Default ovvero fallimento: è così che in finanza viene definita l’insolvenza economica, ossia l’incapacità tecnica di un’emittente di rispettare le clausole contrattuali previste dal regolamento del finanziamento. Ad esempio è la situazione in cui incorre uno Stato quando viene dichiarato fallimento, o meglio detta “insolvenza sovrana”.

Il “default” può essere di due tipi: formale o sostanziale

  • Formale, laddove un’emittente non rispetta determinati indici di copertura patrimoniali tali per cui il prestito potrebbe subire una significativa modifica del proprio merito di credito. Detto in altre parole l’emittente che riceve il prestito non ha garanzie e affidabilità economica per poterlo restituire.
  • Sostanziale, quando un’emittente non è materialmente in grado di corrispondere le rate di interesse o di rimborso del capitale alla naturale scadenza di ciascuna.

E’ quest’ultimo il caso che si prospetta in questi ultimi giorni per la Grecia: default sostanziale.

Ma anche se non viene detto, secondo i deliranti dettami dell’alta finanza, sono moltissimi gli Stati che ormai hanno raggiunto e superato i parametri che configurano un default a livello formale: Citiamo la Spagna, il Portogallo, l’Italia, l’Irlanda, l’Ucraina, la Bulgaria, ma anche la Francia e persino gli Stati Uniti, il cui debito reale è 16 volte più grande di quello che sostiene il governo, come riportato dal Professor Laurence Kotlikoff , docente di economia della George Mason University di Boston e fondatore del Centro di Studi Economici, “Mercatus“. Una pubblicazione di uno  Studio commissionato dal Centro di Ricerche Nazionale di Studi Economici evidenzia come gli USA abbiano raggiunto un debito reale superiore ai 205.000 miliardi di dollari, equivalente al 211% del PIL.

Dati economici a parte, che analizzeremo meglio prossimamente in un  articolo specifico, la vera preoccupazione, più che le questioni macroeconomiche, riguarda le ricadute sulla popolazione.

Ecco le domande importanti da porsi: quali sono gli effetti per le persone se uno Stato fallisce? Cosa succede ai cittadini di uno Stato in caso di Default? In genere le cose vanno così:

  1. Default formale (da notare che ultimamente non viene neanche più dichiarato), con conseguenze ormai evidenti in diversi paesi dell’Unione Europea: lo Stato aumenta le tasse e riduce le spese. Le voci di costo che in genere vengono tagliate sono pensionisanitàretribuzioni dei dipendenti pubblici e servizi sociali.
    I primi a cadere sotto la scure sono gli organici e i salari della Pubblica Amministrazione, con pesanti conseguenze sui servizi erogati. La stessa sorte tocca poi a sanità, pensioni, welfare sociale, istruzione, cultura.
  2. Sempre secondo le regole imposte dai “geni dell’alta finanza”, gli indici di affidabilità di un determinato Stato peggiorano ancora a causa della ovvia contrazione dell’economia reale e del deterioramento del mercato del lavoro. Si riduce la circolazione dei soldi, si contrae il mercato del lavoro e si assottigliano le fonti di entrate delle tasse, il cui peso ricade sulle spalle di un numero sempre minore di persone e in generale viene meno la fiducia.  (Da notare che questi indicatori sono presenti ormai da tempo in molti Stati UE.)
  3. Subentrano i primi segnali di paura e un numero sempre maggiore di cittadini ritira i suoi risparmi dalle banche, fenomeno già in atto in Grecia da diversi mesi.
  4. Si prospetta il default sostanziale vero e proprio, quello che comporta il blocco dei conti, la tassazione forzosa a carico dei cittadini riscossa in maniera coatta sui risparmi della gente e il congelamento del pagamento di stipendi e servizi, come successo a Cipro nel 2013.
  5. I titoli di Stato diventano carta straccia, le banche del paese manifestano i primi segni di cedimento non ricevendo più gli interessi sul portafoglio, si trovano inevitabilmente a corto di liquidità e rischiano di fallire a loro volta. La bancarotta ricade poi su tutti coloro che hanno investito in titoli di Stato (Bot, Cct ecc.). Il Tesoro non può più pagare gli interessi (la cedola periodica) e al momento della scadenza del titolo, non si potrà più tornare in possesso dell’investimento iniziale. Qui interviene la ristrutturazione del debito. Lo Stato solitamente propone un differimento della restituzione, una parte oggi, una parte domani. Chiaramente un evento del genere porta al crollo del valore del titolo, con possibilità pressoché nulle di rivenderlo. (Effetto prevedibile a distanza ravvicinata in Grecia dopo l’esito del prossimo referendum)
  6. Il default sostanziale viene dichiarato, la paura dilaga, iniziano l’assalto alle banche per ritirare tutta la liquidità, le file agli sportelli e ai bancomat e le code negli esercizi commerciali per fare scorte di beni di prima necessità. Si innesca un rischiosissimo effetto-domino, perché in economia  l’elemento psicologico ha un peso enorme, si diffonde la voce di insolvenza delle banche e tutti i clienti corrono a ritirare i depositi prima che sia troppo tardi. Parte l’assalto agli sportelli e non c’è istituto di credito al mondo che possa resistere al prelievo contemporaneo di buona parte dei suoi clienti. In una situazione di questo genere saltano anche i sistemi di sicurezza esistenti, come il Fondo di garanzia sui conti correnti, operante in tutti i paesi europei. Il Fondo copre l’insolvenza delle banche fino a un ammontare di 100mila euro per conto corrente e il suo funzionamento dipende da un accordo interbancario.
  7. Subito dopo le banche rimangono a corto di liquidità e l’erogazione di soldi viene sempre più limitata o interrotta; cominciano a scarseggiare anche i beni di prima necessità.
  8. Subentra il panico e vengono meno i più elementari criteri di sicurezza sociale, la psicosi e la paura prendono il sopravvento. Si assiste ad episodi di violenza, con negozi ed esercizi pubblici che vengono saccheggiati e possono avvenire scontri fra la popolazione e le forze dell’ordine che cercano di contenere il fenomeno. Dal senso d’impotenza si passa alla rabbia. (Da evidenziare che gli effetti dei punti fin qui descritti sono ascrivibili ad alcuni degli effetti prodotti da una guerra.)
  9. Passato il periodo di forte disordine e confusione, poco a poco gli effetti dell’impasse economico si diluiscono e si mitigano. Ciò avviene principalmente per merito delle stesse persone che prima hanno subito gli effetti del “Default” e adesso, spinte dalla necessità di ripartire, di andare avanti, prendono l’iniziativa e cominciano a organizzarsi, sperimentando forme di economia reale, non più fondata su numeri virtuali e falsati, bensì sullo scambio di servizi e di beni, sull’attivazione di reti di protezione sociale, su forme di produzione locale alternativa e di mutuo soccorso. I criteri iniqui dell’alta finanza, che fino a poco prima avevano sfruttato, condizionato e poi stretto nella morsa l’economia reale, cedono il passo ad altri parametri economici, quelli della vita di tutti i giorni.
  10. Col tempo e soprattutto grazie al lavoro delle persone l’economia reale si ristabilisce e vengono ripristinati servizi di prima necessità. Grazie all’impegno volontario di molte persone, vengono avviate nuovamente iniziative per rimettere in marcia i servizi pubblici, l’istruzione, la sanità, l’assistenza sociale, la cultura e l’intrattenimento. Il lavoro prodotto dalla gente ritorna ad essere l’elemento centrale. Il lavoro delle persone, accompagnato dai principi di solidarietà, umanesimo e collettivismo, ogni volta fa sì che un popolo riesca a risollevarsi dalla condizione miserrima in cui era stato precedentemente spinto.         

Potrebbe sembrare una novella a lieto fine, ma purtroppo non lo è e rappresenta piuttosto la descrizione analitica per punti di quello che storicamente da molto tempo succede ai popoli. La loro storia arriva sempre a un punto di rottura, sia esso rappresentato da una guerra o come in questo caso da una profonda crisi economica, che per certi versi produce gli stessi identici effetti.

Il punto successivo, l’undicesimo o il primo, a seconda di dove si voglia iniziare a leggere la storia, è rappresentato dalla comparsa o ricomparsa degli stessi “attori economici”, che passato il momento di crisi si ripresentano, attaccandosi come parassiti alla vittima designata.

Una volta ripristinati lo Stato di diritto,  le condizioni minime di vita delle persone e ripartita l’economia reale, ecco che immancabilmente si riaffacciano i medesimi soggetti rappresentanti dell’alta finanza, proprio coloro che in precedenza avevano provocato la condizione di “crisi” o peggio ancora di guerra.

Emissari istituzionalizzati, portatori in terra degli interessi di pochi.  Detentori degli strumenti di controllo di un’economia virtuale che certo non rappresenta il lavoro della gente, né i concetti di benessere, prosperità e qualità della vita di un popolo.

E’ una storia antica che va ripetendosi da troppo tempo: i popoli producono lavoro, benessere, qualità della vita, cultura, progresso, conquiste sociali, in definitiva ricchezza nel senso più ampio del termine, di cui tutti dovrebbero beneficiare, ma una piccola “élite” in forma parassitaria e violenta ne sfrutta i benefici a proprio esclusivo vantaggio. Ultimamente si distruggono addirittura le fonti di questa ricchezza collettiva, ricacciando indietro ogni volta gli avanzamenti dei popoli e le istanze di equità e giustizia sociale che essi rappresentano.

Le dinamiche della storia però, se conosciute possono essere spezzate. Esistono esempi di economia solidale, messa al servizio dell’uomo, esperienze di pratiche quotidiane che tramandano la mutualità e il reciproco aiuto.

E’ proprio nella messa in atto di queste pratiche solidali, antiche quanto l’uomo, che sta la forza più profonda dell’umanità. Solo la capacità di riscatto delle singole persone e dei popoli in quanto insiemi umani, riesce a spezzare le dinamiche violente e perverse di un modello economico fallimentare e distruttivo come quello che stiamo vivendo e subendo.

Oggi più di ieri, in un mondo globale,  dove tutto e tutti sono in stretta relazione, non esiste salvezza dal “fallimento” se non in senso globale e collettivo.

I segnali si vanno moltiplicando e ci dicono chiaramente che il vecchio modello economico, basato su divisione, competizione e sfruttamento è destinato comunque al fallimento.

Un cambiamento umano è già in atto; è solo una questione di tempo. Un grande filosofo ha parlato del “tempo necessario nell’intervallo tra il concepimento di un’idea e la sua manifestazione. L’umanità ha concepito il germe dell’utopia e la gestazione procede verso il suo inevitabile concepimento.

A noi, singoli individui appartenenti comunque a insiemi umani tocca la scelta intenzionale di far leva sulla nostra capacità di riscatto ed in definitiva diventare interpreti principali di un’unica storia che ci abbraccia tutti. Innescare la forza liberatoria e rivoluzionaria legata al “poter guardare oltre”, reinventarsi, re-immaginare un futuro diverso, spezzando le catene di un determinismo storico che a vantaggio dei pochi ci deve sempre vedere necessariamente soccombere. Al contrario, farsi portavoce e incarnazione noi stessi per primi di sentimenti di solidarietà, di appartenenza comune, di riscatto sociale, mettendo in pratica questi principi nella nostra vita quotidiana. Agevolare così questo necessario seppur difficile concepimento già in atto.

La storia, per quanto potenti siano diventati, non la fanno i “parassiti” ma le persone con il lavoro quotidiano e i popoli con gesti di coraggio e ribellione,  manifestando amore per il prossimo e per coloro che hanno più bisogno, piantando un piccolo seme alla volta.  La storia la fanno coloro che sono mossi dalla ferma ostinazione di costruire un futuro e un mondo diverso, anche se questi, al termine della nostra vita, fossero solo leggermente migliori di quello che ci è stato consegnato.