Di Juan Cole

29 ottobre 2014

I timori che la storica elezione di domenica in Tunisia potesse essere rovinata da violenze commesse dalla minuscola frangia folle del paese, non sono stati confermati. Il governo ad interim del primo ministro Mehdi Jomas ha schierato 80.000 poliziotti e soldati per proteggere i seggi elettorali.

Contrariamente alle notizie che provocano tensione che sentiamo dai mass media, la Tunisia non ha visto molta violenza politica fin dalla Rivoluzione del 2011. Degli 11 milioni di persone della Tunisia (è un poco più popolosa del Michingan), soltanto circa 5.000 si stima che appartengano alla destra fondamentalista di tendenza salafita, e coloro che commettono violenze stanno quasi sparendo. La minuscola organizzazione terrorista Ansar al-Shariah ha lanciato una manciata di attacchi nelle zone rurali del paese, in regioni remote e accidentate. Nel 2013 sono stati commessi dallo stesso gruppo i due raccapriccianti assassinii di politici di estrema sinistra del Piccolo Fronte Popolare. La conseguenza politica di quelle uccisioni è stata enorme, come ho descritto nel mio recente libro: The New Arabs: How the Millennial Generation is Changing the Middle East [I nuovi arabi: come la generazione Y sta cambiando il Medio Oriente]. Ma per quanto riguarda persone uccise o gravemente ferite nel corso di violenze politiche, in tutti i 12 mesi passati, il numero è stato molto basso.

Nell’ottobre 2011, il partito tunisino della Destra di ispirazione religiosa, al-Nahda (Rinascita) aveva avuto il 37% dei voti, che si sono tradotti nel 42% dei seggi in parlamento. Ha dovuto unirsi in coalizione con un partito di sinistra e con uno laico liberale per formare un governo, mettendo Hamadi Jebali come primo leader liberamente eletto nella storia del paese. Jebali, che è ingegnere esperto di energia fotovoltaica e specialista di energia solare, è arrivato a molti accordi con i suoi colleghi laici, malgrado il suo tradizionalismo religioso. Quando Shukri Belaid, il capo del Fronte Popolare è stato assassinato nel febbraio 2013, milioni di giovani tunisini sono scesi nelle strade a protestare, incolpando la Rinascita di essere tollerante nei confronti dell’estremismo religioso. (Il nocciolo della Rinascita è costituito da musulmani religiosi tradizionali, ma ha una destra che essa non avrebbe voluto alienarsi se fosse stata considerata come gruppo che perseguita i credenti devoti).

Jebali pensava che avrebbe dovuto formare un governo di unità nazionale e dare gli incarichi di gabinetto a candidati della sinistra e liberali. Quando il suo Partito della Rinascita è diminuito e insisteva di restare al governo, Jebali ha fatto la cosa giusta e si è dimesso.

Il suo successore, Ali Larayedh, ha iniziato a inasprire di più i controlli sull’ Ansar al-Shariah, ma non è bastato. Nell’estate del 2013 il gruppo ha ucciso di nuovo, questa volta Mohamed Brahmi del Fronte Popolare. La Tunisia è esplosa in mesi di enormi dimostrazioni fatte da organizzazioni giovanili, gruppi di donne e dal sindacato nazionale dei lavoratori. Chiedevano che la Rinascita/al-Nahda si dimettesse a favore di un governo neutrale di transizione e che si tenessero nuove elezioni. Chiedevano che la costituzione venisse completata e messa ai voti. Chiedevano che non racchiudesse la legge islamica e che donne e uomini avessero uguali diritti. Chiedevano libertà di fede e di coscienza. Chiedevano che il governo si impegnasse di più nella creazione di impieghi per i lavoratori. Hanno continuato a dimostrare per tutta l’estate e l’autunno del 2013. Hanno ottenuto praticamente tutto quello che avevano chiesto. Coloro che pensavano che i movimenti giovanili tunisini fossero finiti nel 2012, hanno avuto una grossa sorpresa.

Nel gennaio 2014 la Tunisia ha avuto una costituzione con il voto dell’assemblea costituente nel parlamento eletto. Un primo ministro tecnocrate, democratico ha avuto l’investitura. Il paese è andato verso nuove elezioni. Non ci sono state più uccisioni, sebbene ci siano state alcuni attacchi fondamentalisti in zone rurali a posti di controllo militari.

I primi resoconti indicano che il nazionalista laico “Appello della Tunisia”, forse è arrivato prima del partito religioso di destra, Rinascita (al-Nahdah). Questo può o non può reggere dato che le risposte arriveranno lunedì, ma sembra probabile che i laici avranno risultati come minimo dignitosi. “Appello della Tunisia” è incerto perché alcuni dei suoi sostenitori provengono dal vecchio regime che è stato rovesciato nel 2011; il fatto che alcuni di loro che non sono accusati di reati di corruzione o di violenza vengano riabilitati, è tipico dei compromessi che fa la società politica tunisina. Dopo tutto, molti Afrikaner (i sudafricani bianchi di origine europea) che facevano parte dell’establishment dell’Apartheid hanno continuato a svolgere ruoli importanti in Sudafrica purché non avessero commesso dei reati; il Sudafrica è l’anti-Iraq e per il momento la Tunisia è così. I piccoli partiti di sinistra forse prenderanno numeri significativi di seggi, e saranno necessari come soci della coalizione (alla maniera della sinistra tedesca prima della Merkel).

La Tunisia ha prosperato politicamente laddove gli altri stati arabi rivoluzionari hanno virato verso il neo-autoritarismo (Egitto, Bahrein) la decentralizzazione e la lotta tra fazioni (Libya, Yemen) o la guerra civile (Siria). E’ stata aiutata dalle sue istituzioni di vecchia data, dai suoi alti tassi di istruzione, dai suoi potenti sindacati dei lavoratori, e dalla volontà di tutti i partiti importanti, compreso il Partito della Rinascita, di arrivare a patti invece che rischiare la guerra civile. (Confrontate questo con la Fratellanza Musulmana avida e imperiosa o con i corpi militari di ufficiali narcisisti in Egitto).

Quando ho intervistato il capo spirituale della Rinascita/al-Nahda, Rashed Ganoushi, gli ho chiesto se aveva accettato il principio della sovranità popolare (cioè il popolo opta che il governo e il suo partito dovrebbero accettare una sconfitta se arrivasse in futuro). Mi ha detto: “Sì. Perché dovremmo temere la volontà del popolo tunisino – specialmente dal momento che la vasta maggioranza è musulmana?” Questa convinzione che anche i tunisini di mentalità più laica condividessero ampi valori con i loro connazionali più religiosi, è l’opposto degli impegni intolleranti del tipo più-santo-di-te dei fondamentalisti nell’oriente arabo. Se accade davvero che la Rinascita deve sedersi nei banchi dell’opposizione come opposizione leale per pochi anni, sono assolutamente disposti a farlo. L’instabilità in Libia potrebbe tracimare in Tunisia. Sebbene l’Ansar al-Shariah sia piccola, è spietata e ha dimostrato che può disturbare il paese anche con piccole operazioni (non è stato difficile uccidere dei politici di estrema sinistra non sorvegliati da guardie).

Se gli Stati Uniti e l’Europa augurassero seriamente ogni bene alla Tunisia e la lodassero per la notizia di relativo successo, userebbero tutte le risorse disponibili per sostenere la sua transizione democratica. Gli Stati Uniti stanno dando all’Egitto oltre 1 miliardo all’anno per essere un fallimento politico. Non dovrebbe darne anche di più alla Tunisia? Gli Stati Uniti spenderanno miliardi per sostenere il governo iracheno non funzionante; la Tunisia non merita di più? I giovani e i lavoratori che hanno avuto un ruolo centrale in questo dramma meritano di essere ricompensati con un futuro più luminoso, dal punto di vista materiale e culturale.

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/the-tunisian-achievement

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0