Di Lorenzo Giroffi

Prendere la letteratura e metterla al servizio della storia pulsante di una quotidianità ridotta a due minuti da telegiornale. Lampedusa sembra un posto conosciuto per i fruitori di network d’informazione, ma a pensarci bene pochi riescono ad immaginarla oltre i fotogrammi da barconi ed emergenza: cosa c’è prima e dopo? S’infila così il libro Lampedusa, Conversazioni su isole, politica, migranti: intervista di Marta Bellingreri a Giusi Nicolini (sindaca di Lampedusa).

Bellingreri è a Palermo, di ritorno dalla sua esperienza tunisina, dove ha continuato a lavorare, dopo i suoi viaggi e reportage in diversi punti del Medio Oriente, oltre alla sua esperienza lavorativa nel 2011 con i minori migranti di Lampedusa.

Il testo edito da Gruppo Abele ha il merito di riempire la biblioteca dei libri utili, perché cartina con cui leggere il Paese ed il mondo che si abitano.

Svilire la porta sul Mediterraneo come fucina di sola precarietà e tragedia è stato, oltre che uno scempio politico, una grossa pecca di romanzieri e cronisti contemporanei. Si è giocato sul senso di paura che le acque si portano dietro, perdendo anno per anno la meraviglia dell’incontro.

Lampedusa, Conversazioni su isole, politica, migranti è la descrizione degli angoli di un’isola fantastica, è la sequela di disagi connaturati ancor prima dell’emergenza accoglienza, è spunti di riflessione sulla concezione di migrazione, è nuova filosofia del Mediterraneo. Alcuni di questi punti li approfondisco con Marta Bellingreri, che incontro a Palermo, di fronte al mare, che in prospettiva è ispirazione del libro in questione e protagonista di ogni giorno da queste parti.

Lampedusa: da Cuneo a Catanzaro, ma anche da Bruxelles a Porto, tutti potrebbero dire di aver sentito qualcosa in merito. Perché nasce l’esigenza di andare oltre un certo tipo di descrizione?

<<Tutto parte dalla voce di Giusi Nicolini, che, a sei mesi dalla sua elezione a sindaco, scrive un grosso appello a livello nazionale. Io all’epoca mi trovavo in Tunisia e molte persone mi contattarono, chiedendomi se avessi letto quelle parole di Giusi. Così mi venne voglia di risentirla, perché credevo che la sua voce potesse andare oltre quella dell’attivista che è stata, ma anche oltre quella di esperti, giuristi, filmakers che si recano sull’isola per racconti estemporanei del contesto.  L’esigenza di tale intervista è derivata poi dal fatto che Giusi Nicolini è una donna eletta sindaca in Sicilia e per me questo è già un elemento di coraggio, visto il suo percorso di attivismo sull’isola. Ho rimesso piede a Lampedusa nel luglio del 2013: l’avevo lasciata nel settembre 2011, quando ci fu un incendio che causò la chiusura del centro di prima accoglienza dell’isola>>.

Il libro è pieno di numeri, dati, cronaca approfondita di un’isola troppo spesso massificata, però tu hai inserito anche pause narrative di storie umane. Vite raccontate in intramezzi come a ricordare l’umanità e la quotidianità di Lampedusa.

<<Il libro parte proprio con Kamal del Ghana e continua con intermezzi narrativi che ci parlano sia dell’isola, come ad esempio la descrizione  del cimitero delle barche di Lampedusa, che di storie di vita, infatti il libro si conclude  con la storia di Fatima e Fetma. Tutto ciò perché ho voluto che il filo conduttore fosse non l’intervista giornalistica ad una sindaca, ad un personaggio pubblico, ad un’amministratrice di un Comune si isolato e marginale, ma che è comunque importante in tutta Italia, volevo che il tema centrale fossero le persone che sono passate per Lampedusa ed i Lampedusani stessi. Tutta questa umanità che ha incrociato Giusi. Proprio per questo il primo intermezzo narrativo  è quello di Kamal del Ghana. Quando ho conosciuto questo ragazzo, Giusi voleva far sì che i minori trattenuti nel centro di prima accoglienza facessero una visita nell’isola, giro che, nonostante la volontà del sindaco, è stato impedito. La storia di Kamal è di un ragazzo che scolpisce tartarughe con terra, acqua e saliva: lui mi ha dato l’ispirazione per iniziare a creare l’architettura del testo dell’intervista che avevo registrato>>.

Quali sono state le persone che più si sono avvicinate alla lettura di questo lavoro?

<<Le realtà che mi hanno chiesto di presentare il libro sono state le più diverse tra di loro, quindi non solo associazioni che si occupano di immigrazione, accoglienza o esperti giuridici sull’immigrazione, ma innanzitutto piccole associazioni, amici e librerie. Questo è stato per me il primo riscontro fondamentale della volontà di ascoltare da tutta Italia storie diverse su Lampedusa: tanta curiosità. La maggior parte delle persone che ho incontrato non sapevano ad esempio che a Lampedusa non si può partorire, perché non c’è un ospedale o non conoscevano i problemi specifici dell’isola, di cui conoscevano solo il frastuono derivanti dalle notizie e dalle immagini da prima pagina dei periodi di cosiddetta emergenza. Mi ha anche stupito che un professore di filosofia dell’Università di Palermo abbia voluto inserire questo libro in un aperitivo filosofico, per mettere a confronto il dialogo con la sindaca con un testo di Jacques Derrida. Ciò per me è stato un segno fortissimo di come siamo davvero legati all’esigenza di filosofare su di un tema che spesso possiamo solo captare secondo quello che i media principali ci vogliono far ingoiare. Questa è una delle cose che dice anche Giusi: in un’isola come Lampedusa è fondamentale legare le storie di migrazioni dei lampedusani stessi (migranti di studio, di lavoro o anche per poter partorire) con altre storie di migrazione. Questo incrocio più importante delle miscele con esperti o con quanto dice la televisione. Inoltre ricordo con piacere di essere stata invitata in un istituto professionale qui a Palermo, con precisione a Borgo Nuovo, dove insegna la presidente dell’associazione DIARIA di cui faccio parte. Ero al contatto con alunni che a volte hanno difficoltà ad esprimersi in italiano e che non avevano mai conosciuto una persona che aveva scritto o anche solo letto un libro. Quella è stata la presentazione più emozionante per me, perché quei sedicenni scalmanati hanno avuto la profondità di chiedermi: ”Perché noi abbiamo il diritto di viaggiare e loro no?” Una domanda che è partita da dei ragazzini che forse non si sono mai mossi dalla Sicilia, ma che segna proprio il passo in termini di politiche migratorie>>.

Dai racconti di Lampedusa il Mediterraneo appare sempre più come il disegno di un muro. Come lo si potrebbe riconcepire in maniera diversa, ripristinando la sua natura di scambio e contatto?

<<Il Mediterraneo bisognerebbe riscoprirlo semplicemente geograficamente. Guardarlo su mappa ci dà subito l’idea della natura stessa di questo mare. È si circoscritto, visto che le sue due sponde sono politicamente separate, ma a guardar bene sono molto vicine, come la stessa Lampedusa, che geologicamente è in Africa.  Il Mediterraneo è stato costruito come muro, tradendo la natura geografica di questo mare, che a me per esempio ha fatto scoprire il mondo arabo, che può sembrare così lontano, ma che invece geograficamente e culturalmente è molto vicino. Basta decostruire tutto il falso immaginario della lontananza del mondo arabo islamico. È una questione di costruzione e di narrazione, che dei piccoli contributi, come questo libro, possono aiutare a frantumare ed a distruggere>>.

Articolo originale: http://firstlinepress.org/un-libro-che-conversa-davvero-con-lampedusa/