Pressenza ha rilanciato di recente un articolo scritto da Silvia Cattori, che riprendeva un documentario di Anastasia Popova trasmesso dal canale Russia 24. La pubblicazione ha suscitato elogi e critiche per il punto di vista sugli eventi in Siria molto diverso da quello che sta circolando nei mass-media europei.

Per questa ragione abbiamo deciso di approfondire la questione parlando direttamente con l’autrice del documentario, una giovane giornalista che ha seguito la primavera araba in vari paesi e ha passato vari mesi in Siria, in contatto con molte persone coinvolte nel conflitto.

Anastasia, prima di tutto grazie per la tua disponibilità. Quanto tempo in tutto hai passato in Siria con la tua troupe?

Sette mesi in tutto, dall’agosto 2011, quando la guerra non era ancora scoppiata, fino ad ora, quando ormai la guerra è in pieno svolgimento. Quindi si può dire che gli eventi si sono svolti sotto i nostri occhi. In media siamo stati sul campo per circa un mese alla volta, da Deraa a Idleb e Aleppo e da Latakia sul confine turco ad al-Qamishli e giù fino a Deir Ez Zour.

Qual è la tua impressione generale sullo stato del conflitto?

Da quando siamo arrivati nell’agosto 2011, fino a dicembre, quello che ci ha colpito di più è stata la differenza tra ciò che si diceva sulla Siria dall’esterno e quello che succedeva davvero nel paese. A volte si arrivava all’assurdo: ci telefonavano dal canale parlandoci della tale piazza dove i dimostranti contro il governo venivano massacrati con i carri armati e l’artiglieria, noi andavamo là e non trovavamo niente – giusto qualche pedone e un vigile che dirigeva il traffico.

Nonostante tutti i nostri tentativi non siamo riusciti a trovare le enormi manifestazioni contro il governo tanto citate dai mass-media occidentali. Abbiamo parlato con l’opposizione e anche loro ci hanno detto che era molto difficile organizzare una protesta. L’unico modo era attraverso le moschee e anche in quel caso quando riuscivano a radunare 50 persone per un quarto d’ora e a filmarle, lo consideravano una vittoria. La grande maggioranza della popolazione non era interessata.

Poi sono cominciate le provocazioni, delle persone sono state uccise perché appartenevano alla religione sbagliata e sono iniziati gli attacchi armati agli edifici e ai dipendenti governativi, alle stazioni di polizia e ai tribunali.

Ciononostante il governo ha riposto in modo pacifico, cambiando alcune leggi e creando una commissione per un dialogo nazionale a cui partecipavano quasi tutti i gruppi di opposizione. In base al lavoro di questa commissione è stata adottata una nuova Costituzione tramite un referendum nazionale. Poi si sono tenute le elezioni e gran parte dell’opposizione politica all’interno della Siria ha ottenuto dei seggi in Parlamento. Così tutta la questione delle proteste di massa è diventata alquanto discutibile.

Per gli interessi coinvolti però questa non era la fine della storia. Hanno messo insieme una cosiddetta “opposizione dall’estero”, composta soprattutto da gente che viveva in Europa da oltre 40 anni. Vista la mancanza di appoggio all’interno del paese, questa opposizione non aveva alcuna possibilità di prendere il potere attraverso le elezioni e così ha scelto l’unica opzione possibile: rovesciare il governo con le armi.

Hanno cominciato fomentando la discordia tra le confessioni religiose e allo stesso tempo inviando nel paese combattenti stranieri. La prova si può trovare nell’ultimo rapporto dell’ONU, che parla di combattenti armati di 29 paesi impegnati contro l’esercito siriano.

Usano armi straniere che non si possono trovare in Siria, cosa che è stata filmata e di cui l’esercito siriano  non è dotato, compresi carabine di precisione M16, mitragliatrici europee, missili anticarro e antiaerei ed avanzati dispositivi di comunicazione satellitare apertamente forniti da certi stati occidentali.

Queste armi vengono inviate in Turchia (prove in questo senso sono state fornite da un uomo d’affari egiziano) e poi passate ai ribelli da funzionari turchi alla frontiera.  Una giornalista libanese ha assistito a uno di questi scambi e ha tentato di riprenderlo, ma è stata arrestata in Turchia per tre giorni e la sua telecamera è stata distrutta.

Tra l’altro il confine tra Siria e Turchia è controllato dall’esercito turco in base a un accordo tra i due paesi firmato nel 1998, mentre non ci sono pattuglie siriane. Sono stata là e l’ho visto con i miei occhi.

Inoltre gli stati occidentali finanziano apertamente l’opposizione, composta quasi tutta di stranieri. Per questo è difficile definire una guerra civile ciò che sta succedendo in Siria, anche se ora sono riusciti a dividere la gente. Ci sono casi in cui metà di una famiglia è dalla parte del governo e l’altra metà contro.

Pensi che si possa arrivare a una soluzione pacifica?

Penso che sia l’unico modo di uscire da questa crisi. La maggior parte delle guerre tra paesi a un certo punto si è conclusa firmando un trattato di pace. La situazione sul campo è la seguente: le principali città sono ancora controllate dal governo. Dopo più di un anno di accesi combattimenti i gruppi armati non sono riusciti a creare delle roccaforti o a conquistare la maggior parte del territorio. Continuano a dividersi perché alcuni perdono il sostegno finanziario, altri finiscono per dedicarsi ai saccheggi, altri cominciano a scontrarsi con i combattenti stranieri e altri ancora si uniscono ad al-Quaida, che è presente in Siria ed è ufficialmente definito un gruppo terrorista. Quindi con chi dovrebbero negoziare? Neanche gli ispettori dell’ONU sono riusciti a trovare un leader di questi gruppi armati e un altro tentativo di arrivare a un cessate il fuoco è fallito. Eppure in un suo recente discorso il presidente ha sottolineato la sua disponibilità a negoziare; questa volta però ha fatto un esplicito riferimento ai finanziatori stranieri dei ribelli. Purtroppo loro non sembrano interessati a una soluzione pacifica e hanno già respinto l’offerta.

Perché hai realizzato questo documentario? Te l’hanno chiesto i tuoi capi, o è stata una tua iniziativa?

La decisione di mandarmi in Siria è stata presa dai miei capi, ma naturalmente nel corso del mio lavoro là mi sono fatta degli amici, molti dei quali in seguito sono stati uccisi. Sono andata in Siria per riferire dei fatti, ma con il tempo mi sono resa conto che le persone non sono fatti – sono persone e io ho sentito le loro sofferenze nel mio cuore.

Questo documentario è stato una mia iniziativa personale, una risposta emotiva agli eventi che descrivevo. L’ho realizzato in onore dei miei amici caduti e della popolazione siriana, che non si interessa di politica e vuole solo vivere in pace.

Per fortuna il mio lavoro mi permette di  comunicare questo punto di vista a molta gente e io ho approfittato di questa opportunità, anche se convincere i miei capi ad approvare questo documentario non è stato facile.

Abbiamo ricevuto delle critiche secondo cui Russia 24 è un canale che riflette la posizione del governo russo: cosa rispondi?

E’ facile attaccare il messaggero quando il messaggio non ti piace. Quando la gente vede dei servizi realizzati da una comoda stanza d’albergo in Libano, che citano “fonti non verificate” di attivisti riguardo a supposte atrocità commesse dal governo, comincia a gridare: “Sì, sì, sì! Uccidete il malvagio dittatore!”, ma quando qualcuno passa un sacco di tempo in Siria nel tentativo di capire cosa sta succedendo, poi torna a casa e dice: “Ehi, ragazzi, le cose NON stanno così”, la gente la bolla come propaganda governativa. Cosa posso rispondere? Un biglietto per la Siria non è molto costoso e le frontiere sono aperte. Oltre 300 mass-media stranieri hanno lavorato là e mandato i loro servizi via Internet, liberamente e senza censure da parte del governo. La tecnologia 3G è disponibile in tutto il paese. Se non vi fidate di me, “una giovane giornalista di un canale di proprietà dello stato russo”, andate a vedere con i vostri occhi, ma poi non lamentatevi se vi ritrovate in un universo parallelo.

Ecco un buon esempio tratto dall’Indipendent: “Sono stato a Damasco per 10 giorni e ogni giorno mi sono stupito del fatto che la situazione nelle zone visitate è del tutto diversa dal quadro offerto al mondo dai leader e dai mass-media stranieri.”

Link all’articolo originale: (http://www.independent.co.uk/voices/comment/syria-the-descent-into-holy-war-8420309.html)

Un articolo del Guardian riporta la dichiarazione di un membro delle forze ribelli: “Non abbiamo fatto veri progressi sui vari fronti e questo ha influenzato i nostri sponsor, che ora non ci mandano più munizioni… Anche la gente non ne può più di noi. Eravamo liberatori, ma ora ci denunciano e manifestano contro di noi.”

Link all’articolo originale: (http://m.guardian.co.uk/world/2012/dec/27/syrian-rebels-scramble-spoils-war)

Cosa pensi dell’atteggiamento del governo russo rispetto alla situazione in Siria?

Penso che sia consapevole della situazione sul campo e che continui a insistere per la pace – un cessate il fuoco immediato e un dialogo che coinvolga tutte le parti. Che altro gli si potrebbe chiedere?

Stai partendo per una meritata vacanza. Tornerai in Siria? Che speranze nutri al riguardo?

Andare là non è stata una mia decisione: mi hanno mandata in Siria come inviata speciale e io ho fatto il mio mestiere. Tocca ai miei capi decidere la mia prossima destinazione e se sarà la Siria penso che ci tornerò.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo