Foto di rito – Foto: radicalparty.org

Tra le numerose “pratiche di civiltà” trasmesse dai colonizzatori europei ai territori africani vi è anche l’introduzione della condanna a morte negli ordinamenti penali. Un sistema di giustizia mutuato dagli occidentali e a cui ora stanno questi ultimi cercando di porre fine specie nel continente africano. Come noto, è italiana l’iniziativa di una moratoria universale delle esecuzioni capitali, adottata con una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2007 con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astensioni. Un impegno rinnovato nelle successive sessioni dell’Assemblea Generale del 2008 e del 2010, con un ampliamento costante delle fila dei favorevoli all’iniziativa, che ha portato nel 2012 all’approvazione della risoluzione, presentata da 90 Paesi di tutti i continenti, con il numero record di 111 voti a favore, 41 contrari e 34 astenuti. I nuovi voti a favore sono perlopiù provenienti dall’Africa (Ciad, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Sierra Leone e Tunisia).

In Africa si contano fino ad oggi solo 17 Paesi abolizionisti su 54; ciononostante, proprio dal continente africano è giunto il principale contributo al processo abolizionista grazie alla messa al bando della pena di morte in Rwanda, Burundi, Gabon, Togo e Benin. Strategicamente vincente risulta quindi una politica che miri a incoraggiare il sostegno alla moratoria tra gli Stati dell’Africa contando sulla disponibilità di alcuni leader africani a farsene promotori, su impulso di ong e governi tenacemente impegnati per un nuovo avanzamento del fronte abolizionista nel futuro voto sulla moratoria dell’autunno 2014. Tra questi non può non figurare Ernest Bai Koroma, il presidente della Sierra Leone. L’assegnazione del Premio “Abolizionista dell’anno 2012” da parte della ong Nessuno Tocchi Caino, per aver commutato nel 2011 tutte le sentenze capitali del Paese in pene detentive, non può che aver confermato il suo impegno per l’abolizione della pena di morte in Sierra Leone e in sede internazionale. In occasione della cerimonia di premiazione, le parole del Presidente Koroma non hanno potuto che evidenziare questo suo impegno: “Le ultime due esecuzioni effettuate nel Paese sono state quelle di 24 persone nel 1998 e di 29 persone nel 1992. Sono state il maggior numero di condanne a morte eseguite da un governo in un solo giorno. I cittadini della Sierra Leone si stanno ancora riprendendo da questo record di esecuzioni in un solo giorno effettuate da agenti dello Stato. I cittadini della Sierra Leone non vogliono una riedizione delle esecuzioni di Stato…le vite dei nostri cittadini sono al sicuro nelle nostre mani”. Aggiunse inoltre: “Abbiamo già preso l’impegno di sottoporre la questione dell’abolizione della pena di morte all’ordine del giorno del governo. Il processo di revisione costituzionale riprenderà dopo le elezioni e la richiesta relativa alla soppressione della pena di morte sarà parte integrante e prioritaria del nostro programma per la difesa, la protezione e la promozione dei diritti umani”. Un impegno che Koroma, forte della recente conferma nelle elezioni del 23 novembre 2012, ritiene rifletta le aspirazioni del suo popolo e che si è concretizzato per la prima volta nel voto della Sierra Leone a favore della moratoria del dicembre 2012.

Alla luce di quanto detto, non stupisce che si sia tenuta a Freetown, in Sierra Leone, il 13 e 14 gennaio scorsi la Conferenza regionale sull’abolizione e la moratoria della pena di morte, promossa dal Governo della Sierra Leone e da Nessuno Tocchi Caino con il sostegno finanziario del Ministero degli Esteri della Norvegia. La Dichiarazione Finale approvata dai rappresentanti politici e della società civile di Sierra Leone, Benin, Niger, Togo e Ghana ha tra l’altro richiesto a tutti gli Stati africani di “definire un Protocollo Aggiuntivo alla Carta Africana sui Diritti Umani e dei Popoli relativo alla soppressione della pena di morte in Africa; di ratificare il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici dell’ONU relativo all’abolizione della pena capitale, allineando ad esso la legislazione nazionale; di ispirarsi a principi di giustizia riparatrice che tengano conto dell’esperienza delle vittime e, pertanto, perseguano fini pacifici di riconciliazione nazionale”. L’ideazione di un sistema nazionale e regionale africano che rifiuti la pena capitale, considerando fra l’altro che “le tradizioni africane pre-coloniali non contemplano la pena capitale”, la quale “esprime un pessimismo sull’essere umano”, come ricordato nella Dichiarazione finale della Conferenza, appare preliminare alla convocazione di un’altra conferenza continentale (probabilmente in Benin) per preparare il voto all’ONU in autunno sulla nuova Risoluzione di moratoria universale della pena capitale che, si auspica, i Paesi africani sponsorizzino o quantomeno approvino in sede di voto.

Non si tratta del primo tentativo di approccio regionale condiviso al tema. Già nel settembre 2009 il gruppo di lavoro sulla pena di morte della Commissione Africana sui Diritti Umani e dei Popoli aveva organizzato una conferenza sub-regionale a Kigali (Rwanda), per sostenere l’abolizione della pena di morte nell’Africa centrale, orientale e meridionale, ponendo l’accento sulla moratoria delle esecuzioni. In quell’occasione si diede grande risalto al “positivo esempio del Rwanda che (nel 2007), nel nome della Riconciliazione, ha abolito la pena di morte anche per gli autori dei crimini più gravi come il genocidio”. Dato il successo dell’iniziativa, in particolare grazie agli spiragli positivi aperti da alcuni Paesi che contemplano la pena capitale nel loro sistema giudiziario come la Tanzania, il Ciad, il Kenya, lo Zimbawe e la Repubblica Centroafricana, nell’aprile 2010 fu organizzato un secondo incontro regionale a Cotonou, riguardante i Paesi dell’Africa settentrionale e occidentale per individuare i mezzi per raggiungere l’abolizione della pena di morte. Una terza conferenza fu convocata nell’ottobre 2011 nuovamente a Kigali, in Rwanda, per imprimere un’ulteriore accelerazione al processo di abolizione totale della pena di morte nel mondo.

Non c’è dubbio che il particolare impegno profuso dal Rwanda così come dalla Sierra Leone in questo processo, Paesi profondamente sconvolti da sanguinosi conflitti civili, indichino che l’Africa sta compiendo dei progressi incoraggianti nel processo di democratizzazione, avendo ben inteso l’importanza di innestare un circolo virtuoso tra sviluppo democratico e civile da una parte, e crescita economica sostenibile dall’altra.

Miriam Rossi