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Domenica 28 luglio si sono svolte in Mali le prime elezioni presidenziali dopo la crisi politica cominciata nel gennaio del 2012 ed il successivo colpo di stato militare di marzo,  che ha portato alla deposizione del presidente Amadou Toumani Touré.

L’ex primo ministro Ibrahim Boubacar Keïta, 68 anni, ha conquistato il 39,2 % dei voti e l’11 agosto affronterà al ballottaggio l’ex ministro delle finanze Soumaïla Cissé, fermo al 19,4 % dei consensi.

Il risultato del voto è atteso come la possibile soluzione alla crisi politica del paese, iniziata nel gennaio del 2012. Nell’ultimo anno il Mali ha infatti attraversato un periodo molto turbolento: la minoranza tuareg nel nord del paese è insorta contro il governo, c’è stato un colpo di stato militare e poi una seconda insurrezione guidata da diversi gruppi di estremisti islamici. L’intervento dell’esercito francese e di altri paesi africani ha riportato sotto il controllo del governo la maggior parte del territorio conquistato dai ribelli.

Le elezioni presidenziali erano una delle condizioni per concedere centinaia di milioni di dollari in aiuti internazionali, ma sono state organizzate in modo frettoloso e prematuro. L’International Crisis Group, un’organizzazione indipendente non governativa impegnata nella soluzione dei conflitti, aveva chiesto di posticiparle, ma il presidente ad interim Dioncounda Traoré ha dichiarato: “Prima si forma un nuovo governo e prima ci si potrà occupare della crisi del paese”.

Alcuni mezzi di informazione maliani e alcuni candidati hanno denunciato irregolarità nella distribuzione dei certificati elettorali. Tra questi, Tiébilé Dramé, ex Ministro degli Esteri, che ha ritirato la propria candidatura in segno di protesta: “In una nazione di 16 milioni di persone, l’elenco dei quasi sette milioni di elettori registrati si è basato su un censimento del 2009. Ciò significa che migliaia di persone che hanno raggiunto la maggiore età non erano presenti sul vecchio elenco e non hanno potuto votare. Sono state dunque private dei loro diritti costituzionali”. E’ questa la sorte di questo paese del Sahel, l’area che va dall’Atlantico al Mar Rosso, dove si consumano alcuni dei peggiori crimini contro l’umanità e si alimentano centrali dell’odio fondamentalista che genera traffici di ogni tipo – rapimenti, microconflitti, vere e proprie guerre. Il tutto si aggiunge all’estrema miseria, alle continue carestie e a un’aspettativa di vita tra le più basse della terra.

 Il Mali è paese simbolo dell’area: teatro di un conflitto devastante, stretto tra spinte separatiste, povertà endemica e vuoto politico, terreno fertile per cani sciolti di ogni appartenenza, jihadisti compresi. Da qui però giungono tiepidi segnali di speranza, ancora troppo deboli per produrre cambiamenti significativi. Il prossimo presidente si troverà ad affrontare una situazione disastrosa, la crisi più grave dall’indipendenza. Speriamo riesca a porre rimedio a questa situazione e speriamo soprattutto che si adoperi per gli interessi del suo paese e non delle potenze straniere che da anni sotto varie forme governano il Mali.