Dopo aver toccato quotazioni che superavano i 115 $ al barile, il prezzo del petrolio è crollato verticalmente e  in soli 5 mesi ha avuto un calo del 43% , alla data odierna è sceso al di sotto dei 66 $ al Brent.

Inutile fare finta di non vedere che c’è una precisa scelta geopolitica dietro al fenomeno del prezzo basso del greggio,  di fatto, anche gli esperti del settore sottolineano che questa non è una caduta abituale.

Sostanzialmente, attraverso il netto ridimensionamento del valore di mercato del petrolio, si sta producendo l’effetto di tenere sotto pressione alcuni Paesi le cui economie dipendono fortemente dalle entrate che derivano dal petrolio.

Tra i paesi che sono e saranno maggiormente toccati Iran e Russia.

La questione è più complessa di quello che potrebbe apparire a prima vista, in atto non c’è solo una guerra economica, ma si profila anche una guerra di predominio territoriale, lo scenario è misto, da una parte due potenze regionali in competizione, Iran e Arabia Saudita.

Entrambe hanno fortissime ambizioni ad assumere il ruolo di potenza predominante nell’area del Golfo Persico; inoltre tutti e due questi paesi sono invischiati nel conflitto in Siria e in altri teatri di guerra minori. E’ evidente che tra Riad e Teheran è in atto sia una guerra fredda che uno scontro indiretto a spese della Siria e dei suoi abitanti che sono diventati il terreno di confronto.  Da una parte l’Arabia Saudita che finanzia, addestra e arma le truppe dell’Isis, dall’altra l’Iran che sostiene il governo di Bashar al Assad.

Come d’altronde, è evidente che legato alle politiche del prezzo del petrolio, è  in atto anche un altro confronto da guerra fredda tra Russia da una parte e Stati Uniti e Europa al seguito dall’altra.

Gli scenari sono pressoché gli stessi, anche la Russia è invischiata nel conflitto in Siria appoggiando e sostenendo il governo di Assad mentre  Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita  ne vogliono la caduta, strizzando più o meno apertamente l’occhiolino all’Isis. Così come anche in Ucraina dove Stati uniti e Europa da una parte si contendono il dominio territoriale con la Russia.

Il denominatore comune è sempre lo stesso, predominio territoriale, energetico ed economico così come “gli effetti collaterali”, per chiamarli in un gergo da CIA, sono sempre a danno delle persone che sfortunatamente si vengono a trovare nel mezzo alla guerra di turno in atto.

La caduta verticale del prezzo del petrolio di fatto fa parte di una delle tante strategie di guerra messe in atto, danneggiando pesantemente entrambe le economie di Russia e Iran.

A conferma che dietro al ribasso del petrolio ci sia una determinata volontà,  bisogna ricordare  l’ultimo incontro dell’OPEC, organizzazione che raccoglie  i paesi produttori del greggio, dove un Putin totalmente inascoltato, ha chiesto a gran voce di ridurre la produzione del greggio per mantenerne i prezzi almeno sopra a un certo livello.

Molti paesi esportatori tra i quali la Russia hanno impostato buona parte dei loro bilanci governativi in funzione dei ricavi dall’export petrolifero, ma affinché i loro bilanci risultino sostenibili,  hanno  bisogno di ricavi ben più consistenti di quelli attuali.

Se, come previsto, anche  il prossimo anno il petrolio dovesse restare a un valore  compreso tra  i 60 e gli 80 dollari, le entrate governative di molti paesi esportatori rischieranno di collassare rendendo insostenibili gli impegni di spesa e producendo inoltre pesanti conseguenze a livello sociale.

Ci sono invece paesi produttori, che grazie ai minori costi di estrazione, possono risentire delle conseguenze in maniera molto minore.

Paesi inoltre che possono contare su riserve valutarie molto più consistenti, tali da permettergli di non avere grosse ripercussioni con un prezzo del petrolio più basso mantenuto per un prolungato periodo  di tempo.

Per capire quali sono i paesi esportatori più esposti da questo ribasso bisogna dare un’ occhiata al grafico riportato sotto, la tabella indica il limite (Dollari per Barile) sulla base del quale i singoli Paesi hanno impostato la loro politica fiscale.

Per fare un esempio il punto di pareggio di bilancio dell’Iran  è fissato infatti con un valore del petrolio a 123 dollari al barile, sotto questo limite il pareggio di bilancio Iraniano diventa  insostenibile.

In pratica, quello che sta avvenendo è una vera e propria prova di forza, dove alcuni paesi  contano sulle loro capacità di resistenza data dalle riserve valutarie e dalla minor esposizione economica impegnata per l’estrazione del greggio e gonfiano i muscoli mostrandoli ad altri paesi produttori le cui capacità di resistenza economica a questo ribasso sono di gran lunga inferiori.

Grafico Break even

Grafico Break  even valore petrolio/pareggio di bilancio per stato produttore

Per l’Italia il discorso è  totalmente a parte perché non è un paese esportatore e nemmeno produttore, in gergo tecnico siamo un paese importatore netto di petrolio.

Perciò almeno in teoria  per il nostro paese il calo del petrolio economicamente parlando dovrebbe essere tre volte vantaggioso.

  • Perché si calcola che ogni 10 dollari di ribasso del prezzo del greggio, si traducono in un incremento di +0,3% del PIL
  • Perché i costi di trasporto e produzione delle materie prime su cui incide il costo del petrolio dovrebbero notevolmente essere ridotti.
  • Perché dovrebbe far seguire una consistente riduzione del costo della benzina che comporterebbe una bella fonte di risparmio per i cittadini

Nella pratica però non è così, basti vedere che a fronte di un calo del 43% del greggio, è corrisposto un ridicolo abbassamento del 8% del costo della benzina che si mantiene stabile intorno a 1,60 € al litro.

Il perché è presto detto: Accise, Iva, andamento del cambio Euro/Dollaro, costi di raffinazione etc.

Andando con ordine:

Le Accise dello stato, di pari passo all’abbassamento del petrolio sono aumentate del 29%

L’IVA è aumentata del 3%

Il Costo di raffinazione delle nostre industrie, anche quello nel frattempo è stranamente  aumentato del 46%

 In pratica a beneficiarne saranno:

  • Lo Stato Italiano che percepirà ben 20 Miliardi di € in più di tasse.
  • Le industrie  multinazionali che stanno dietro alle raffinerie vedi ENI, ESSO, TAMOIL, ERG etc.

I cittadini credo invece che vedranno a breve nuovi rincari della benzina, il cui costo è previsto in aumento per il 2015, grazie ad altri 8 centesimi di accisa che saranno varati nella prossima manovra economica, così come credo probabile, non vedranno di ritorno nemmeno un € di beneficio dei 20 Miliardi di tasse previsti in più dal gettito delle accise.

Di fronte a queste prospettive, come cittadini non resterebbe che organizzarci per fare una sana e robusta politica di riduzione dei consumi delle spese e dei consumi energetici, prediligendo merci di provenienza locale, stabilendo reti di scambio di prodotti, condividendo più possibile i mezzi di trasporto, indirizzandosi verso una mobilità alternativa e sostenibile, vedi bicicletta e mezzi elettrici, e prediligendo infine i mezzi pubblici invece di quelli privati, certi che così almeno in questo caso il risparmio e i benefici ritornerebbero nelle nostre tasche senza contare che eticamente parlando saremmo oltretutto meno dipendenti da una materia prima, il cui prezzo da pagare, da almeno 50 anni  è fatto di guerre e sofferenze in tutto il mondo.