“Vorrebbero che stessimo zitti, vorrebbero che niente di quello che scriviamo venisse pubblicato, soprattutto in questo periodo. Sarà per questo che provano a zittirci in molti modi diversi. Abbiamo le prove di questi tentativi che sono praticamente falliti. Loro sanno di questi fallimenti e ne patiscono. Sì, scriveremo, non staremo zitti. Sveleremo uno per uno tutte le tangenti, i traffici e gli omicidi.”

Ugur Mumcu fu assassinato il 24 Gennaio del 1993 ad Ankara, in Karli Sokak, mentre stava mettendo in moto la propria automobile, parcheggiata di fronte a casa. Aveva 51 anni. Veniva da Kirsehir; il padre lavorava come impiegato comunale all’Ufficio Catasto; anche la madre lavorava, per poter mantenere i suoi quattro figli. Mumcu, nel 1976, sposò Güldal Homan e la coppia ebbe due figli, Özge e Özgür.

Ugur Mumcu si laureò in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ankara. Iniziò a scrivere di attualità politica e di storia già negli anni ‘60 e, nel 1962, vinse il Premio di Yunus Nadir grazie ad un suo articolo, pubblicato sul quotidiano nazionale Cumhuriyet, sulla storia del socialismo in Turchia. Dopo la laurea iniziò il praticantato come avvocato, ma, poco dopo, nel 1965, tornò nuovamente a scrivere, questa volta presso “Yon”, una rivista politica. “Le persone non devono sentirsi responsabili soltanto di ciò che dicono, ma anche dei propri silenzi”, affermò, motivando la propria scelta giornalistica. Scriveva di politica, del suo desiderio di vivere in una Turchia totalmente indipendente. Di ritorno, dopo un anno, dall’Inghilterra, dove si era recato per imparare l’Inglese, iniziò a scrivere sulla rivista nazionale politica “Turk Solu” (La sinistra turca). Erano anni rivoluzionari in Turchia, la prima ondata di iniziative socialiste di massa si stava organizzando anche intorno a questa rivista. Deniz Gezmis, Huseyin Inan e Yusuf Aslan, tre giovani rivoluzionari, erano animati dall’ideale di una Repubblica Turca socialista, laica ed indipendente da ogni tipo di imperialismo. I tre, definiti anche i “tre alberelli” furono arrestati ed impiccati nel 1972 subito dopo il colpo di stato del 12 Marzo 1971.

Proprio in questo periodo Ugur Mumcu iniziò a scrivere sulla rivista Devrim (Rivoluzione) e si disiscrisse dall’Albo degli Avvocati, decidendo definitivamente di non praticare più il proprio mestiere. A causa dei propri articoli che palesavano la presenza di una forte censura sui libri fu arrestato e rimase in carcere per un mese. In questo periodo, a cavallo con il colpo di stato, in Turchia, quasi tutti i mezzi di comunicazione appartenenti all’opposizione venivano zittiti da chiusure improvvise ed arresti. Anche la Devrim fu costretta a chiudere i battenti. Nel 1971 Ugur Mumcu, insieme a diversi scrittori e politici, fu arrestato con l’accusa di aver insultato l’Esercito Turco. Trascorse un anno presso il Carcere Militare di Mamak ed il giudice decise di condannarlo a sette anni di detenzione. La pena fu annullata dall’Alta Corte d’Appello.

Mumcu, nel 1974, tornò a scrivere sul quotidiano nazionale Yeni Ortam e, questa volta, iniziò ad indagare su dettagli riguardanti il colpo di stato ed i governi successivi ai golpisti. Molto risultò essere sommerso nella corruzione, diverse le infiltrazioni mafiose presso le istituzioni, tanti i crimini compiuti dai servizi segreti in collaborazione a diverse forze nazionali ed internazionali. Mumcu traspose questo suo duro e coraggioso lavoro sui libri scrivendo “Suclular ve Gucluler”(I colpevoli ed i potenti) e “Mobilya Dosyasi”(Dossier sui mobili). Nel suo mirino, in quegli anni, entrarono il Primo Ministro Suleyman Demirel e le sue iniziative per il libero mercato, fatte di appalti statali dati ai propri familiari. In particolare, in “Mobilya Dosyasi”, Mumcu parla di come il figlio del Primo Ministro, Yahya Demirel, fosse riuscito ad arricchirsi esportando “virtualmente” mobili (senza aver mai realmente esportato merci). Grazie anche a Mumcu, il termine “esportazione immaginaria” entrò nel gergo politico e giornalistico.

La Turchia del post colpo di stato era riuscita a riprendersi velocemente, politicamente. Le iniziative delle opposizioni avevano subito una breve interruzione e, già nel 1977, la Turchia viveva una delle sue primavere più organizzate soprattutto per ciò che riguardava la classe lavoratrice. Il Primo Maggio del 1977, durante i festeggiamenti in Piazza Taksim, ad Istanbul, la manifestazione capitolò, terribilmente, in un bagno di sangue che, a tutt’oggi, non è stato possibile attribuire a nessuno. Poco dopo questo tragico episodio iniziò una dura repressione operata dalle forze dell’ordine nei confronti delle opposizioni. In questo periodo Mumcu concentrò le proprie ricerche sui rapporti tra i gruppi terroristici e le istituzioni, condannando ogni tipo di movimento armato. Egli pubblicò una serie di articoli ed interviste a diversi giovani militanti politici, sia di destra che di sinistra, armati e non, con lo scopo di raccontare all’intero Paese tutto il terrore di quella quotidianità. Soprattutto nelle grandi città come Istanbul, Ankara, Izmir e Adana, ogni giorno, per le strade, venivano uccise delle persone, saltavano in aria ristoranti, le prigioni ormai erano piene e la gente non dormiva più in tranquillità. Mumcu scriveva nei suoi articoli quanto il popolo potesse diventare forte ogni volta che si organizzava contro lo sfruttamento e l’imperialismo e proponeva la propria ricetta per superare questo caos, una ricetta che passava dall’organizzazione della classe lavoratrice.

“Da una parte si assiste al Governo che acquista migliaia di armi e milioni di munizioni e dall’altra alle decisioni della giustizia che stabilisce che “il governo militare non si occupa dei processi che riguardano il traffico delle armi”…

Da una parte il giornalismo che è capace di parlare degli omicidi nell’alta borghesia e dall’altra parte l’etica di una stampa che sta zitta e non apre la bocca davanti al traffico d’armi.”

Il 12 Settembre 1980 la Turchia visse il suo terzo colpo di stato nell’arco di trent’anni. Ugur Mumcu prese una posizione netta contro i golpisti. Nei suoi articoli parlò del rapporto delle organizzazioni terroristiche con i trafficanti di armi. Quest’ultimo colpo di stato aveva ridotto in carcere centinaia di migliaia di persone, le aveva uccise e torturate oppure obbligate ad abbandonare il Paese. Erdal Eren fu uno degli esempi di questa forza distruttrice, accusato di aver ucciso un soldato semplice durante una manifestazione. Nonostante le prove dimostrassero il contrario, compresi i rapporti autoptici, Eren fu impiccato a sedici anni dopo un anno di detenzione e di torture. L’ex presidente della Repubblica, nonché capo dell’esercito golpista, Kenan Evren in merito a questo episodio dichiarò: “Cosa dobbiamo fare? Dargli da mangiare invece che impiccarlo?”

Nel 1982 fu sciolta l’Associazione per la Pace della quale faceva parte anche Mumcu; presto parecchi dirigenti dell’Associazione furono incarcerati e Mumcu, in più articoli, criticò la situazione politica di quel tempo, che definì di ‘falsa democrazia’. Nel 1983 furono indette le elezioni nazionali e, tra i candidati, figurarono ex militari golpisti rimasti in secondo piano oppure politici che si erano “salvati” o avevano riportato danni minori grazie alle proprie prese di posizione alquanto tiepide nei confronti dell’Esercito. Nel 1983 Mumcu iniziò a concentrare i propri scritti sul cosidetto ‘stato profondo’, cioè sui rapporti tra le istituzioni e le forze paramilitari o maifiose o addirittura clericali. La situazione, descritta in questo modo, ricorda un passato molto familiare alla storia italiana se pensiamo al Gladio ed alla P2. Mumcu nel 1983 incontrò Ali Agca e pubblicò l’intervista sul quotidiano nazionale Cumhuriyet . Ad un anno dall’inizio delle sue ricerche su questo tema, pubblicò l’interessante libro “Papa-Mafia-Agca” e, nel 1985 fu invitato a comparire nel tribunale di Roma come testimone esperto nel processo ad Agca.

Sempre nel 1985, insieme ad altri scrittori, intellettuali e politici detenuti durante l’ultimo colpo di stato, presentò un documento di testimonianze, denunciando i crimini compiuti durante il periodo della giunta militare. Questo documento fu presentato al Presidente della Repubblica ed al Parlamento e tutti i suoi autori furono definiti, dallo stesso Presidente della Repubblica, “traditori della patria”.

A partire dal 1990 Mumcu iniziò ad interessarsi ai movimenti ‘islamici e curdi’. Per questo si recò nella Germania Federale per intervistare un ex-giurisperito musulmano, Cemalettin Kaplan, allo scopo di scoprire come fosse riuscito, in poco tempo, a conquistarsi un gruppo di seguaci in tutto il Paese. Grazie alle proprie ricerche, Mumcu pubblicò il libro “Tarikat-Siyaset-Ticaret” (Confraternite islamiche-Politica-Commercio), un’opera estremamente attuale. Negli stessi anni continuò a denunciare, con prove alla mano, casi di corruzione istituzionale come le tangenti ricevute da Ministero degli Affari Esteri e Ministero della Sicurezza Nazionale.

In questi anni, la lotta armata del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), aveva ormai iniziato a far parte della quotidianità, in Turchia. Una lotta, che dura tutt’ora, che era in grado di causare ogni giorno decine di morti da entrambi i fronti e che non ha fatto altro, per più di trent’anni, che arricchire i mercanti di armi e distruggere vite, menti, famiglie, storie, luoghi e il futuro dei popoli che vivono in Turchia. Mumcu negli ultimi anni della sua vita si interessò soprattutto del traffico di armi e dell’ingerenza della CIA e del Mossad in Iraq – particolarmente nel Nord del Paese, dove oggi esiste una zona autonoma curda – e del loro rapporto con attori locali come Celal Talabani e Molla Mustafa Barzani. “Se i Curdi stanno portando avanti una guerra d’indipendenza contro l’imperialismo, cosa fanno la Cia e la Mossad in mezzo a loro? O forse che la Cia e la Mossad hanno iniziato a lottare contro l’imperialismo ed il resto del mondo non ne sa nulla?”. Ugur Mumcu, in uno dei suoi articoli (“Hizbulkontra!”) parlò di come fu creata l’organizzazione terroristica Hezbullah (in Turchia ed Iran in particolare) e dei suoi probabili rapporti con i servizi segreti, il suo principale scopo di distruggere i membri del PKK, un’organizzazione che definivano “armata marxista e leninista”. In questo periodo, Mumcu tracciò l’immagine di una Turchia arruolata in un progetto internazionale anti-comunista, sfruttando il proprio aspetto religioso musulmano. Mumcu lo definì come un atto decisamente offensivo nei confronti della religione, oltre che distruttivo, perché rendeva un intero Paese come un campo minato, sempre più dipendente dagli imperialismi e dai corrotti locali.
Nel suo ultimo articolo, pubblicato l’8 Gennaio 1993 sul quotidiano nazionale Cumhuriyet, egli parlò del suo nuovo libro, che sarebbe uscito a breve, in cui avrebbe analizzato il rapporto tra i movimenti radical-nazionalisti curdi ed i servizi segreti della Repubblica turca. Sedici giorni dopo, Ugur Mumcu saltò in aria mettendo in moto la propria automobile, parcheggiata dinanzi a casa. Morì sul colpo. Sulla sua morte furono formulate diverse teorie: secondo un documento reperito presso la casa di Veli Kucuk, ex generale di brigata della gendarmeria, l’ex capo dei servizi segreti Sonmez Koksal, dieci giorni dopo la morte di Mumcu scrisse una lettera all’ex Presidente della Repubblica Suleyman Demirel affermando che l’attentato fosse stato organizzato da sei agenti israeliani che collaboravano con la Cia; un ex militante del PKK, poi collaboratore dei servizi segreti, Abdulkadir Aygan, nel corso di un intervento telefonico nel canale televisivo nazionale Beyaz Tv affermò di sospettare fortemente di Aytekin Ozen, ex membro militare dei servizi segreti; lo scrittore Ümit Oguztan, testimoniando nel processo Ergenekon e davanti alla Commissione Parlamentare per le Indagini sull’Omicidio di Ugur Mumcu, sostenne che Mumcu potesse essere stato assassinato a causa delle ricerche sul traffico di armi senza numeri di serie destinati all’Iraq.

Qualche giorno fa, la Corte Penale di Ankara ha deciso di restituire ai familiari di Mumcu i resti dell’automobile nella quale egli perse la vita, dal momento che, ormai, le indagini erano terminate. Dopo vent’anni di processo sono state infatti individuate ed arrestate tre tra le persone che hanno progettato e realizzato l’attentato. Essi facevano parte dell’organizzazione terroristica Esercito di Tawhid-Salaam e Gerusalemme e dovranno scontare tra i sei e i quindici anni in carcere.

Il 24 Gennaio 2013 saranno passati venti anni da quando è stato assassinato Ugur Mumcu e, come afferma il suo avvocato Halil Sevinc, la giustizia è riuscita a trovare, arrestare e condannare chi ha effettivamente ucciso Mumcu sebbene non si sia fatta luce sugli eventuali rapporti di queste persone con le terze parti.

Se il sistema giuridico non permetterà di riaprire la causa, la stessa cadrà in prescrizione nell’anniversario dell’omicidio e, così, il latitante sospettato Oguz Demir potrà tornare in Turchia senza temere condanna. Demir era riuscito a scappare fuori dal Paese prima che la polizia lo arrestasse.

Per chi conosce in modo approfondito la città di Istanbul il monumento dedicato a Ugur Mumcu si trova in un posto piuttosto visibile, nel cuore del Municipio di Sisli andando verso Taksim, in una delle arterie principali della città. Ecco qui: http://www.360cities.net/it/image/harbiye-ugur-mumcu-aniti-sisli-belediyesi-istanbul#277.10,0.90,80.5. Appare così, piccolo e schiacciato tra i palazzi come se fosse stato messo lì per dovere e non realmente per celebrare e ricordare uno dei più importanti giornalisti della storia della Repubblica turca. Forse sarebbe stato un gesto più significativo impegnarsi per trovare i colpevoli di questo omicidio.

Ugur Mumcu in uno dei suoi articoli parla così dell’importanza della libertà di stampa:

“La libertà di stampa è uno dei fondamenti della democrazia. La stampa che costituisce e rappresenta il pubblico, in ogni epoca della storia è stata una questione controversa. Nei periodi in cui la libertà di stampa è stata limitata, lo sviluppo democratico si è fermato e ciò ha rafforzato le tendenze totalitarie. L’istituzione di principi democratici e lo sviluppo della libertà di stampa sono obbligatoriamente interconnessi”.