Pubblichiamo la proposta riguardo al Ponte sullo Stretto di Messina di Enrico Fedrighini, Portavoce del Comitato Promotore MilanoSiMuove.

Il Ponte sullo Stretto non si farà. Il governo Monti sembra avere definitivamente chiuso la pratica avviata nel 2002 – con la presentazione di un nuovo (ennesimo) progetto preliminare e allegato Studio di impatto ambientale – e proseguita indisturbata fino ad oggi, con la sola eccezione del biennio dell’ultimo governo Prodi.

La spending review ha obbligato il governo Monti a ratificare ciò che da tempo avevano capito anche i sassi: per funzionare, il corridoio 1 europeo da Palermo a Berlino non ha bisogno di un Ponte tra Capo Peloro e Torre Cavallo, ma di un sistema ferroviario italiano un po’ meno ottocentesco di quello attuale (16.529 chilometri di rete ferroviaria, di cui il 40 percento non elettrificata a trazione diesel, con quasi 10.000 km a binario unico!). Di moderno ed europeo il sistema ferroviario italiano è in grado, per ora, di offrire solo le dimensioni del board e i compensi del management del gruppo Ferrovie dello Stato. Difficile, in questa situazione, giustificare la spesa di oltre 6 miliardi di euro per un’opera come il Ponte, utile certamente a chi la costruisce.

In Italia purtroppo l’ambientalismo scientifico, quello che senza isterie né fondamentalismi cerca di valutare progetti e proposte sulla base di rigorose analisi costi/benefici senza pregiudizi, non gode di grande ascolto e in genere possiamo contare su un solo alleato, sicuro e fidato, per tentare di evitare la realizzazione di alcune opere pubbliche scellerate, costose e macroscopicamente inutili: la povertà delle casse dello Stato.

Così sarà anche questa volta, per nostra fortuna. Sperando che una quota delle risorse risparmiate venga investita nell’ammodernamento della rete ferroviaria a ridosso delle grandi aree urbane, a servizio della domanda prevalente di trasporto ferroviario: la mobilità pendolare.

Tutto bene quel che finisce bene, dunque? Non esattamente.

Perché lo Stato, o più precisamente i cittadini italiani dovranno pagare una penale di 300 milioni di euro al Consorzio di Imprese Eurolink che nel 2005 si è aggiudicato l’appalto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Del consorzio fanno parte: Impregilo S.p.A. (45%), Sacyr S.A., Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A. (15%), Cooperativa Muratori&Cementisti (13%), Ishikawajima – Harima Heavy Industries CO Ltd (6.3%), Consorzio Stabile A.C.I. S.C.p.A.

Trecento milioni spesi per nulla. In Italia troppo spesso gli appalti pubblici delle grandi opere hanno questa funzione sostanziale: azzerano il rischio di impresa a beneficio dei grandi costruttori e degli istituti di credito alle loro spalle. Vinci sempre e comunque. Che l’opera si faccia o no è quasi un dettaglio secondario: sarai in ogni caso remunerato, in proporzione alla posta in gioco. Tutti ci guadagnano, nessuno è responsabile di nulla. Brindisi finale a tarallucci e vino.

Perché questo avviene? Come ne usciamo? Ci sono due questioni sostanziali, a mio avviso, fra loro legate.

La prima è che non esiste (né a livello centrale, né periferico) una prassi rigorosa e consolidata di preventive analisi costi/benefici per le decisioni di spesa pubblica, indispensabili per attribuire alle diverse opzioni in campo una serie di indicatori economico/ambientali misurabili. Questa analisi deve essere pubblica, e deve essere l’atto prodromico a qualunque successivo passaggio procedurale. Non occorre arrivare al CIPE, non serve aggiudicare l’appalto (con relative penali) per capire e documentare se una grande opera pubblica è prioritaria o no per il Paese.

La seconda, legata alla prima, è che occorre stabilire un principio semplice, a tutela dei cittadini e della corretta amministrazione della cosa pubblica: ogni scelta e decisione operata dall’amministratore pubblico, in assenza di tale preventiva e pubblica analisi costi/benefici, si configura come “mala gestio” e pertanto il decisore stesso può esserne chiamato a risponderne per l’eventuale danno erariale conseguente.

Per non farla tanto lunga: come sarebbe bello se quei 300 milioni di euro di penale, invece di essere prelevati dalle tasche dei cittadini, venissero equamente ripartiti fra ministri, sottosegretari, esperti e consulenti che ancora oggi, senza vergogna, continuano a sostenere che quel Ponte andrebbe fatto “per rilanciare l’economia”…

Fate girare, grazie!

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