Da un lato la Grecia, dall’altra l’Europa, impegnate entrambe in un braccio di ferro il cui prossimo punto di forza sarà il referendum convocato per il 5 luglio: è in questo registro semantico che i media attingono ogni giorno per riferire del tentativo di strangolamento di cui è oggetto il governo di Alexis Tsipras.

Se da una parte tutti capiscono a cosa si riferisce la parola “Grecia”, e non solo in termini geografici, lo stesso non avviene per il termine “Europa”. Nel caso specifico, non si tratta né dei popoli né delle società né dei parlamenti nazionali dei paesi membri dell’Unione europea (UE), e nemmeno del Parlamento europeo. Si tratta in realtà delle forze combinate, designate finora come la ‘troika’, della Commissione europea, della Banca centrale europea (BCE) e del fondo monetario internazionale (FMI) che, ricordiamolo, ha sede a Washington…

La riduzione dell’idea di Europa ad una semplice somma di tre istituzioni autonome e al di fuori dell’ambito del suffragio universale non è solo, come si potrebbe pensare, un abuso linguistico, una facilitazione mediatica (in cui incorre talvolta anche l’autore di queste righe). L’uso indiscriminato di questa parola, con o senza la componente FMI, non è limitato al caso greco. Diventa la norma in un gran numero di situazioni e in particolare in tutte quelle dove è necessario imporre l’ordine neoliberista. I cosiddetti “piani di salvataggio” per la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo recano a loro volta la firma “Europa”.

Questo furto di identità lessicale rappresenta un grande vantaggio per i governi. Permette loro di nascondersi dietro le istituzioni UE per non dover rispondere delle loro azioni davanti ai propri elettori. Perché sono proprio loro, in ultima istanza, a prendere le decisioni cruciali nell’ambito del Consiglio europeo, non la Commissione, non la BCE. Esiste in ogni caso una profonda solidarietà ideologica e una ripartizione dei compiti tra queste tre entità. L’accanimento manifestato contro il governo di Syriza non si spiega solo con le divergenze, d’altronde profonde, sulla questione del debito sovrano greco. Esso mira anche a stroncare sul nascere, tramite un cambiamento di governo ad Atene, qualsiasi forma di dissenso all’interno di un blocco fino ad ora omogeneo [1]. La prospettiva di una vittoria di Podemos nelle prossime elezioni legislative in Spagna, che porterebbe alla creazione di un asse Atene-Madrid contro le politiche di austerità, non può che rafforzare la volontà dell’”Europa” (le virgolette sono d’obbligo) di rimettere i greci in riga.

Ci sono alcune decine di migliaia di persone che non si sentono necessariamente offese per l’uso della parola Europa (senza virgolette) per designare le istituzioni di Bruxelles, Francoforte, Lussemburgo e Strasburgo: i membri (eletti e funzionari) di queste istituzioni. Immersi in ambienti multinazionali e multilingue, ma in gran parte staccati dalle realtà dei propri paesi d’origine, anche per il livello delle loro retribuzioni, spesso percepiscono se stessi come i soli veri europei. Per molti di loro, gli Stati sono semplici province della loro “Europa” e pertanto devono essere trattati come tali.

Nella misura in cui, per l’opinione pubblica, l’UE si riduce solo alle sue istituzioni, e al luogo dove queste prendono decisioni, peraltro derivate da tutta la panoplia neoliberale e che i governi impongono poi ai propri cittadini, dimenticando peraltro di precisare di averle essi stessi votate, non ci si può stupire per l’avanzata dell’euro-scetticismo. E non sarà certo la rituale denuncia del “populismo” [2], che spesso nasconde la diffidenza nei confronti di qualsiasi forma di sovranità popolare, che potrà invertire la curva ascendente di questo euro-scetticismo.

 Di: BERNARD CASSEN

Note

[1] Due testi assolutamente da leggere sull’argomento:

[2] Leggere: Christophe Ventura, “Un autre “populisme” est possible

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia per Pressenza

L’articolo originale può essere letto qui