Tra l’azione del governo e la riforma della Costituzione c’è una contraddizione logica. Per un verso il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi  non perde occasione per presentare gli ottimi risultati ottenuti grazie alle riforme introdotte con il programma di governo. Tutto ciò accade – anche se non viene detto – con l’assetto istituzionale stabilito dalla Costituzione vigente. Dall’altro verso lo stesso Presidente del Consiglio sostiene che per riformare il paese sia assolutamente necessario che al referendum costituzionale d’autunno prevalga il Sì alla revisione, considerando un vero disastro l’ipotesi che resti in vigore la Costituzione attuale.

Di fatto ogni volta che Matteo Renzi spinge l’acceleratore sulle riforme già realizzate, indirettamente segna un punto a favore per la conferma della Costituzione vigente. Se al contrario insiste sulla necessità di superare l’attuale assetto costituzionale perché impedisce le riforme, implicitamente ammette di non aver fatto riforme significative. Insomma, se la Costituzione è pessima, non può essere che il governo sia riuscito a fare un ottimo lavoro. Mentre se il governo è ottimo, la Costituzione non può essere pessima. Da questa aporia non ci sono vie d’uscita coerenti.

D’altra parte è stato proprio Matteo Renzi a porsi in antitesi alla Costituzione vigente, legando il futuro della propria esperienza politica al risultato positivo del referendum costituzionale. Di conseguenza, nelle motivazioni del voto degli elettori è probabile che prevalga il Sì o il No a Renzi e al governo, anziché il Sì o il No al progetto di revisione della Costituzione. Qualunque sia il risultato, resterà aperta la discussione sul reale significato del voto referendario, che purtroppo non potrà essere soltanto sui contenuti della legge costituzionale approvata dal Parlamento.

La Costituzione di fatto è diventata il più importante oggetto della contesa politica. Questo è il risultato palesemente negativo che i promotori della revisione costituzionale hanno raggiunto: dividere il paese proprio su ciò che dovrebbe essere patrimonio collettivo e rappresentare l’unità, cioè il patto di cittadinanza. Una forzatura che rischia di essere ben più grave delle eventuali arretratezze – secondo l’opinione dei riformatori – contenute nella Costituzione vigente. Il contenzioso creato intorno alle regole costituzionali potrebbe lacerare ulteriormente il tessuto sociale del paese, alimentando un clima di rivalsa e annullando ogni punto di riferimento comune.

Il filosofo Junger  Habermas sostiene che nelle società democratiche contemporanee sia indispensabile realizzare un “patriottismo della Costituzione”, ossia “una convinta adesione ai principi universalistici della Costituzione”. Secondo Habermas ogni individuo della comunità può credere in ciò che vuole, purché si riconosca nei principi costituzionali del paese in cui vive, attuando un universalismo rispettoso delle differenze e delle pluralità.

Oggi in Italia, paese fondatore dell’Unione Europea, a maggior ragione di fronte alla globalizzazione e al fenomeno migratorio, la Costituzione dovrebbe essere la trama del tessuto comune di una democrazia plurale.

La scelta del governo e del Parlamento di procedere con un’ampia revisione costituzionale approvata a colpi di maggioranza e il conseguente referendum che divide il paese non vanno sicuramente in questa direzione.