Lo storico tedesco Karl Schlögel era un obiettore di coscienza ai tempi della guerra del Vietnam. Oggi chiede la reintroduzione del servizio militare obbligatorio e per questo riceve il Premio per la pace dell’Associazione degli editori e librai tedeschi. Un atto simbolico talmente grottesco da adattarsi perfettamente alla nostra epoca: un’epoca in cui la guerra viene nuovamente venduta come politica di pace e il riarmo come responsabilità.
Se Karl Schlögel fosse stato così sincero da dire che all’epoca aveva semplicemente seguito la corrente e rifiutato il servizio militare perché era “di moda”, ora avrebbe dovuto solo dire che era rimasto fedele a se stesso. Ma non lo fa: difende il suo cambiamento.
La differenza decisiva rispetto agli anni ’70, quando Schlögel rifiutò il servizio militare, non sta nel “ritorno” della guerra, ma nel “ruolo della Germania”. Allora la Bundeswehr era un esercito in attesa, simbolicamente inserito nella Guerra Fredda, ma senza reali missioni di guerra. Oggi, invece, è attiva a livello globale, partecipa a operazioni militari ed è collegata dal punto di vista logistico e tecnico a una guerra calda in Ucraina.
Il cambiamento di posizione di Schlögel sembra un gesto che ben si adatta all’attuale clima intellettuale: chi sostiene militarmente l’Ucraina è considerato dalla parte giusta della storia. Ma chi ragiona in questo modo rivela più una memoria dimenticata che un nuovo modo di pensare.
Nel caso di Karl Schlögel non si tratta di un errore di ragionamento, bensì di una strategia. La classe intellettuale del nostro tempo ha bisogno di narrazioni, non di contraddizioni. Chi sta dalla “parte giusta” può sacrificare la logica. Così l’ex pacifista si trasforma in un ‘realistico’ sostenitore della guerra (a questo punto qualcuno protesterà dicendo: “Potrà anche avere torto, ma non vuole la guerra!”).
È vero, non vuole scatenare una guerra! Ma vuole combattere la guerra con la guerra; è quindi un sostenitore della “guerra difensiva”, non tanto per salvaguardare la vita e i beni materiali, quanto per salvaguardare la “dignità”. Questo ci avvicina dannatamente alla logica nazista che credevamo di esserci lasciati alle spalle.
Karl Schlögel non rifiuta più la “guerra per affermare interessi politici”, come negli anni ’70, ma solo la “guerra di aggressione”. Tuttavia, tutte le guerre dell’era moderna, compresa l’invasione della Polonia nel 1939, sono state legittimate come guerre difensive.
L’ex obiettore di coscienza avrebbe oggi tutte le ragioni per ribadire la sua posizione di allora, come monito che la pace non si difende con l’armamento, ma con la ragione politica, la memoria storica e l’autolimitazione.
Schlögel non è un uomo ingenuo. Sa bene quello che dice. Ed è proprio questo che rende la sua argomentazione così inquietante. Quando uno storico del suo calibro afferma che la guerra è “tornata in Europa”, non si tratta di ignoranza, ma di intenzionalità. Conosce le guerre dei Balcani, i bombardamenti della NATO sulla Serbia, le guerre in Cecenia – anche gli armeni appartenevano all’Europa, almeno culturalmente. Sa bene che la guerra non è mai scomparsa dall’Europa. Se ora la fa “ritornare” con l’attacco russo all’Ucraina, allora sposta consapevolmente la prospettiva storica per costruire una linea morale: qui il bene, là il male. Ma questa è la base di legittimazione di tutte le guerre!
“La Germania e l’Europa”, dice, “devono finalmente capire che la Russia di Putin sta conducendo una guerra contro l’Occidente”.
Evidentemente non si è accorto che “l’Occidente”, ovvero la NATO, avanza da decenni contro la Russia. Chi ignora tutto questo non vuole chiarire, ma reinterpretare.
A prima vista, l’appello di Schlögel alla “capacità di difesa” sembra ragionevole. Ma proprio uno storico dovrebbe sapere che, storicamente, la capacità di difesa non ha mai protetto dalla guerra. Al contrario: spesso ne è stata il motore.
Il riarmo militare che precedeva la Prima guerra mondiale, la competizione tra i sistemi nel periodo interbellico, la corsa agli armamenti nucleari durante la Guerra fredda: tutti questi eventi hanno seguito la stessa logica, ovvero la sicurezza attraverso la forza. Ma questa “sicurezza” è sempre stata un’illusione. Ogni aumento della capacità di difesa ha generato una tensione contraria, ogni riarmo ha provocato un nuovo riarmo. La pace non è mai stata il risultato di questa spirale, ma solo una sua breve pausa.
Il fatto che Schlögel ignori questo nesso non è un caso. È un sintomo del nostro presente: gli intellettuali dichiarano che la preparazione alla guerra è politica di pace, perché così vuole il consenso politico-industriale.
Che abbia issato la sua bandiera nella giusta direzione del vento è dimostrato non solo dal premio immeritato e dagli applausi vergognosi al suo discorso, ma anche da ciò che Carsten Otte, moderatore culturale della SWF (canale radio pubblico), scrive su di lui e sulla fiera del libro: gli autori che si sono presentati alla fiera del libro in tenuta mimetica militare sono stati «uno spettacolo insolito, ma illuminante».
Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid.










