Indigeni incontattati, Humaita, Brasile. Foto: Gleylson Miranda, FUNAI. Indigeni incontattati, Humaita, Brasile. Foto: Gleylson Miranda, FUNAI.

Il 1 agosto molti media hanno dato la notizia di un gruppo di indigeni amazzonici in isolamento volontario entrati in contatto con un gruppo di indigeni Ashaninka e alcuni funzionari della Fondazione nazionale dell’Indio (FUNAI) lungo il fiume Envira nello stato federale brasiliano dell’Acre, vicino al confine con il Perù. La ricerca di contatto non era stata però del tutto volontaria. Il gruppo di indigeni era infatti fuggito dalla violenza di narcotrafficanti e taglialegna illegali nella regione. Tramite il traduttore ashaninka la piccola delegazione di indigeni che hanno cercato il contatto hanno raccontato di violenze inaudite e dei massacri compiuti da narcotrafficanti e taglialegna nei confronti degli indigeni in isolamento.

L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si appella quindi con urgenza alla presidente brasiliana Dilma Rousseff affinché prenda finalmente sul serio gli avvertimenti della popolazione indigena degli Ashaninka che mettono in guardia dalla brutalità degli intrusi illegali nella foresta e da nuovi massacri e genocidi di popoli indigeni incontattati. Molte comunità Ashaninka vivono in vicinanza di popoli indigeni in isolamento volontario di cui si sentono fratelli e cercano quindi di proteggerli e di intervenire a loro favore.

Da anni le comunità indigene chiedono l’istituzione di una zona protetta transfrontaliera che possa dare rifugio alle comunità incontattate. L’APM sostiene questa richiesta di cui si è fatto portavoce anche l’ex-collaboratore della FUNAI e antropologo José Carlos Meirelles. Nel 2012 José Carlos Meirelles ha visitato diverse città europee tra cui anche Bolzano dove è stato ospite dell’APM e dell’EURAC e ha tentato di informare e sensibilizzare politici e l’opinione pubblica sulla situazione dei popoli indigeni in isolamento volontario.

La richiesta di una zona protetta nasce anche dall’esperienza fatta con gli indigeni Surui nello stato federale brasiliano di Rondonia. Quando nel 1969 fu instaurato il primo contatto con il popolo dei Surui la loro popolazione calò da 5.000 persone a sole 300 persone in poco tempo. Ad uccidere i Surui erano principalmente le malattie infettive trasmesse dall’uomo bianco e per le quali gli indigeni non avevano anticorpi. Una vera e propria strage. Risultò evidente che il contatto non può essere obbligato, che la volontà di isolamento delle popolazioni indigene va rispettata, che la volontà di contatto deve provenire dalle stesse comunità incontattate e che questo deve avvenire in modo tale da non decimare la popolazione in contatto.

Secondo quanto riporta la FUNAI i governi dei paesi in cui vivono popoli indigeni incontattati sono però lontano dal garantirne la tutela. La mancanza di posti di osservazione capaci di intercettare intrusi illegali e la mancata istituzione di un’area naturale transfrontaliera rigidamente chiusa a qualunque forma di sfruttamento fanno sì che non si riescano ad evitare contatti non voluti dagli indigeni, perlopiù causati da narcotrafficanti, contrabbandieri e taglialegna che comportano veri e propri massacri, sia per la violenza usata nel cacciare le popolazioni indigene sia per la trasmissione di malattie infettive.

Secondo diverse stime nella foresta amazzonica brasiliana vivono tuttora tra i 50 e i 90 popoli indigeni incontattati e altri 20 popoli vivono nell’Amazzonia peruviana. Oltre alla brutalità di intrusi e criminali le popolazioni indigeni incontattate devono affrontare le conseguenze del progressivo disboscamento della foresta e dello sfruttamento selvaggio delle sue risorse su entrambi i lati della frontiera e di conseguenza della drastica riduzione del loro spazio vitale.