Non sono “No Expo”, come li classifica una parte della stampa. Anche se hanno scelto di stare fuori dall’esposizione universale che sta per aprire i battenti a Milano. Expo dei popoli è un coordinamento di 50 enti non profit che vede al suo interno organizzazioni ambientaliste come WWF Italia e Legambiente, di cooperazione internazionale come Action Aid e Mani Tese, associazioni come Arci, Acli, Ctm Altromercato e Slow Food. Dal 3 al 5 giugno il Forum dei popoli porterà a Milano 200 delegati di reti contadine da tutto il mondo: piccoli agricoltori e allevatori che si confronteranno per tre giorni per poi proporre il loro punto di vista su come “Nutrire il pianeta”.

«Il nostro è un percorso che dura da tre anni» spiega Giosuè De Salvo, portavoce di Expo dei popoli, «abbiamo elaborato un manifesto in cui indichiamo soluzioni ben precise per garantire il diritto al cibo e un accesso più equo alle risorse. A giugno faremo un altro decisivo pezzo di strada, per poi andare oltre, verso due appuntamenti cruciali: la ridefinizione degli obiettivi di sviluppo del millennio, a settembre a New York, e la Conferenza sul clima a dicembre a Parigi.

Quale sarà il messaggio di Expo dei popoli?

Sarà molto semplice: non ci può essere sicurezza alimentare senza sovranità alimentare. Finché si escludono comunità e interi popoli, basando il sistema di produzione sull’accaparramento delle terre, delle acque e delle foreste, non può esserci una risposta efficace alla fame.

Qual è la vostra posizione rispetto a Expo?

Si tratta di un’esposizione, e quindi non può che mostrare l’attuale modello alimentare guidato dai privati e dall’industria, in cui pochi marchi hanno il controllo del mercato. È illusorio però pensare di riuscire a sfamare il pianeta restando all’interno di un modello che tende a concentrare il controllo del cibo e delle risorse nelle mani di pochi. Oggi sette multinazionali controllano il 70% dei semi, quattro traders commercializzano il 75% dei cereali a livello globale e a una decina di marchi producono gli alimenti che troviamo al supermercato. È un modello che va superato nel suo complesso, dal campo al piatto.

In che modo?

Sciogliendo i monopoli lungo l’intera filiera agro-alimentare globale, delocalizzando i processi produttivi, garantendo ai piccoli agricoltori la partecipazione alle decisioni politiche che li riguardano a tutti i livelli. Perché la realtà, a ben vedere è un’altra: secondo le stime delle Nazioni Unite l’agricoltura famigliare, insieme ai piccoli agricoltori e produttori, fornisce il 70% di cibo a livello mondiale. A sfamare il pianeta, alla base di tutta la piramide, sono i piccoli agricoltori.

Quali le chiavi per il cambiamento?

I movimenti contadini hanno cominciato per primi a parlare di sovranità alimentare inaugurando un progetto politico di trasformazione che li vede protagonisti. Oggi mettono al centro l’agroecologia come via per realizzare la sovranità alimentare, ovvero la costruzione di un “agro-sistema” il meno possibile dipendente dai prodotti chimici, che riutilizza le risorse creando tra territorio, animali, piante ed esigenze alimentari delle comunità locali un ciclo virtuoso.

Basterà a sfamare il pianeta?

Oliver De Schutter, che per due mandati è stato rappresentante Onu per il diritto al cibo delle Nazioni Unite, ha scritto che i metodi agroecologici sono più efficaci dell’uso dei prodotti chimici nell’aumentare la produzione alimentare, che potrebbe raddoppiare in dieci anni utilizzando adeguatamente questo sistema. Una ricerca condotta dall’Onu in 57 Paesi in via di sviluppo ha mostrato come le esperienze di agroecologia abbiano portato a un aumento medio delle rese dell’80%. Serve a questo punto solo la volontà politica di percorrere con convinzione questa strada.

Per la prima volta nella storia di Expo, all’esposizione parteciperà anche la società civile, nel padiglione della cascina Triulza e in altre aree del sito. Perché il Forum dei popoli si svolgerà fuori?

Ce lo hanno chiesto le reti contadine che parteciperanno. Non vogliamo prestarci al tentativo di dare una dimensione politica a quella che è un’esposizione guidata dai privati e dalla grande industria alimentare. L’Expo può essere un’occasione per riflettere sul diritto al cibo ma ci sono luoghi di confronto dove è garantita una presenza più ampia e paritaria di tutti gli attori, come il Comitato di sicurezza alimentare della Fao, dove i piccoli produttori siedono al tavolo alla pari con i governi e il settore privato. La risposta alla sfida della fame deve essere di tipo politico, non può essere delegata alla tecnologia e all’industria alimentare.

 

Emanuela Citterio

L’articolo originale può essere letto qui