E’ inutile girarci attorno. L’affermazione delle destre sovraniste autoritarie e razziste è ovunque riconducibile al rigetto dell’immigrazione, al rifiuto del profugo, del migrante, dello straniero povero (quello ricco è sempre bene accetto). Non alla dissoluzione delle sinistre, quanto a una percezione diffusa che con la crisi climatica – anche per chi la nega, pur sapendo che c’è – su questa Terra non ci sia più posto per tutti e che il posto che si ha vada difeso comunque (di migliorarlo non parla più nessuno). Per questo l’allarme per “l’inverno demografico” nei Paesi sviluppati è razzismo: si vorrebbe evitare, senza peraltro riuscirci, che il deficit di nascite venga colmato da nuovi arrivati di altro colore, di altre religioni, di altre culture, a costo di diventare una popolazione decrepita, non solo senza soldi per le pensioni e senza braccia per i lavori pesanti, ma anche senza aspettative, senza creatività, senza gioia, senza speranza.

La ricetta delle destre è semplice: respingiamoli tutti, in tutti i modi, rimandiamoli da dove sono venuti. Che queste soluzioni non funzionino non importa; vuol dire che bisogna rafforzarle, che ce ne vogliono di più… Così si trasforma una moltitudine in cerca di un lavoro, un salario e un tetto in una torma di sbandati che alimentano quel senso di insicurezza di cui si nutrono le destre. D’altronde le fu-sinistre non hanno idee diverse: copiano le destre cercando di non darlo a vedere, o di precederle, come ha fatto Minniti. Ma è una competizione persa in partenza e priva di prospettive, se non il sacrificio di tutto ciò che è connesso a una vera alternativa anche nel campo dei redditi, del welfare, dei diritti, del benessere di tutti.

Il problema delle migrazioni non è uno “specchietto per le allodole”, ma una tragedia planetaria – soprattutto per coloro che sono costretti a migrare – legata ad altri due processi: la moltiplicazione delle guerre e la crisi climatica e ambientale che ne è spesso all’origine.

In pochi decenni inondazioni, siccità, desertificazione, uragani, incendi e soprattutto l’innalzamento dei mari (i ghiacci persi non si ricostituiranno per migliaia e migliaia di anni) cacceranno dal loro habitat centinaia di milioni di esseri umani (ma diversi studiosi parlano di miliardi entro la fine del secolo). Europa e Stati Uniti non ne saranno indenni, ma il grosso dei flussi avrà origine in Paesi lontani e investiranno innanzitutto quelli più vicini, o che si troveranno lungo le rotte di quegli esodi. Ma poi?

Le pressioni verso Paesi più “ricchi”, meno popolati e più vecchi aumenteranno in modo esponenziale. Certo, i loro governi si adopereranno per fermarle, come già fanno ora, ma a che prezzo? Moltiplicando in mare, nei deserti, nelle prigioni dei Paesi di transito, o direttamente, lo sterminio di quelle genti in cammino. Con le armi di cui si stanno dotando in misura spropositata – aerei, razzi, cannoni, bombe, droni, ma soprattutto apparati di sorveglianza e di comando da remoto dei “sistemi d’arma”. L’Ucraina è stata un laboratorio per la guerra dei droni, Gaza per la distruzione sistematica di un territorio e di un popolo. Ma quel compito verrà affidato sempre più spesso ai governi dei Paesi di transito, resi per questo sempre più instabili ed esposti a bande e milizie capaci di tenere in scacco anche gli Stati che pretendono di controllarli.

Poi ci sarà da “fare i conti” anche con i milioni di immigrati, recenti e no, già presenti in Europa e negli Stati Uniti, che in quel contesto si riconosceranno sempre meno nel Paese in cui abitano e sempre più nelle popolazioni perseguitate dei loro Paesi di origine. Che cosa ciò comporterà in termini di “guerra interna” ce lo mostra la caccia al migrante scatenata da Trump…

Neanche per i “nativi” di Europa e Stati Uniti, però, la vita sarà facile: oggi si discetta su dilemmi come motore termico o auto elettrica, come se la vita potesse continuare a scorrere (per coloro a cui “scorre”) come sempre anche in condizioni di belligeranza permanente sia contro “l’invasore” che all’interno. Ma le restrizioni saranno enormi e in continua crescita. Ovviamente non per tutti; solo per i più. E la cappa del potere sarà sempre più opprimente.

La ricerca di un’alternativa a questa prospettiva dovrebbe impegnare tutti coloro che vedono nel rapporto con i migranti la faglia di uno scontro di civiltà, il passaggio stretto di un cambiamento radicale degli assetti sociali, la possibilità di una convivenza e una cooperazione tra diversi al posto della competizione e delle gerarchie tra diseguali. Le rivendicazioni basilari delle classi oppresse “autoctone” potranno affermarsi solo coinvolgendo, su un piede di parità, anche tutti i vecchi e nuovi arrivati. E’ con loro che si potrà portare a buon fine interventi, lavori e opere per prevenire o rimediare ai disastri della crisi climatica e delle guerre: sia qui che nei loro Paesi di provenienza, grazie ai contatti che essi mantengono con le loro comunità di origine. E’ per raggiungere l’Europa, e non per restare impigliati ai suoi confini, in Italia o in Grecia, che in tanti affrontano i pericoli e i lutti di quei viaggi; ed è su questa loro “fame di Europa”, e non sul mercato unico, sull’euro, su un esercito condiviso o sulla guerra – che essi detestano come può fare solo chi vi è sfuggito – che si può ricostituire l’unità del continente. Il tema è centrale: rifondare l’Europa insieme ai profughi e ai migranti.