Un tentativo di ricostruzione degli avvenimenti in Turchia in questi ultimi due giorni.

10 ottobre 2015: nella capitale della Repubblica di Turchia alle ore 10:04 due persone si sono fatte saltare in aria dentro un assembramento di gente che stava davanti alla Stazione Centrale di Ankara per dare inizio a una marcia per la pace.

Infatti lo slogan della “Marcia per il Lavoro, per la Pace e per la Democrazia” era “Alla faccia della guerra, pace ora e subito”, indetta prima di tutti dal Blocco per la Pace, dai sindacati confederali DISK e KESK, da organizzazioni nazionali di categoria dei medici TBB, degli ingegneri e degli architetti TMMOB, insieme ad altri partiti politici parlamentari ed extraparlamentari e a diversi movimenti sociali.

Migliaia di persone provenienti da diverse città della Turchia si stavano radunando davanti alla Stazione Centrale di Ankara e dintorni. Alle 10:04 di mattina, nell’arco di pochissimi secondi, in mezza alla gente, due persone si sono fatte saltare in aria e hanno causato 128 morti e più di 500 feriti, con alcuni tuttora in condizioni gravi.

Subito dopo la strage il copresidente del Partito Democratico dei Popoli (HDP), Selahattin Demirtas, ha attirato l’attenzione sul vuoto della sicurezza e su quanto possa essere difficile organizzare un attentato del genere senza sostegno e collaborazione dei servizi segreti nella capitale di un paese. Quindi il dito di Demirtas puntava contro le istituzioni, la polizia e il governo. In quei momenti il Ministro degli Interni, Selami Altinok, insieme al Ministro della Salute Mehmet Müezzinoğlu stava tenendo una conferenza stampa sulla strage appena avvenuta. Una giornalista ha accennato alle critiche riguardo alle mancate misure di sicurezza e chiesto se aveva pensato di dimettersi: il Ministro Altinok ha reagito con un sorriso, mentre il suo collega respingeva ogni tipo di accusa in merito.

Non è passato molto perché tenesse una conferenza stampa anche il Primo Ministro Ahmet Davutoglu. Tra le righe si leggeva un rimprovero nei confronti del leader del partito all’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, del Partito Repubblicano del Popolo (CHP). Davutoglu lo accusava di non aver collaborato abbastanza per la creazione di un governo di coalizione, causando un’instabilità politica nel paese e negando il necessario sostegno alla lotta contro il terrorismo. Le parole di Davutoglu hanno colpito anche Demirtas. Secondo il Primo Ministro il copresidente dell’HDP usava un linguaggio provocatorio, voleva portare la gente a scendere in piazza, creare momenti di caos e faceva tutto questo appoggiandosi al Partito dei Lavoratori del Kurdistan(PKK), definita ufficialmente un’organizzazione terroristica. A proposito della scarsa attenzione delle forze di sicurezza, secondo il Primo Ministro il governo ha sempre lavorato duramente per trovare i colpevoli di tutte le stragi, compresa quella di Suruç avvenuta il 22 luglio 2015. Tuttavia secondo Davutoglu anche l’attentatore che si è fatto esplodere a Suruç, Abdurrahman Acikgoz, dopo la strage è stato arrestato, pur essendo morto(!).

Le reazioni alla strage di Ankara sono arrivate anche dal CHP e dal Partito del Movimento Nazionalista(MHP). Kemal Kilicdaroglu ha espresso il suo dispiacere per  l’accaduto, condannato l’atto terroristico e messo a disposizione il suo partito per qualsiasi collaborazione mirasse a fermare tutti i tipi di azioni terroristiche. L’11 ottobre, nell’incontro avvenuto tra Kilicdaroglu e Davutoglu, il leader del CHP ha chiesto le dimissioni dei ministri degli Interni e della Giustizia. Una reazione dura e critica è arrivata anche da Devlet Bahceli, presidente generale del MHP: “La Turchia sta pagando il conto delle politiche amichevoli dell’AKP nei confronti del terrorismo e delle politiche internazionali sbagliate. Il fatto che nella capitale girino liberamente due persone cariche di esplosive è un enorme errore di sicurezza e di intelligence”.

In quei momenti arrivavano anche le dichiarazioni del Presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan: oltre a condannare la strage e ogni tipo di azione terroristica, ha espresso la sua fiducia nelle indagini ufficiali.

Secondo le dichiarazioni rilasciate il giorno dopo all’agenzia di notizie Reuters da alcuni alti esponenti del governo, le forze di sicurezza avrebbero già trovato collegamenti tra la strage di Suruç e quella di Ankara; in base alle prove raccolte la strage viene attribuita all’organizzazione terroristica ISIS.

Mentre ancora un’altra volta veniva chiamata in causa l’organizzazione più temuta del Medio Oriente, in diverse città della Turchia la gente scendeva in piazza per esprimere il suo dolore, gridare la sua rabbia e accusare il governo di essere complice della strage. Gli slogan, gli striscioni, i volantini, le locandine e le parole d’ordine mettevano in croce particolarmente il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) e il Presidente della Repubblica; “Erdogan dimissioni”, “Erdogan, ladro e assassino”, “AKP assassino”, “Le bande hanno massacrato con l’ordine di Erdogan”, “Sappiamo tutti chi è l’assassino”, “Assassino ISIS, collaboratore AKP”. Migliaia di persone hanno riempito Istiklal Caddesi, la strada più centrale di Istanbul, sede della rivolta di Gezi Park. Altre migliaia erano in Piazza Sihhiye ad Ankara. Anche nelle città di Smirne, Kocaeli, Manisa, Adana, Aydin, Van, Hakkari, Mersin, Antalya, Antep, Erzurum, Mardin, Urfa, Eskisehir, Samsun e Diyarbakir sono state organizzate diverse manifestazioni di protesta. In alcuni casi sono stati registrati  scontri con la polizia: a Diyarbakir Ahmet Taruk ha avuto un infarto a causa dei lacrimogeni sparati dalle forze dell’ordine e ha perso la vita.

Mentre le reazioni popolari crescono, si parla sempre di più dell’eventuale relazione tra l’AKP e l’ISIS. In merito a questo lungo dibattito pieno di episodi e prove avevo scritto un articolo per BabelMed, il sito delle culture del Mediterraneo, circa un anno fa. Tuttavia vorrei riportare qui una parte della dichiarazione di Selahattin Demirtas, il copresidente dell’HDP: “E’ il governo a essere responsabile di ogni tipo di misura di sicurezza. Oggi siamo di fronte una strage compiuta da parte dello Stato contro il nostro popolo. Nessuno si è ancora dimesso e tutti sono contenti. Se fossi stato io il Primo Ministro mi sarei dimesso”. Le parole dure di Demirtas ricordano la breve dichiarazione di Recep Tayyip Erdogan, rilasciata il 12 febbraio del 2015 durante una conferenza stampa congiunta con il Presidente messicano Enrique Pena Nieto a Città del Messico. Erdogan aveva parlato dell’uccisione di tre cittadini statunitensi di fede musulmana, avvenuta qualche giorno prima in Carolina. “Sono state uccise tre persone che non erano terroristi. Sono tre fratelli uccisi a casa loro. Tuttavia il responsabile di quel paese, ossia il Presidente, non ha ancora rilasciato una dichiarazione. Io mi chiedo dove si trovi adesso il Presidente Obama. Noi politici siamo responsabili degli assassini avvenuti nei nostri paesi”.

Dopo la strage di Suruç, l’uccisione di due poliziotti e l’inizio dei bombardamenti delle postazioni del PKK nell’Iraq del nord, è ripartito il conflitto storico tra la guerriglia del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e le forze armate della Repubblica di Turchia. In meno di 3 mesi, secondo il Ministero degli Interni, sono stati uccisi circa 2.000 militanti del PKK, 2.500 persone sono in detenzione provvisoria, circa 300 di queste sono state arrestate e più di 145 membri delle forze dell’ordine sono morti.

Durante la sua conferenza stampa il Primo Ministro ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. I sindacati confederali DISK e KESK hanno indetto uno sciopero generale il 12 ed il 13 di ottobre. A Istanbul, 11 associazioni legali hanno comunicato che i loro associati avvocati non entreranno in aula per due giorni. Diversi collettivi universitari hanno dichiarato il boicottaggio accademico sempre per due giorni in diverse città della Turchia. Alle ore 10:04 sono previste una serie di manifestazioni di protesta il 12 ed il 13 ottobre in diversi angoli del paese.

La voce popolare si fa sentire anche in Italia, dove sono previste varie manifestazioni di protesta; Lunedì 12 ottobre a Roma alle ore 17:00 in Piazza della Repubblica, martedì 13 ottobre a Torino alle 19:00 di fronte la Stazione Ferroviaria di Porta Nuova, martedì 13 Ottobre a Pisa alle 19:00 in Piazza del Comune. Sempre martedì 13 ottobre a Milano un corteo partirà alle 19 da Piazza San Babila per raggiungere Piazza Duomo.

Nel mirino delle proteste in Italia ci saranno sempre il governo AKP e il Presidente della Repubblica, per ricordargli le parole pronunciato in Messico qualche mese fa.

Come si leggeva ieri su un muro ad Ankara: “Non ci uccidono le bombe, ci uccide il vostro silenzio” e come si sentiva gridare in Piazza Taksim nel 2013, durante la rivolta di Gezi Park, riprendendo i versi di una poesia di Bertolt Brecht: “Non ci si può salvare da soli. O tutti o nessuno, nessuno o tutti”.