«Possiamo trasformare il mondo» è lo slogan con cui la coalizione Together for Global Justice ha lanciato un appello ai potenti della Terra che si ritroveranno al vertice sul clima di Parigi il 7 e 8 dicembre prossimi.

Together for Global Justice è una coalizione di 17 organizzazione europee e del nord America che combattono contro povertà e disuguaglianze. Sollecitano da anni governi, mondo degli affari, confessioni religiose e organismi internazionali ad adottare politiche e condotte che promuovano i diritti umani, la giustizia sociale e lo sviluppo sostenibile. Ora hanno lanciato un appello, già sottoscritto da numerosi esponenti internazionali, affinchè i rappresentanti dei governi che si ritroveranno a Parigi il 7 e 8 dicembre diano prova di un impegno vero per cambiare paradigmi e azioni.

Ecco cosa si legge nell’appello:

«Possiamo colmare il gap esistente tra i pochi che posseggono la metà delle ricchezze mondiali e il resto della popolazione.

Possiamo assicurare una piena equità tra uomini e donne.

Possiamo garantire il diritto al cibo per miliardi di persone, soprattutto per i piccoli produttori che producono la maggior parte del cibo che si consuma nel mondo ma i cui diritti sono violati in maniera pervasiva.

Possiamo impedire che le temperature aumentino più di 1,5 gradi Celsius.

Possiamo garantire che i più poveri e i più vulnerabili siano protetti e supportati nelle loro battaglie per adattarsi ai cambiamenti climatici e possiamo realizzare una società globale più giusta e uguale.

Possiamo smettere di sfruttare la terra e limitare l’estrazione di risorse naturali.

Possiamo trasformare la cultura del dominio, del consumo e dell’estrazione in una cultura dell’autosufficienza, del prendersi cura e della solidarietà.

Possiamo garantire una giusta transizione ad economie dove sia garantito un lavoro dignitoso a tutti e dove sia valorizzato il lavoro che si prende cura degli altri.

Possiamo creare un mondo dove uomini e donne possono vivere, pensare, esprimere se stessi e muoversi in pace e libertà.

Molte volte nel corso della storia la comunità internazionale ha dato prova di riuscire a superare le divisioni in uno sforzo comune per rispondere alle paure; occorre perseguire un mondo di pace e di rispetto per l’ambiente, per il clima, per la giustizia sociale ed economica e per l’eguaglianza di genere.

Nei quattro anni appena trascorsi abbiamo assistito ad un livello senza precedenti di discussioni, consultazioni e mobilitazioni in preparazione dei nuovi obiettivi globali. La speranza è e deve essere quella secondo cui la comunità internazionale riuscirà a fare la cosa giusta».

Durante il summit Onu sullo sviluppo sostenibile, conclusosi domenica 27 settembre a New York  e al quale l’appello è stato pure rivolto, è stata adottata e discussa la piattaforma “Transforming Our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development” il cui obiettivo è rispondere alle sfide più urgenti di un mondo che così non può più reggere le proprie sorti. La coalizione che ha sottoscritto l’appello ritiene la piattaforma dell’ONU «un’agenda universale che riconosce gli obiettivi ormai non più procrastinabili».

Ma viene anche messa in luce la sostanziale contraddizione insita nel concetto stesso di sviluppo sostenibile, laddove ciò significhi priorità nel continuare ad alimentare la crescita delle nazioni a discapito dell’armonia con la natura. Occorre limitare fortemente l’utilizzo delle risorse naturali e non bastano meccanismi di tassazione o nuove regole di finanza globale e di investimento. Ci vuole un radicale cambio di paradigma per rendere possibile il cambiamento, per dare corpo allo slogan “Possiamo cambiare il mondo”.

Ci sono comunità che stanno sviluppando soluzioni alternative e le stanno mettendo in pratica basandosi sul concetto che il benessere è anche prosperità condivisa e migliori relazioni di cura tra le persone. Si diffonde l’agroecologia tra i piccoli produttori per costruire filiere alimentari locali e solidali; nascono comunità dove si decentralizza anzichè centralizzare, si usano energie alternative, si modificano stili di vita. Insomma, si dimostra che cambiare è possibile, basta farlo con azioni concrete, con coerenza e non solo nella facciata.

Ma governi ed enti internazionali devono imparare a resistere (o volerlo, se non altro) alle forti pressioni dei gruppi di potere economico, devono esigere e praticare la trasparenza di ogni transazione e trattativa, di ogni scelta e decisione.

La gente nel mondo è pronta a vivere un futuro (che deve cominciare però già domani) di uguaglianza, giustizia, diritti e vita in armonia con la natura. Bisogna chiarire se il potere costituito è ugualmente pronto. Se non lo è, è probabile che la forza delle popolazioni lo costringa a prepararsi.

I sottoscrittori:
1. Dereje Alemayehu, World Citizen and Tax Justice Activist, Etiopia
2. Marcia Anfield, Mariannridge Coordinating Committee, Sud Africa
3. Attilio Ascani, Direttore Focsiv, Italia
4. Georges Bach, europarlamentare, Lussemburgo

5. Chris Bain, direttore CAFOD, Regno Unito
6. Fr. Dário Bossi, missionario comboniano, International Alliance of those Affected by Vale, Brasile
7. Jenny Boyce-Hlongwa, Mariannridge Coordinating Committee, Sud Africa
8. Adriano Campolina, Chief Executive, ActionAid International
9. Marian Caucik, Direttore eRko, Slovacchia
10. Alistair Dutton, Direttore SCIAF, Scozia
11. Hilal Elver, docente di legge, Turchia, e UN Special Rapporteur on the Right to Food
12. Simone Filippini, Direttore Cordaid, Olanda

13. Susan George PhD, presidente del Transnational Institute, Olanda
14. Patrick Godar-Bernet, Direttore del Bridderlech Deelen, Lussemburgo
15.Mamadou Goïta, Executive Director, Institut de Recherche et de Promotion des Alternatives de Développement en Afrique (IRPAD), Mali
16. Arcivescovo Theotonius Gomes, vescovo ausiliario emerito di Dhaka, Federation of Asian Bishops’ conferences, Bangladesh
17. Rev. Fletcher Harper, Executive Director, Greenfaith, USA
18. Lieve Herijgers, Director, Broederlijk Delen, Belgio
19. Jason Hickel, Lecturer, London School of Economics and Political Science, Regno Unito
20.Wael Hmaiden, Executive Director, CAN International, Libano
21. Heinz Hödl, CIDSE presidente e direttore, KOO, Austria
22. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo
23. Nicolas Hulot, Special Envoy del president della Repubblica francese per la protezione del pianeta, Francia
24. Pa Ousman Jarju, Ministro dell’ambiente, Gambia
25. Aloys Jousten, vescovo onorario di Liège, Belgio
26. David Leduc, Executive Director, Development and Peace, Canada
27. Jorge Libano Monteiro, Amministratore FEC – Fundação Fé e Cooperação, Portogallo
28. Bill McKibben, Co-fondatore di 350.org, USA
29. Eamonn Meehan, Direttore Trócaire, Irlanda
30. Daniel Misleh, Executive Director, Catholic Climate Covenant, USA
31. Bhumika Muchhala, Senior Policy Analyst, Finance and Development, Third World Network, Malesia
32. Fr. Stan Muyebe, Justice and Peace Commission, Southern Africa Catholic Bishops Conference, Sud Africa
33. Kumi Naidoo, Executive Director, Greenpeace International, Sud Africa
34. Bernd Nilles, Secretary General, CIDSE, Belgio
35. Allen Ottaro, Executive Director, Catholic Youth Network for Environmental Sustainability in Africa (CYNESA), Kenya
36. Peter-John Pearson, Dirertore Southern African Catholic Bishops’ Conference Parliamentary Liaison Office, Sud Africa
37. Bernard Pinaud, Director, CCFD-Terre Solidaire, Francia
38. Viviane Reding, ex Vice-Presidente della Commissione Europea ed europarlamentare, Lussemburgo
39. Susana Réfega, Executive Director, FEC – Fundação Fé e Cooperação, Portogallo
40. Cécile Renouard, filosofo ed economista, Francia
41. Patrick Renz, Direttore Fastenopfer, Svizzera
42. Andy Ridley, Managing Director, Circle Economy, Olanda
43.Michel Roy, Secretary General, Caritas Internationalis, Città del Vaticano
44. Jeff Rudin, Secretary, Alternative Information and Development Centre, Sud Africa
45.Naderev “Yeb” Saño, Leader of The People’s Pilgrimage for Climate Action, OurVoices, Filippine
46. Angelo Simonazzi, segretario generale di Entraide et Fraternité, Belgio
47. Colette Solomon, Direttore di Women on Farms’ Project, Sud Africa
48. Pablo Solón, Executive Director, Fundación Solón, Bolivia
49. Pirmin Spiegel, Direttore di Misereor, Germania
50. Soledad Suárez Miguélez, Presidente di Manos Unidas, Spagna
51.Monicah Wanjiru, segretario generale del Coordinamento internazionale dei giovani lavoratori cristiani, Italia

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