Erano un migliaio, per le strade di Medellín, in Colombia (la capitale dei narcos durante glí anni 80-90 all’epoca di quel Pablo Escobar in affari con Cosa Nostra siciliana), a camminare senza pantaloni lo scorso 9 febbraio, per rivendicare la libertà d’espressione e chiarire a tutti che “non importa come ci vestiamo, ma chi siamo”, secondo le parole di Sebastián García, uno degli organizzatori del Día sin pantalones, la Giornata senza pantaloni. Una Giornata chiaramente ispirata al No pants subway ride (In metropolitana senza pantaloni), che a gennaio coinvolge gli utenti delle metropolitane di varie capitali del mondo, e che a Medellín è stata vietata dai responsabili del trasporto pubblico, che l’hanno giudicata immorale. Così i partecipanti hanno scelto il 9 febbraio per sfilare nelle strade cittadine senza pantaloni.

Questa è una delle recenti notizie che più hanno trovato spazio sui maggiori quotidiani nazionali come El Tiempo, El Espectador, El Colombiano.

Ma l’immagine reale del paese andino che si affaccia alle elezioni parlamentari della prossima domenica è ben diversa e contraddittoria.

Gustavo Petro, ex guerrigliero, già senatore ed esponente di spicco dell’opposizione di sinistra dell’Alleanza Progresistas-Partido Verde (il primo che ha denunciato il potere politico dei paramilitari, in primis di Salvatore Mancuso e la liason del narcotraffico con la ndrangheta calabrese), è stato condannato a 15 anni di inabilità a ricoprire i pubblici uffici dal controverso procuratore Alejandro Ordóñez Maldonado, noto per la sua appartenenza ai circoli conservatori, con l’accusa di gravi “irregolarità” rilevate nella sua politica di gestione dei ciclo dei rifiuti urbani che il 18, 19 e 20 dicembre 2012 provocò gravi disagi nella capitale.

L’azione di Ordóñez ha creato le premesse per una massiccia mobilitazione popolare, che si è accesa fin da dicembre. La Plaza Bolívar della capitale Bogotá è stata ribattezzata la Comuna de Bogotá, poiché si è trasformata in uno spazio di democrazia partecipata e in un punto d’incontro e di “contropotere” riempito da centinaia di migliaia da giovani, donne, femministe, indigeni, afrodiscendenti, ambientalisti, disoccupati, desplazados (rifugiati interni) e di tutta la società civile che rifiutava sia l’ex presidente Uribe (responsabile di una gravissima crisi umanitaria e di violazione sistematica dei diritti umani per aver negoziato l’impunità con i paramilitari attraverso la legge “Justicia y Paz” e anche l’attuale presidente neoliberista Juan Manuel Santos.

Come scrive il giornalista  Raul Zibechi, quel che ha scatenato la crisi e la sua successiva destituzione è stata la decisione di trasferire la raccolta dei rifiuti all’impresa pubblica Acque di Bogotà, decisione presa il 18 dicembre 2012. Gli imprenditori hanno boicottato il trasferimento e, per alcuni giorni, si è vista la città sommersa dall’immondizia. Per fare pulizia il municipio è stato costretto ad ingaggiare dei camion. È stata avviata, inoltre, la regolarizzazione dei 14.500 lavoratori che fanno la raccolta dell’immondizia in modo informale attraverso apposite cooperative. Secondo tutte le analisi, la realizzazione di questa giusta decisione è stata un po’affrettata, ma nessuno ha accusato Petro di corruzione o di cattiva gestione dei fondi pubblici. Va ricordato che l’anteriore Sindaco Samuel Moreno (del Polo Democratico) è in carcere per corruzione.

Stupisce il disinteresse dei politici italiani, mentre in Europa non è mancata l’indignazione: Alain Lipietz, ex Presidente della Commissione del Parlamento Europeo con la Comunità Andina e ex candidato presidenziale dei Verdi in Francia, mi spiega che “protestiamo perché Petro gioca un ruolo decisivo nelle forze che hanno abbandonato le armi per raggiungere la pace in Colombia, il sindaco della maggiore megalopoli del paese é stato votato con mandato popolare e non può essere destituito per una questione amministrativa”.

E’ un colpo al processo di pace che le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e il governo di Juan Manuel Santos stanno negoziando all’Avana. E’, tuttavia, anche una dimostrazione del tipo di democrazia che impera nel paese sudamericano, una democrazia attraverso la quale le élite dominanti cercano di blindare i loro interessi di classe. Petro ha fatto parte del M-19, (gruppo che scelse la lotta armata nel 1970 e poi trattò il suo rientro sulla scena politica arrivando a vincere elezioni locali, ottenendo la vice presidenza dell’Assemblea Costituente del 91 che ha riscritto la Costituzione), smobilitato più di due decenni fa. È il primo sindaco di sinistra della capitale della Colombia. Nella sua campagna elettorale, Petro ha promesso di difendere l’interesse pubblico, l’ambiente e di lottare contro le mafie.

In un paese martoriato da mezzo secolo di conflitto armato, con la peggiore distribuzione della ricchezza dell’America Latina, gli occhi della cooperazione internazionale sono puntati sulla Colombia in vista del “business del post-conflitto”, ma solo chi vive quotidianamente con i popoli storicamente esclusi può offrire chiavi di lettura per comprendere la complessità di questo conflitto.

Padre Angelo Casadei, missionario della Consolata, a fianco dei popoli indigeni nel Cauca spiega: “Il sequestro, il pizzo, le varie vendette hanno portato questo Paese ad essere per alcuni anni tra i paesi più violenti al mondo. Questa guerra civile non dichiarata ha portato il fenomeno del ‘desplazamiento’: quantità infinite di popolazioni che si spostano da una parte all’altra del Paese, perché minacciate e in cerca di lavoro o di una vita più tranquilla e dignitosa”.

Il “golpe” contro il sindaco Petro potrebbe spegnere le speranze suscitate dal dialogo tra il governo presieduto dal presidente Juan Manuel Santos e la guerriglia delle Farc: “Il Paese sta vivendo un momento economico favorevole, anche se c’è molta corruzione. L’attuale governo sta cercando un dialogo con il gruppo guerrigliero più significativo, la Farc-Ep e sono riuniti a Cuba in luogo neutrale ma favorevole alla guerriglia”.  Secondo Padre Angelo (che insieme al P. Antonio Bonanomi e all’antropologo missionario Gaetano Mazzoleni è una delle figure simboliche dei missionari italiani in Colombia ) gli esperti “affermano che una volta firmata la pace, per i primi tempi ci sarà un aumento della violenza interna perché da ambo le parti la base non accetterà questa situazione: né i gruppi guerriglieri, né i gruppi paramilitari e parte dell’esercito, forze, quest’ultime cresciute negli anni della presidenza Uribe”, conclude p. Angelo.

A questo scenario va aggiunta la problematica della criminalizzazione della protesta sociale e dell’opposizione democrática.

Il Movimento di Vittime di crimini di Stato MOVICE, partner di Libera, ha espresso recentemente grande preoccupazione di fronte all’apertura di una indagine disciplinare della Procuraduría lo scorso 12 dicembre 2013 contro il rappresentante della Camera Iván Cepeda Castro, fondatore dello stesso Movimiento de Víctimas de Crímenes de Estado, per “abuso di funzione pubblica” e “frode processuale”, accuse rivolte a seguito delle riunioni svolte da Cepeda con alcuni paramilitari nei rispettivi luoghi di reclusione. Queste riunioni sono state richieste dagli stessi paramilitari al deputato che, in quanto membro della Commissione dei Diritti Umani del Congresso colombiano, ha raccolto le dichiarazioni e consegnato le registrazioni alla Procura (Fiscalía). Alcune di queste accusano l’ex presidente Alvaro Uribe Velez di vincoli con il paramilitarismo.

Questa indagine si inserisce in un contesto segnato dalla destituzione del tutto arbitraria del sindaco di Bogotà Gustavo Petro Urrego da parte dello stesso Procurador General de la Nación Alejandro Ordoñez Maldonado. A questo si aggiungono altre detenzioni arbitrarie di sindacalisti e campesinos che alimentano un quadro allarmante: secondo la campagna “Libertad Asunto de Todos”, già nel periodo fra gennaio e agosto 2013 sono state effettuate più di 3000 detenzioni arbitrarie. Inoltre, in questo momento si trovano in carcere, con accuse costruite a tavolino, vari membri di organizzazioni sociali, leader dello sciopero agrario dell’agosto 2013 e dello stesso MOVICE.

Questa situazione dimostra la messa a punto di nuove strategie di persecuzione politica per via giuridica nei confronti dei gruppi di opposizione. Inoltre, continuano i casi di omicidio e minacce, determinando una pericolosa assenza di garanzie per chi denuncia gli abusi e le violazioni dei diritti umani e critica le politiche dello Governo, sottolinea una nota diffusa dal coordinatore di LIBERA international Padre Tonio dell’Olio.

Queste sono alcune delle incognite del processo elettorale colombiano in programma il prossimo weekend. Vedremo domenica quello che succederà.

 

Cristiano Morsolin