A pochi giorni dalla strage di Ragusa, un altro massacro di migranti si è consumato nelle acque di Lampedusa: un barcone con più di 500 persone, dopo lo sviluppo di un incendio a bordo, naufraga nei pressi dell’isola dei Conigli. Centinaia sono le persone che mancano all’appello. In 25 anni quasi 20mila migranti sono morti annegati, tentando in modo disperato di fuggire proprio da quella morte che nei rispettivi paesi d’origine li avrebbe colti, o per la fame o per la guerra.
Perché?
Perché tante persone devono essere costrette a fuggire?
Perché l’allontanamento dalle proprie terre, che già presuppone uno stato notevole di sofferenza, deve avvenire in questo modo, rischiando la propria vita su imbarcazioni assolutamente insicure e per giunta stracolme?

Le responsabilità politiche sono enormi, dietro le quali s’intravede un’etica feroce.
Le responsabilità politiche sono di tutti i paesi che si auto-definiscono “civili” e che, guarda caso, sono le mete verso cui si dirigono i migranti in cerca di una vita degna di essere vissuta.
Sono quegli stessi paesi i cui governanti si ergono a difensori dei diritti umani quando si tratta di mettere mano a missili e bombe allo scopo, ovviamente solo di facciata, di sottrarre un determinato popolo alle malefatte del dittatore di turno. Tanta sollecitudine scompare però quando si tratta, invece, di andare oltre le cosiddette politiche di “respingimento” e di aiutare concretamente le popolazioni costrette ad emigrare per sottrarsi ad una guerra o alla povertà.
Forse perché aiutare concretamente significherebbe mettere in discussione la globalizzazione feroce a cui sembra condannato il nostro pianeta e che sta facendo più vittime di tutte le guerre attuali messe insieme.
Forse perché aiutare concretamente significherebbe prendere una direzione diversa.
Sta di fatto, però, che è proprio questo che si richiede. Invece di sprecare energie umane ed economiche nel rispondere alla violenza, (che costringe tanti esseri umani a rischiare la propria vita su barconi fatiscenti), con altra violenza fatta di espulsioni e di sacri confini della patria, bisognerebbe dirigere tali energie nella direzione dell’apertura e dell’accoglienza, costruendo al contempo una società umana senza più confini e, quindi, senza più qualcuno che possa essere accusato di essere un clandestino.
In altre parole sono le politiche che creano, mantengono e rinforzano lo stato di clandestinità ad essere le maggiori responsabili di queste stragi di migranti.
Politiche, infine, dettate dall’egoismo e, diciamolo pure, da quella forma di stupidità secondo cui i problemi non esistono fin quando lo sguardo è volto da un’altra parte.