Il relatore speciale dell’ONU sul diritto all’alimentazione, Olivier de Schutter. Fotografia: ONU/Jean-Marc Ferré

Due esperti indipendenti dell’ONU hanno lanciato un appello per la sospensione del programma di privatizzazione della filiera del caffè burundese incoraggiato dalla Banca mondiale, in attesa della conclusione di uno studio completo sull’impatto di questa riforma sui diritti umani.

Nel Burundi, il terzo paese più povero al mondo, i redditi derivati dalla coltura del caffè rappresentano, per una grande parte della popolazione, la differenza tra fame e sicurezza alimentare. Ciò nonostante, il paese sta riformando il settore caffè in un modo che rischia di destabilizzare i mezzi di sussistenza di un gran numero di piccoli produttori„, spiegano in un comunicato stampa il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione, Olivier De Schutter, e l’esperto indipendente sul debito estero ed i suoi effetti sui diritti dell’uomo, Cephas Lumina.

Le entrate derivanti dal caffè rappresentano l’80% delle entrate da esportazione del paese. Il 55% della popolazione, cioè 750.000 famiglie, dipende da questa coltura, in maggioranza piccoli contadini. Quasi i due terzi dei Burundesi vivono sotto la soglia di povertà ed il 60% soffre di malnutrizione cronica.

Le popolazioni vulnerabili non devono essere prese in ostaggio dalle politiche sbagliate del passato„, affermano gli esperti, con riferimento alle politiche di adeguamento strutturale che incoraggiavano i paesi in via di sviluppo a privatizzare le imprese pubbliche, in particolare negli anni 1980 e 1990.

Nel 2007, in occasione della pianificazione della privatizzazione del settore, il Presidente burundese dichiarava che il caffè apparteneva ai produttori finché non era esportato, con un accordo che permetteva di gestire parzialmente il settore ed avere diritti sul 72% dei redditi derivati dalle vendite di caffè sui mercati internazionali.

Tuttavia, il governo burundese si è orientato nel 2008-2009 verso una privatizzazione completa del settore, apparentemente sotto la pressione della Banca Mondiale, il cui sostegno a programmi sanitari pubblici sarebbe stato legato alle riforme nel settore del caffè. Impianti per il lavaggio del caffè sono stati in seguito venduti a privati, cosa che comporta impatti potenzialmente negativi per i redditi dei produttori, anche in termini di volatilità.

Ci sono segnali inquietanti che mostrano come gli interessi dei produttori di caffè non siano stati esaminati nel processo di riforma, nonostante l’apertura delle organizzazioni di caffeicoltori ad una riforma del settore che permetterebbe loro di entrare nella catena di valore„, hanno sottolineato sigg. Di Schutter e Lumina.

Meno del 5% del caffè burundese è stato trasformato all’interno del paese nel 2009, con le operazioni che creano maggior valore aggiunto svolte all’estero. Una riforma del settore che permettesse alle cooperative di produttori di caffè di captare una maggior parte del valore del caffè sarebbe dunque auspicabile: aumenterebbe il contributo, da parte della produzione di caffè, alla riduzione della povertà e allo sviluppo rurale.

Gli stati non devono confondere le loro priorità con quelle delle imprese„, sottolineano gli esperti. “Attori istituzionali come la Banca mondiale devono sostenere gli stati nei loro tentativi di riformare settori economici importanti, ma secondo modalità che non espongano i contadini vulnerabili ai rischi dei mercati„.

Pur riconoscendo la buona volontà del governo burundese e della Banca mondiale nel cooperare con loro, gli esperti hanno espresso la loro preoccupazione circa il fatto che, dopo sei mesi di scambi, l’informazione fornita loro dalla Banca mondiale resta limitata e manca di trasparenza, e che non viene riconosciuta la realtà dei disaccordi tra essa ed il governo burundese. “Ci aspettiamo una piena cooperazione da parte della Banca mondiale con gli esperti del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite„, hanno dichiarato.

Ci rammarichiamo che la banca continui a sostenere di non essere obbligata a tenere conto dei diritti dell’uomo nei suoi processi decisionali, quando le politiche che raccomanda hanno impatti molto concreti sui diritti ed i mezzi d’esistenza dei caffeicoltori„, hanno insistito gli esperti, secondo i quali gli statuti della banca non escludono la presa in considerazione dei diritti dell’uomo. “In determinate circostanze, come è questa, il diritto internazionale impone alla banca l’obbligo di tenere conto delle implicazioni delle sue azioni sui diritti dell’uomo„, hanno aggiunto i due esperti.

Fonte: un.org

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia