foto di Niccolò Caranti

Risposta ad Alberto L’Abate di Lorenzo Galbiati

Con il presente scritto intendo riaprire la discussione sul M5S e la nonviolenza lanciata in rete da Alberto L’Abate con l’articolo “Grillo, il Movimento 5 Stelle e la Nonviolenza” pubblicato su Pressenza.

L’Abate prende sul serio, e alla lettera, la dichiarazione di Grillo secondo cui il M5S vuole portare avanti una “rivoluzione nonviolenta” (chissà se Grillo scriverebbe “nonviolenta” o “non violenta”: non credo abbia cognizione della differenza), per formulare dei giudizi sulla presunta o reale corrispondenza tra tale dichiarazione e le parole e azioni del M5S e del suo leader. In sintesi, secondo L’Abate il M5S si propone dei fini condivisibili in toto, o quasi, dai nonviolenti ma è carente, se non contraddittorio, sempre in termini di nonviolenza, per quanto riguarda i mezzi che utilizza per conseguire tali fini – e sappiamo bene quale sia la relazione tra mezzi e fini per un nonviolento: per Gandhi è la stessa che intercorre tra il seme e l’albero. In virtù di questa analisi, L’Abate si permette di consigliare al M5S delle linee d’azione, delle metodiche che secondo lui meglio si addicono all’agire nonviolento.

Nel ringraziare Alberto L’Abate per essere stato il primo studioso e accademico illustre di storia e tecniche della nonviolenza a prendere sul serio e ad analizzare il metodo d’azione e le finalità del M5S, vorrei ora esprimere i maggiori punti di dissenso tra la sua analisi e la mia.

 Innanzi tutto, io parto da una prospettiva diversa da quella di L’Abate e di tutti i nonviolenti con cui mi sono confrontato in rete.

Lo dico subito: io do per scontate le critiche condivise che si possono fare al M5S e preferisco concentrarmi su quanto il M5S possa insegnare proprio a noi nonviolenti, come individui e associazioni.

Ma partiamo dalle critiche. Non ho dubbi sul fatto che il M5S sia un movimento di protesta che usa un linguaggio spesso volgare e violento per bocca o blog del suo leader, che abbia una organizzazione interna non solo non democratica ma nemmeno trasparente, basandosi sul leaderismo carismatico e anche padronale di Grillo, tanto che non si sa per statuto, o meglio per non-statuto, che ne sarebbe del M5S dal punto di vista legale e delle cariche interne se Grillo dovesse (mi si perdoni l’ipotesi) morire di colpo; do per scontato che il M5S sia già in fase di declino (non dico che sia alla fine, dico che potrebbe calare il suo consenso, pur rimando alto) perché sono convinto che molti suoi elettori dell’ultima ora gli attribuiscano molte colpe e non intendano rivotarlo poiché non ha voluto sporcarsi le mani mettendosi alla prova in funzioni di governo insieme al Pd di Bersani (ammesso e non concesso che questa possibilità fosse reale); do per scontato che, se non si dà una struttura interna democratica e trasparente, avrà presto molti problemi interni, divisioni, fughe, divisioni e forse anche scissioni. (Per inciso: occorrerebbe infine discutere su alcuni punti problematici del programma del M5S, perché se ha ragione L’Abate a dire che non si può non condividere cosa propone il M5S, è anche vero, però, che su alcuni punti potrebbero essere mosse delle obiezioni. Ma non vorrei ora addentrarmi nello specifico sui contenuti programmatici del M5S).

 Queste critiche al M5S sono per me scontate, come dicevo. Ma sono anche dialettiche. Perché trovo più violento e ipocrita del linguaggio di Grillo l’agire della partitocrazia che Grillo denuncia. Trovo che tutti i partiti siano leaderistici in modo carismatico oggi, e si sfalderebbero senza il loro profeta (che ne sarebbe del Pdl senza Berlusconi? Di Sel senza Vendola? Di Scelta civica senza Monti? E che ne è stato dell’IDV dopo che Di Pietro si è fatto da parte per Ingroia? Per la Lega la situazione è più complessa), con l’eccezione del Pd (e di RC), che non a caso è l’unico a essere in profonda crisi politica e organizzativa – e proprio perché, in mancanza di un vero leader, si ritrova in perenne crisi di identità e dilaniato dalle divisioni interne. Certo, i grillini sembrano un po’ dei bambini che il maestro Grillo ha portato in gita in Parlamento, il rapporto che hanno con il gran capo è di una dipendenza tale da sembrare indegno per ogni persona adulta che abbia un minimo di dignità e che possa definirsi libero pensatore, se non intellettuale: per essere del M5S occorre inchinarsi davanti al dio blog ogni qual volta Grillo detta una regola di comportamento. Ed è soprattutto per quest’ultimo motivo che non ho votato il M5S e non mi candiderei mai insieme ai grillini, a queste condizioni. Ma anche qui: se è vera la dipendenza quasi infantile, la totale subordinazione intellettuale dei grillini verso Grillo, è altrettanto vero che per altri e più importanti versi il M5S prende decisioni in modo assolutamente più democratico di qualunque altro partito o movimento. Basti pensare che nel Pd è stato Bersani a decidere di candidare Prodi al Quirinale, o la sua direzione a candidare Napolitano, senza chiedersi minimamente cosa volesse la base del partito, mentre non sono stati né Grillo né i parlamentari del M5S a candidare Gabanelli, Strada e poi Rodotà al Quirinale, sono stati gli elettori del M5S, interpellati con l’unico metodo che permette rapide e democratiche consultazioni: la rete.

 Le critiche che si possono fare, da democratici e da nonviolenti, al M5S mi appaiono quindi lampanti, sotto agli occhi di tutti, a patto di considerarle non assolute ma dialettiche, ossia a patto di evidenziare tutte le contraddizioni interne al M5S. Quindi, perché soffermarsi su queste critiche? Perché pensare di ergersi moralmente al di sopra di Grillo e del M5S e di indicargli come correggersi per essere più democratico e nonviolento? Siamo noi, come associazioni e individui nonviolenti, nella condizione di insegnare a Grillo come comportarsi per incidere maggiormente nella società in modo nonviolento?

Guardiamo in faccia la realtà. In Italia, un partito che si proclama nonviolento c’è già, è il Partito Radicale Transnazionale di Pannella. E’ un partito che ha tanto di faccia di Gandhi come simbolo. E cosa ha fatto, cosa fa quel partito? Dal 1991 ha sostenuto ogni guerra occidentale. Sostiene in modo quasi fanatico Israele, uno stato che sta commettendo crimini contro l’umanità di ogni genere in Palestina. Il PR ha cercato negli anni di allearsi con chiunque e in particolare con i peggiori figuri politici, da Craxi a Berlusconi a Storace, pur di avere poltrone a qualsiasi livello, dai comuni al Parlamento, e a volte ha dovuto rinunciarvi perché rialzava troppo la posta in gioco. In passato ha sfruttato l’immunità parlamentare per candidare dei pregiudicati. Il suo leader, Pannella, fa digiuni a ogni tornata elettorale per avere più visibilità personale in tv, non più per combattere la fame nel mondo, come faceva negli anni Settanta. E’ nonviolenza questa? Assolutamente no, per quanto mi riguarda.

Il M5S ha superato il PR nella sua lotta alla partitocrazia, diventando un movimento di massa e radicato sul territorio perché ha condotto la lotta alla partitocrazia in tutt’altro modo rispetto ai radicali. Il M5S non organizza digiuni propagandistici con chiari intenti ricattatori verso il sistema televisivo, o presidi per dare indietro i soldi del finanziamento statale ai partiti: il M5S non partecipa alla spazzatura dei talk show politici condotti da giornalisti collusi con la partitocrazia, non chiede privilegi per la sua radio (che non ha) come ha fatto il PR, non riceve finanziamenti pubblici: e chiede ai partiti di fare altrettanto. Il M5S non sostiene le missioni militari all’estero, non si allea con personaggi indecenti, non fa accattonaggio di poltrone e chiede ai suoi eletti di rinunciare a parte del loro stipendio e di non accedere ai servizi scontati di cui scandalosamente gode ogni parlamentare, non candida pregiudicati ma incensurati, e chiede che non vengano elette persone con problemi con la giustizia o con conflitti di interessi. Ed è per questi ultimi motivi, legati alla moralità delle persone candidate o elette, che il M5S ha preso i voti dell’IDV di Di Pietro, che è stato il partito più vicino a Grillo per la sua lotta a favore della legalità e della moralità della vita pubblica, e che è fallito per lo scarso controllo verso i propri eletti (oltre che per un servizio di Report della Gabanelli alquanto discutibile).

E’ nonviolenza questa? Sono nonviolenti questi metodi d’azione del M5S?

Io credo di sì, credo che il M5S sia diventato un partito di massa superando il PR e l’IDV sul loro terreno, rispettivamente la lotta contro la partitocrazia e la lotta per la legalità, perché ha messo in atto tali lotte con metodi che sono nella sostanza, pur con le contraddizioni che ho già segnalato, molto più democratici e nonviolenti di quelli messi in atto da qualsivoglia partito, anche dai partiti di sinistra. Qualcuno infatti potrebbe farmi notare che i nonviolenti hanno sostenuto i partiti di sinistra, non il PR o l’IDV, negli ultimi anni. Bene, vogliamo parlare della fine che ha fatto la Sinistra l’Arcobaleno? O Rivoluzione Civile? O che sta facendo il Pd, ammesso e non concesso che sia ancora da considerarsi un partito di centrosinistra?

La sinistra non esiste più da 5 anni, vista la fine fatta dall’Arcobaleno e da Rivoluzione Civile. Vendola per entrare in Parlamento ha dovuto elemosinare un’alleanza col Pd, sottomettendosi al punto da firmare un patto elettorale, in vista delle elezioni, che di sinistra o di nonviolento aveva poco o nulla.

La sinistra è finita. E non solo a livello parlamentare, ma anche sindacale e sociale. I partiti e i sindacati, i movimenti e le associazioni, intesi come forze sociali che potevano contare e incidere nella società con i loro iscritti, di fatto non esistono più. La società che viviamo è del tutto frammentata, senza più la parvenza di una vita comunitaria: non esiste più la comunità, siamo immersi in un sempre maggiore anonimato sociale dove per autodifesa vige il più cupo individualismo. Ecco perché caro Alberto L’Abate non ha più senso parlare di Destra e Sinistra, in un certo senso, come fa Grillo: non perché non esista più nessuna differenza di contenuti programmatici tra i partiti – benché effettivamente tali contenuti siano sempre più simili, nell’era del pensiero unico del capitalismo globalizzato – ma perché non ci sono più i blocchi sociali che venivano rappresentati dai partiti di destra e di sinistra (oltre al fatto che sotto molti aspetti etici destra e sinistra parlamentari sono state unite, colluse, complici in comportamenti disdicevoli che le hanno portate a essere identificate come “casta”).

Vogliamo parlare ora delle associazioni pacifiste e nonviolente? Sono completamente in crisi, come tutte le altre, e sono totalmente incapaci di incidere a livello politico, se non su temi specifici secondari interpellando alcune sensibilità politiche. Sembra passato più di un secolo da quando le persone partecipanti alle manifestazioni contro la guerra in Iraq di George W. Bush venivano identificate come una superpotenza mondiale. Inoltre, le associazioni pacifiste e nonviolente italiane si distinguono per la loro frammentarietà e litigiosità, per l’incapacità di fare un solo fronte politico. Si limitano a fare innumerevoli petizioni e raccolte firme, per lo più, e sono entrate in una crisi di interpretazione dei conflitti mondiali forse irreversibile a giudicare dalla reazione, non dico nelle intenzioni ma nei fatti, pro-Assad avuta da buona parte dell’universo pacifista-nonviolento nei confronti della rivolta popolare siriana, che è stata ed è (nonostante la sopravvenuta insurrezione armata, effetto per lo più della repressione del regime, non di un complotto occidentale e arabo) la più grande sollevazione popolare nonviolenta del mondo arabo, nel disinteresse appunto dei nonviolenti italiani e occidentali, preoccupati (poiché sviati dalla difficile decifrazione dell’informazione) soprattutto di sostenere un’iniziativa ambigua di solidarietà come Mussalaha, che nei fatti è funzionale agli interessi del regime. E intanto la politica reale italiana prosegue su un piano parallelo a quello d’azione dei nonviolenti, che non riescono mai a incidere, a toccare nel concreto tale piano politico, se non di striscio. Se poi torniamo indietro nel tempo, dobbiamo essere realisti: quello che si proponeva di fare Capitini, a partire dai COS, è fallito subito per l’inconsistenza della proposta in sé, idealmente e teoricamente molto bella, ma semplicemente non realizzabile sul piano concreto.

Quindi, di fronte a tutto questo, di fronte allo sfascio dei partiti presunti nonviolenti, dei partiti di sinistra, della società e dell’associazionismo nonviolento, di fronte al fallimento quasi totale delle iniziative sociali e politiche dei nonviolenti, siano essi Capitini, Langer o associazioni, singoli volontari, politici, dobbiamo forse noi nonviolenti ergerci al di sopra di Grillo per proporgli le nostre per lo più fallimentari soluzioni ideali?

Io credo di no, io credo occorra prendere atto che in questo contesto sociale e politico nazionale e mondiale Grillo è riuscito a fare ciò che nessun nonviolento,o nessun esponente politico o della società civile è riuscito a fare: creare comunità tra i cittadini prima con i Meetup (che hanno avuto successo, a differenza dei COS capitiniani, che sono rimasti per lo più un ideale) e poi con un movimento di massa come il M5S, di fatto una sorta di Lista Civica nazionale dai connotati nonviolenti e di sinistra, e questo grazie ai metodi che ha utilizzato. Ribadisco: ha avuto successo per i metodi e quindi per i mezzi che ha usato, non per i contenuti perché i contenuti sono più o meno gli stessi che ha preso in prestito da altri partiti e poi radicalizzato: lotta alla partitocrazia, ossia alla “casta” (presa dai radicali), lotta per la legalità (presa da Di Pietro), più i contenuti tipici della sinistra, seppur declinati con un linguaggio post-ideologico di sinistra.

Di fronte a tutto questo, credo sia utile, saggio e nonviolento chiederci cosa Grillo possa insegnare a noi nonviolenti piuttosto che pretendere di indicargli la strada. Ed è in questa prospettiva che intendo proseguire questo dibattito con altri articoli che rispondano ad Alberto L’Abate, a partire dai tre punti che L’Abate aveva esplicitato nel suo già citato articolo.

Lorenzo Galbiati