Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro ha annunciato per l’ultima settimana di Febbraio l’inizio dei lavori della Conferenza Nazionale di Pace con tutti i settori politici e sociali del Paese ed i segmenti sociali più significativi della variegata composizione venezuelana: donne, lavoratori, giovani, studenti, comunità, atleti ed intellettuali. Non si tratta solo di uno sforzo di pacificazione, ma di una vera e propria messa a punto del processo bolivariano attraverso la partecipazione di tutte le realtà politiche e sociali del Paese. Come ha dichiarato lo stesso Maduro: “La nostra rivoluzione pacifica e democratica potrebbe prendere un altro carattere, profondamente rivoluzionario, ed intendiamo reagire ad un vero e proprio colpo di stato fascista contro il Venezuela rafforzando ancor di più la nostra rivoluzione”. Perciò la Conferenza Nazionale di Pace s’inserisce anche in una strategia di consolidamento del processo rivoluzionario bolivariano.

Se è vero che la rivoluzione bolivariana è una rivoluzione sostanzialmente pacifica e ampiamente partecipativa, la presenza del fattore armato non è mai stata in ombra nel Paese ed è stata una carta giocata più volte dalle opposizioni di destra contro il potere rivoluzionario, durante il colpo di stato dell’aprile 2002, o negli omicidi di centinaia di contadini, comunque contro il popolo rivoluzionario. Considerato il vero e proprio “assalto internazionale”, politico e mediatico, orchestrato in primo luogo da Washington e da agenzie e settori di creazione di immagine (e immagine di nemico) legati ai circuiti imperialistici nord-americani, il percorso diplomatico rappresenta la migliore opzione a disposizione del governo venezuelano. Anche per smascherare chi mesta nel torbido, come José Miguel Insulza, segretario OAS (Organizzazione degli Stati Americani, sponsorizzata dagli USA) che ha detto: “Se manca la fiducia, verso qualsiasi istituzione o qualunque individuo, per garantire una posizione libera ed equa, l’intervento, deciso di comune accordo, di attori esterni provenienti dal nostro continente, è una possibile alternativa”. Un modo eufemistico, neanche tanto dissimulato, di creare il clima – come si dice – per sostenere direttamente o indirettamente un intervento straniero.

Tra i settori della destra interna che soffiano sul fuoco delle proteste e delle minacce golpiste, non solo le classi possidenti e le borghesie antipatriottiche, ma anche le gerarchie. Il segretario generale della Conferenza Episcopale Venezuelana, Jesus Gonzalez, ha detto che gli episodi di violenza degli ultimi giorni sono generati dalle “condizioni reali” che il paese presenta come “l’insicurezza, la violenza e la mancanza di un’educazione di qualità … le idee principali delle manifestazioni studentesche sono per la pace e per la convivenza sociale”. Se da un lato è opportuno continuare ad offrire il dialogo nei confronti dei settori disponibili ed aperti dell’opposizione, dall’altra parte il potere bolivariano deve consolidare il suo carattere rivoluzionario perché tutta l’opposizione sembra essere ostaggio delle frange violente e fasciste. Non di rado i governatori della destra degli stati di Miranda o Lara partecipano ad incontri pubblici o istituzionali solo per manifestare provocazioni di ogni genere, tra cui la richiesta di un confronto aperto e pubblico, senza condizione alcuna, un modo per avere “ufficialmente” mano libera per continuare a sobillare la violenza antigovernativa.

Uno dei principali esponenti della destra, Henrique Capriles, ha chiesto che si metta un microfono per parlare dalla televisione nazionale: “Nicolás [rifiutando di chiamare Maduro “Presidente”], le dico, siamo amanti della pace, ma non potremo mai inginocchiarci davanti ad un corrotto. I venezuelani che la pensano diversamente non sono fascisti. Nicolás, se vogliamo montare sul ring e mettere i guanti, siamo pronti a farlo, ma allora se la dovrà vedere con tutto il Venezuela”. Non è del tutto inutile ricordare che il Capriles che fa ricorso oggi alla violenza di piazza, è lo stesso Capriles già più volte battuto alle elezioni politiche dal potere bolivariano, nel 2012 contro Chavez, circa dieci punti indietro nel risultato finale, e nel 2013 da Maduro, due punti percentuali sotto. Il tentativo violento di rovesciare il pronunciamento democratico è il cuore della strategia golpista.

Come ha ricordato la deputata comunista cilena, Camila Vallejo, «è necessario difendere il processo bolivariano, perché in America Latina ha dimostrato che è possibile che il popolo detenga le risorse naturali facendo crescere l’uguaglianza; è importante difenderlo contro la destabilizzazione politica che favorisce solo interessi ristretti e gruppi economici potenti».«Quello che accade in Venezuela è permeato da interessi stranieri che giocano su un movimento di studenti a favore del tentativo di golpe degli USA e della destra venezuelana», influenzandolo con informazioni distorte dai media.