste persone nelle nostre terre sono lunghi ed estremamente sfiancanti, quando troviamo sui quotidiani ed i nostri computer fotografie di donne e bambini dovremmo tentare ad immaginare esseri umani che camminano nella paura e nella clandestinità per un tempo che varia da uno ai tre anni. Attraversano solitamente stati quali Sudan, Pakistan e Libia fermandosi per brevi periodi, lavorando per poi ricominciare il loro cammino verso un sogno, quel sogno immaginario che gli darà ogni mattina la forza per sopravvivere.

Rivolta dei minori al centro Poggio Putano, Crotone

La dottoressa Giusy Carnè, amministratrice della sezione della Croce Rossa di Crotone si racconta, una storia a dir poco incredibile ma sicuramente chiarificatrice su ciò che spesso sottovalutiamo. Nel centro in quei giorni alloggiavano cinquanta minori non accompagnati, tramite internet ed i loro cellulari vennero a conoscenza di tutto ciò che era compreso nei loro diritti. In Italia è bene ricordare che i centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati politici ricevono per ospite un budget che gira trai 25 e 35 euro, in cui sono compresi vitto, alloggio, manutenzione struttura, abiti e spese varie. Da giorni al centro Poggio Putano erano stati segnalati contrasti tra i ragazzi e gli operatori, l’ aria iniziava a farsi pesante, queste le dichiarazioni dei rappresentanti, quando venne comunicata la decisione dalla direzione di sospendere l’uso della WIFI entro la mezzanotte, la situazione cominciò a degenerare definitivamente. Vennero consegnati dai ragazzi ai mediatori culturali lettere di rabbia che pronosticavano una vera e propria insurrezione per una libertà violata.

Una mattina Giusy nel suo ufficio all’interno della sede operativa ricevette una telefonata che dichiarava una situazione pericolosa ed insostenibile, raggiunse velocemente il centro in cui i ragazzi spendono regolarmente le loro giornate, vengono velocemente create catene annodando le lenzuola con cui bloccano i cancelli tenendo così in ostaggio lei, il mediatore culturale, il responsabile della struttura, il legale rappresentante e gli operatori. I tumulti esplodono, spaccando i muri e lesionando i termosifoni rendendoli inutilizzabili, si vedono volare tavoli dalle finestre sotto gli occhi allibiti di tutti, lei viene spinta con forza contro le sbarre subendo un forte colpo alla schiena. Nel frattempo le forze dell’ordine arrivano cercando di monitorare il tutto e liberare gli operatori della Croce Rossa. La richiesta dei ragazzi si concludeva con la semplice richiesta di avere una parte di quel denaro che viene erogato dal governo italiano al centro, il diritto di potere uscire con qualcosa nelle tasche, di concedersi semplicemente un gelato. Dopo quasi un intero giorno di contrattazione alle 23 della sera si raggiunge finalmente l’accordo di affidare nelle loro mani 2.50 giornaliere accumulate e consegnate loro una giorno a settimana, grazie al tempestivo lavoro del tribunale dei minori che mise in pratica il più velocemente possibile questa eventualità.

Gli operatori tenuti in ostaggio raccontano di come i ragazzi siano cambiati dagli anni novanta ad oggi, arrivavano impauriti, senza sapere cosa sarebbe loro accaduto e praticamente sapendo nulla del nostro paese, oggi sembra essere tutto mutato, con l’avvento di Facebook ed internet sono più istruiti e conoscono bene le leggi in loro favore. Un problema di comunicazione sicuramente è venuto a crearsi a causa di informazioni sbagliate date dai loro coetanei tramite le chat, portando così la fiducia nei confronti di chi li accudisce ad un livello estremamente labile. Per alcuni giorni mi sono trovata a visionare la struttura in cui ha avuto vita la sommossa, muri spaccati e termosifoni divelti, nelle loro stanze si lasciano andare all’ascolto della musica e riposare nei loro letti quando non occupano le giornate fuori in paese, rispettando gli orari dei pasti. Al piano terra vi è un gran salone con una tv che permette loro di passare il tempo, intorno è stato da loro creata una simil tenda con una scatola di cartone per evitare il fastidio del riflesso del sole. Sono ragazzi autonomi e con una gran forza dentro, presentandomi a loro ho notato un po’ di scetticismo inizialmente terminato con un grande sorriso lasciando comprendere quanto possa essere forte la paura, di trovarsi dopo un lungo viaggio, solo, in un paese che non ti rappresenta, che non parla la tua lingua e che cerca di importi regole che non sono tue, mentre tu sei ancora bambino

Fabio, il mediatore culturale delle strutture sorride e dichiara che prese una spinta da uno dei ragazzi che si rese subito conto del gesto e si spaventò chiedendogli scusa timidamente, spiegando che la sua intenzione non era quella di lederlo. Questo lascia comprendere quanto siano grandi le nostre paure, dobbiamo annoverare come spiega l’avvocato che si occupa delle strutture che questa è la voce della disperazione, per questo hanno compreso l’accaduto senza trascurare che sono solo ragazzini fuggiti dalla guerra e dalla fame.

Arrivando qui soli e spesso orfani di un genitore vengono accolti ancora prima che spariscano, portati al sicuro in uno dei centri e con l’aiuto di mediatori culturali si cerca di avere riferimenti sulla famiglia di origine, avviene così la consegna di un cellulare e di una tessera telefonica. Con un lungo lavoro di equipe tra insegnanti, mediatori culturali ed avvocati si tenterà il ricongiungimento familiare dove sarà possibile. Alcuni bambini spariscono perché vittime della tratta, ancora prima di scendere dalla Nave hanno un contatto e numeri di telefono, alcune volte gli operatori riescono ad evitare il peggio grazie anche alle forze dell’ordine scoprendo individui sconosciuti alla famiglia. Altre volte varcano i cancelli sparendo per sempre, catturando strade che li porteranno ad abusi e vendita di organi illegali. Il commissario Francesco Parisi della Croce Rossa Italiana della città di Crotone mi confida con occhi lucidi che durante i viaggi della speranza bambine provenienti dal Nord Africa in una età compresa tra gli 11 e 13 anni sono state trovate in stato di gravidanza per violenze sessuali subite durante la navigazione.