di Lorenzo Galbiati

Nota della redazione: come ci pare ovvio e legittimo le opinioni di Lorenzo Galbiati hanno suscitato un notevole dibattito e reazioni di ogni genere giunte anche alla Redazione Italiana di Pressenza; in questo senso la Redazione precisa che Pressenza è la casa per le opinioni di tutti i pacifisti di ogni tendenza e che non censurerà nessuna opinione né ora né mai. Ospiterà volentieri qualunque altra opinione voglia rispondere, confutare o obiettare alle analisi qui esposte. Questo in una applicazione profonda della libertà di Pensiero e di Parola che Pressenza porta avanti con forza.

Nota ulteriore del 29 settembre: in seguito alle proteste di Francesco Santoianni su inesattezze nella formulazione dell’Autore sugli eventi in cui Santoianni è coinvolto abbiamo chiesto all’Autore di riformulare le sue considerazioni in modo meno personalistico e più documentato. Cosa che Lorenzo Galbiati ha fatto e di cui lo ringraziamo. Di conseguenza abbiamo corretto l’articolo che appare come qui sotto.

Al tempo stesso ribadiamo che Pressenza ospita opinioni e non aderisce alle medesime. E che ha pregato Galbiati e pregherà tutti coloro che scriveranno su questa Agenzia di evitare le polemiche personali che sicuramente nuocciono alla causa comune del pacifismo.

Infine, per completezza di informazione, riportiamo in calce a quest’articolo una precisazione di Francesco Santoianni su fatti citati; precisazione che pubblichiamo ben volentieri dato che l’avevamo più volte sollecitata.

Come descritto nella prima parte dell’articolo, molti ambienti pacifisti e nonviolenti non si sono accorti che in Siria è avvenuta per mesi una grande sollevazione popolare spontanea e nonviolenta, fino a che alcuni manifestanti, spinti dalla sanguinosa repressione del regime, hanno cominciato a prendere le armi, prima per difendersi, e poi per organizzarsi in bande armate (il Libero Esercito Siriano) con l’obiettivo di rovesciare il regime. Persone appartenenti alla Rete No War, a partiti come il PdCI e Per il Bene comune, sono attive da tempo nelle piazze, su siti internet come sibialiria.org e nelle mailing list di Peacelink e del Movimento Nonviolento con presidi, comunicati e petizioni che di fatto hanno negato e negano la natura spontanea della rivolta nonviolenta siriana, che secondo questi attivisti altro non è stata se non una insurrezione etero-diretta ben presto diventata violenta e condotta da milizie straniere. L’assolutizzazione di un dato, ossia della presenza tra gli insorti armati siriani di infiltrati arabi (compresi i jihadisti), tra cui milizie libiche, ha indotto molti pacifisti a considerare l’insurrezione armata siriana opera dei fondamentalisti islamici, in sinergia con l’azione dell’intelligence statunitense e delle petromonarchie (in particolare del Qatar). Questa interpretazione riduzionistica sia della rivolta popolare nonviolenta sia dell’insurrezione armata, delle quali si nega fin dall’inizio la caratterizzazione nazionale, trova la sua ragione d’essere in una visione ideologica antimperialista a senso unico (antiamericano) che commette l’errore di dare una spiegazione in termini strettamente geopolitici di quella che in realtà è stata una sollevazione popolare di massa, laica e trasversale sia in termini sociali che religiosi.

È in questo scenario che la Rete No War di Roma si è fatta promotrice di un appello, a luglio 2012, chiamato “Giù le mani dalla Siria”1 , dove si è addebitata la colpa della maggior parte dei crimini agli insorti (“…le forze che si oppongono alla leadership di Assad vedono prevalere le componenti armate e settarie, un dato che si evidenzia nei massacri e attentati che vengono acriticamente e sistematicamente addossati alle truppe siriane mentre più fonti rivelano che così non è.”) e si è dato credito alle elezioni-farsa di al-Assad fino a sostenere che in Siria era in atto un processo di democratizzazione (“…la leadership di Bashar El Assad ha conosciuto due fasi: una prima in cui ha prevalso la consuetudine autoritaria, una seconda in cui è cresciuto il peso politico delle forze che spingono verso la democratizzazione.”). Primi firmatari dell’appello: Rete Disarmiamoli, Militant, Rete dei comunisti, PdCI, e poi anche vari centri sociali, comitati filo-palestinesi, la FGCI e il movimento Alternativa di Giulietto Chiesa. E questo appello assolutamente irricevibile è stato lanciato quando la guerra civile già imperversava, con il regime che lanciava bombe sui quartieri residenziali delle sue più importanti città.

Non è un caso che, prima di questo appello, con la sigla “Giù le mani dalla Siria” ci siano stati, da Milano a Roma, vari presidi fin dal 2011, spesso organizzati da siriani pro-al-Asad, e poi nel 2012 presidi e anche convegni in alcuni dei quali si è riscontrata la contemporanea presenza di comunisti, o post-comunisti, e gruppi fascisti o para-fascisti di nuova creazione, talvolta con inquietanti connotati ibridi tra estrema destra ed estrema sinistra, i cosiddetti “rossobruni”. In pratica, tutti i presidi, gli appelli, i cortei che hanno visto schierati pacifisti con posizioni antimperialiste si sono nei fatti espressi con il motto “Giù le mani dalla Siria” e hanno negato esplicitamente, o implicitamente e inconsapevolmente, molti crimini del regime di al-Asad. In alcuni casi questa incoscienza (volendo credere alla buona fede fino a prova contraria) è arrivata al punto di considerare normale, in nome del dialogo e del confronto, manifestare al fianco di siriani che prendevano la parola per sostenere il regime di al-Asad e sbandieravano bandiere della Siria con la faccia del suo dittatore.

Mi limito a fare alcuni esempi.

Il 10 marzo 2012, due ex iscritti al PdCI, l’ex senatore Fenando Rossi (ora della Lista per il Bene Comune), attivissimo nelle mailing list pacifiste, e Ouday Ramadan detto “Soso”, “comunista siriano”, hanno parlato a un convegno di Stato e Potenza2 sulla Siria di al-Asad intesa come baluardo dell’antimperialismo (i due sono stati di recente ricevuti in Siria da esponenti del regime di al-Asad insieme a una delegazione comprendente vari esponenti di casa Pound3). Nel giugno 2012 Francesco Santoianni, della Rete No War di Napoli (ora amministratore del sito sibialiria.org), segnalava sulla mailing list “Pace” di Peacelink una manifestazione per la Siria (svoltasi il 16 giugno 2012), per la quale era stata creata la pagina facebook https://www.facebook.com/events/272803262817318/, poi il testo di “un nostro appello di autonoma adesione alla manifestazione”4a che aveva creato all’indirizzo https://www.facebook.com/events/244174155688165/ . Nel primo di questi link di facebook si legge che la manifestazione era “…a DIFESA dello stato siriano, del suo popolo e del suo Presidente. CONTRO le ingerenze straniere, it terrorismo e l’imperialismo!”.  Dopo un lungo dibattito, che ha registrato nella mailing list numerosi consensi verso l’iniziativa, il presidente di Peacelink si dissociò dall’iniziativa facendo notare che: “Il volantino che convoca la manifestazione (l’appello su facebook fa riferimento a unvolantino che si conclude con lo slogan “Dio, Siria, Bashar e basta!!!”.

Poco prima di quell’evento, il 31 maggio, sempre a Roma, esponenti della Rete no war partecipavano a un altro evento bipartisan filo-Assad e prendevano la parola, davanti a un tripudio di sostenitori del regime sventolanti foto di al-Assad5, per lodare la Siria in quanto stato antimperialista e difensore dei popoli del Medio Oriente. I pacifisti (non tutti, per carità), in pratica sono diventati la caricatura che ne facevano di loro i guerrafondai al tempo della guerra all’Iraq: sostenitori – volenti o nolenti – dei dittatori.

Venti, dieci anni fa si chiedeva Giù le mani dall’Iraq, ora si chiede Giù le mani dalla Siria. Ma nell’Iraq attaccato e bombardato dalla Nato non c’era stata una rivolta di massa contro Saddam Hussein, e non c’era stata una strage di civili a opera del regime, e soprattutto: durante quella guerra (reale) dell’Occidente contro l’Iraq i pacifisti non manifestavano insieme ai fascisti per difendere lo stato sovrano dell’Iraq e il suo presidente (dittatore); manifestavano per chiedere la fine della guerra, la fine di ogni violenza. Ora invece per cosa manifestano alcuni pacifisti da due anni? Per impedire una guerra immaginaria, ma considerata sempre imminente, dell’Occidente verso la Siria, e non per la fine della guerra civile siriana; manifestano per la fine dell’insurrezione armata chiedendo il blocco del traffico d’armi agli insorti ma non al regime di al-Asad, che secondo loro sarebbe in fase di democratizzazione e avrebbe il consenso di gran parte della popolazione. Ma come si può manifestare dicendo: Giù le mani dalla Siria, difendiamo lo stato sovrano dalle ingerenze esterne, e il suo presidente, se in Siria il popolo si è ribellato in massa, prima in modo nonviolento, poi armato, al suo dittatore? La Siria è il suo regime, dispotico familistico mafioso in mano da generazioni agli al-Asad, o è il suo popolo? I pacifisti nonviolenti vogliono distinguersi per il sostegno che danno a un  regime dittatoriale, che identificano con lo stato se non addirittura con il popolo, o a chi vi si ribella in modo nonviolento? O vogliono parlare soltanto in modo ingenuamente apolitico per dire: No a ogni guerra, come se la pace fosse solo l’assenza di guerra e non di ogni oppressione e privazione dei diritti umani?

Gli ambienti pacifisti di sinistra, di matrice marxista, hanno visto quindi al loro interno una drammatica lacerazione: da una parte esponenti ed ex-esponenti del PdCI, artefici di queste iniziative a favore di una presunta Siria laica, antimperialista e socialista, dall’altra i partiti trozkisti, come il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) e Sinistra Critica (SC), difensori della lotta del popolo siriano contro il regime oppressore – con Rifondazione Comunista (RC) divisa al suo interno su quale linea tenere. La stessa lacerazione è avvenuta all’interno della miriade di associazioni dell’universo pacifista e nonviolento, e in particolar modo di quello filopalestinese. Di tutto questo è stato specchio fedele il sito storico della controinformazione pacifista italiana, Peacelink, e il giornale storico della sinistra radicale e alternativa, “Il Manifesto”, che hanno ospitato sulle loro pagine vari controversi articoli di Marinella Correggia (che ha poi aperto il sito sibialiria.org), che talvolta citava come fonte la suora Marie Agnes de la Croix, legata ad ambienti integralisti e dichiarata sostenitrice del regime di al-Asad (non è un caso che il sito Syrian Free Press, che svolge propaganda per il regime di al-Asad, abbia pubblicato vari articoli a firma Marinella Correggia). Il Manifesto ha ospitato anche la suddetta petizione “Giù le mani dalla Siria” e un dibattito con interventi di autori di opinioni spesso contrastanti, che hanno evidenziato questo scontro all’interno della cultura pacifista di sinistra.

Molti accademici, studiosi e giornalisti arabisti di fronte a questa discutibile controinformazione già nel maggio del 2012 avevano sentito il dovere di intervenire per contrastare questa degenerazione del fronte pacifista e di alcune realtà di sinistra pubblicando l’appello “Siria. Basta col sostegno alla repressione”6 con il quale si rimarcava il ruolo primario del regime nei crimini in Siria e la spontaneità della sollevazione popolare nonviolenta e armata, in risposta alla repressione di al-Asad. Ma questo appello, che pure difettava per la sua unilateralità, non considerando nel dovuto modo la campagna mediatica per un intervento armato e i crimini degli insorti in Siria, non è servito a scuotere più di tanto il giornalismo italiano (il Manifesto si è rifiutato di pubblicarlo) e gli attivisti politici e nonviolenti impegnati nella loro campagna antimperialista.

L’unica cosa che è cambiata è che dall’estate del 2012 gli ambienti vicini alla Rete dei comunisti e alla Rete no war hanno iniziato a partecipare o ad organizzare presidi evitando la contemporanea presenza dei fascisti. Il 20 settembre 2012, per esempio, il Comitato contro la guerra di Milano, legato al PdCI, ha organizzato un presidio, sostenuto anche da Peacelink, sempre con lo slogan Giù le mani dalla Siria7 , in cui erano presenti solo comunisti o attivisti per la pace. Contemporaneamente, a Roma, Ouday Ramadan organizzava un presidio bipartisan, fascio-comunista, all’insegna della difesa del regime di al-Asad.  In entrambi i presidi hanno preso la parola siriani sostenitori del regime di al-Asad.

Il 2012, con la crisi siriana, ha quindi sancito la grave crisi di identità e di visione politica in cui versa l’universo pacifista-nonviolento. Non si può infatti sostenere un regime dittatoriale come quello siriano perché in Siria è in corso una guerra civile con connotati islamisti. E non si può farlo, a maggior ragione, per paura di un intervento armato americano. Non si può, non si deve mai sostenere una dittatura sanguinaria. Si può riconoscere che nell’ultimo anno l’insurrezione armata siriana si è caratterizzata per le infiltrazioni straniere di fondamentalisti islamici e salafiti, e che USA, Turchia, Qatar, Arabia e altri stati vendono armi e forniscono supporto logistico agli insorti, e lottare contro questo stato delle cose. Ma non si deve dimenticare le stragi di regime, e il supporto che ad esso danno Russia, Iran e Libano. Non si può condannare in massa l’Occidente senza fare distinguo. A quali insorti vende armi l’America? Ai siriani che si sono ribellati al regime o ai fondamentalisti islamici provenienti dall’Iraq? E queste armi, questo supporto logistico, di quale entità sono? Sono massicci e sono serviti a ribaltare il regime di al-Asad o sono utili giusto ad alimentare una lunga guerra civile, logorante per tutta la nazione siriana? Le risposte a queste domande non sono difficili da ottenere, se ci si attiene ai fatti che avvengono sul campo. Si potrebbe iniziare osservando che il regime ancora resiste, e che le bande di islamisti in molti casi stanno rappresentando di fatto una controrivoluzione, dato che hanno alimentato la guerra civile e smorzato il ruolo degli attivisti nonviolenti dei Comitati locali, che in alcuni casi sono stati loro vittime. Ma è altrettanto vero che la gran parte degli insorti siriani armati all’inizio erano civili e militari disertori che hanno preso le armi per impedire al regime di uccidere gli attivisti pacifici, e per lottare per i propri diritti (partigiani, insomma), e non perché ipnotizzati da una subliminale campagna di intelligence della CIA. È il regime, con la sua sanguinosa repressione, che ha fatto scaturire la guerra civile in atto in Siria, su questo non ci possono essere dubbi: ma molti pacifisti hanno perso di vista questa semplice e basilare verità di fatto – e di principio: è l’oppressore il responsabile morale della rivolta violenta dell’oppresso.

 

 

Lorenzo Galbiati

 

 

FONTI:

 

1)     http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/7977/

2) http://www.statopotenza.eu/2464/siria-baluardo-dellantimperialismo-o-stato-canaglia-il-10-marzo-a-milano

3) http://vicinoriente.wordpress.com/2013/09/04/fascisti-e-comunisti-italiani-a-damasco-per-assad/#more-863

4a) http://lists.peacelink.it/pace/2012/06/msg00015.html e http://lists.peacelink.it/pace/2012/06/msg00041.html

5) http://www.youtube.com/watch?v=RdH-76hd_vo

6) http://appellosiria.wordpress.com/

7) http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/2499-milano-20-settembre-contro-la-guerra-sempre-giu-le-mani-dalla-siria.html e http://www.contropiano.org/news-politica/item/11313 e http://www.contropiano.org/component/k2/item/11245

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 Precisazione di Francesco Santoianni

“In risposta alle surrettizie accuse di “rossobrunismo” che mi vengono formulate anche in questa nuova versione dell’articolo (supinamente accettato dalla redazione di Pressenza), invito a leggere quanto da me scritto nel gruppo Facebook;

https://www.facebook.com/events/244174155688165

Per il 16 giugno la comunità dei Siriani in Italia ha indetto a Roma una manifestazione contro l’imminente guerra. Una manifestazione che, verosimilmente, sarà anche a sostegno del governo Assad; un governo certamente lontano dai nostri valori ma al cui fianco è oggi schierato il popolo siriano, che non vuole fare la fine del popolo iracheno o libico. Una manifestazione che, così come dichiarato su Facebook dai promotori, non potrà vedere alcuna insegna di organizzazioni e, meno che mai, quelle di organizzazioni fasciste o “rossobrune”.