Il governo di Juba e i ribelli protagonisti del conflitto armato che tiene in scacco il paese da circa 22 mesi, hanno firmato un documento per l’attuazione delle norme di sicurezza previste dall’accordo di pace del 26 agosto.

“La firma dell’opposizione è una svolta. Adesso la pace diventa una realtà” ha commentato il viceministro degli Esteri Peter Bashir Mandi subito dopo la firma ad Addis Abeba, in Etiopia.

La speranza – osserva la stampa locale – è che l’intesa ufficializzata oggi sblocchi anche le questioni militari lasciate in sospeso dall’accordo di agosto per il cessate-il-fuoco. Quest’ultimo peraltro, è stato già più volte violato da entrambe le parti con accuse reciproche.

La guerra civile è iniziata nel dicembre 2013, quando il presidente Salva Kiir ha accusato il suo ex vice Riek Machar di pianificare un colpo di stato, scatenando una spirale di omicidi e rappresaglie che hanno spaccato il paese lungo linee etniche.

Da allora, decine di migliaia di persone sono state uccise, e gli esperti delle Nazioni Unite hanno parlato del “rischio concreto di carestia” prima della fine dell’anno, se i combattimenti continueranno e gli aiuti non raggiunge le zone più colpite.

La smilitarizzazione di Juba, da parte dell’esercito regolare, per consentire il ritorno del capo dei ribelli Riek Machar e del suo entourage è una disposizione fondamentale dell’accordo di pace. Ma le parti sono in disaccordo sulla composizione delle truppe autorizzate a rimanere in città. Entrambe sono accusate di aver perpetrato massacri, reclutato e ucciso bambini e condotto stupri e torture sistematici come forma di ‘pulizia etnica’.

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